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10 Agosto 2011
Magnus Tex, un Ranger d’autore

di LUCA TELESE

Magnus è tornato, ancora una volta. Mettiamo che siate di quelli che non conoscono il suo nome: molto probabilmente – vedendo uno qualsiasi dei suoi personaggi – riconoscereste il suo inconfondibile stile: o lo avete già visto, o avete visto qualcuno che lo copia. Anche questo, dopotutto, è il segreto dell’arte: la capacità di inventare i segni che restano.
Magnus è stato (assieme a Max Bunker) il papà di Alan Ford, è il creatore di grandi personaggi di consumo degli anni sessanta come Kriminal e Satanik, ma anche di serie cult come lo Sconosciuto e La Compagnia della Forca. Magnus ritorna, questa volta in libreria, con la meravigliosa ristampa del suo testamento artistico, il famoso “Texone” che disegnò fino alla morte: La valle del terrore (Rizzoli-Lyzard, 200 pp. 22 euro). Malgrado questo, il più grande disegnatore italiano (se non altro per eclettismo produttivo e prolificità) non era chic, non era un mercante, non si promuoveva nei talk-show, e continua a essere ancora oggi un oggetto misterioso per la grande critica. Non è un caso: nessuno prima di lui aveva contaminato l’alto e il basso, le cose più raffinate e quelle più commerciali, il fantastico e il realistico, il grottesco e il fantascientifico e persino (nei tempi delle vacche magre a metà degli anni Ottanta, quando nessuno gli pubblicava nulla) il pornografico.
Magnus è morto quattordici anni fa. Mi era accaduto, per puro caso, di intervistarlo solo una settimana prima della sua scomparsa, il 5 febbraio del 1996. Il mio rapporto con lui era nato da fan, un giorno, durante una presentazione in via Piè di Marmo, a Roma nel 1984, quando aveva incantato l’uditorio in occasione dell’uscita di un volume monografico della Glittering Image su di lui. In quell’ultimo anno, senza sapere nulla, avevo chiesto questa intervista sul texone per mesi, fino a scoraggiarmi. Ma un pomeriggio mentre ero in redazione, aveva squillato il telefono. La voce del Maestro, all’altro capo della cornetta, mi aveva stupito con una autoironia paradossale: “Se non ti sbrighi a venirmi a trovare, il tuo articolo su di me rischia di uscire postumo!”. Subito dopo aveva aggiunto: “Tex sta bene, io non molto…”. Non mi ero fatto ripetere l’invito. Così, in una giornata di pioggia torrenziale sull’appennino emiliano, avevo attraversato il passo della Futa in macchina e mi ero arrampicato fino a Castel del Rio, nella “locanda del Gallo”, il suo buen retiro proprio in mezzo ai boschi incantati dove lui – bolognesissimo di nascita – combatteva contro un male incurabile e con le ultime tavole del suo testamento artistico, il Tex gigante commissionatogli dall’editore principe del fumetto italiano, Sergio Bonelli. Avevamo parlato per un intero pomeriggio: della sua vita rocambolesca, del rapporto con i suoi personaggi, di cultura e persino di politica. Con dei grandi gesti disegnava storie vecchie e nuove sul profilo della montagna: “Ci tengo a raccontarlo a chi viene a trovarmi. Quassù nel 1944 passava la Linea Gotica: da una lato i tedeschi, dall’altro gli inglesi, in mezzo a questi boschi i partigiani… Questo è il mondo in cui sono cresciuto, il mio retroterra: guerra, avventure e tempeste”.
Roberto Raviola, al secolo Magnus, è stato tutto questo e di più: non solo uno dei più grandi disegnatori italiani, ma uno di quelli che hanno la fortuna di lasciare un segno, cambiare le categorie, creare tendenze, tormentoni e mode. Ancora oggi decine di disegnatori imitano il suo tratteggio, il suo inconfondibile bianco e nero. Se non altro perché Magnus è uno dei pochi che – al pari dei suoi quasi coetanei Milo Manara e Hugo Pratt – con i suoi fumetti non ha inventato solo uno stile, ma un intero mondo, un immaginario visivo e narrativo. Aveva il senso dell’estetismo puro e quello del calembour: come ad esempio il tormentone di inserire un suo alter ego in tutte le storie che disegnava. Al contrario degli altri, però, Magnus ha spaziato fra i generi e fra i diversi pubblici, con una carriera unica. Prima a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta “Kriminal”e “Satanik” avevano dato corpo al noir italiano. Poi con Alan Ford aveva inventato il fumetto satirico e grottesco (che avrebbe trovato fama nazionalpopolare con Supergulp, i fumetti in tv della Rai). Poi negli anni Ottanta si era rinnovato con la fiaba epica della “Compagnia della forca” e il realismo avventuroso de “Lo Sconosciuto”; infine – negli anni Novanta – con le sue ultime storie: il Texone (fino a questa ristampa era esauritissimo e di culto, venduto a quotazioni antiquarie), la saga medievo-fantascientifica de “i Briganti”, o uno degli ultimi affreschi il romanzo storico di “Pignata”.

IL DETTAGLIO E L’OSSESSIONE
Prendiamo la saga del suo Tex: la storia scritta per lui da Claudio Nizzi, per contratto avrebbe dovuto essere disegnata in sette mesi. Ma quel giorno, quando lo avevo raggiunto a Castel del Rio, la matita di Magnus era al lavoro sulle pagine bianche già da sette anni. Bonelli – che lo adorava – chiamava al telefono disperato: “Trattiene solo per amore la sua rabbia”, mi aveva detto lui, rammaricato e divertito. Avevo chiesto a Magnus il perché di tanto ritardo e lui, sorridendo, mi aveva mostrato una tavola in cui il ranger più famoso d’Italia si beccava una pugnalata: “Adesso ti spiego – iniziò lisciandosi un baffo sale e pepe di foggia ottocentesca – ho dovuto fare dei calcoli. Che tipo di ferita era? Una ferita doppia, da arma da taglio. La lama è entrata lateralmente, si è infilata nella carne, poi è riuscita. Molto sangue, dunque: ma il muscolo non poteva essere leso perché lo sceneggiatore, più avanti mi scrive che Tex continua a sparare. Questo vuol dire – aveva spiegato Magnus facendosi serissimo – che il deltoide doveva essere stato trapassato senza compromettere il tendine. Poi Nizzi vuole che il ranger sia medicato: allora ho dovuto pensare a quanti punti di sutura mi servivano, ho dovuto consultare un amico medico, e ho deciso che ce ne volevano dodici!”.
Era diventato così. Maniacale, perfezionista: Nizzi gli chiedeva di citare Johann Setter, lo svizzero-tedesco che aveva avviato la corsa all’oro? Magnus correva a documentarsi con cataloghi d’epoca per riprodurre il dettaglio di un comodino dell’800. Nizzi scriveva: “Dialogo durante cavalcata”? Lui si faceva certosino: “Quanto parlano? Quando sorge il sole? Quando tramonta? Come sono le ombre? Se partono da ovest e vanno verso est…”.
Forse dipendeva dal fatto che prima di allora, per anni, la vita creativa di Magnus era stata un inferno. Tutto l’opposto, all’insegna dell’iperproduttività e dei salti mortali per sbarcare il lunario e accontentare i committenti e il calendario tirannico. Per questo, voleva la leggenda, aveva rotto il sodalizio con Bunker, nel 1977, rimpianto dai fan. “Per ricominciare a disegnare liberamente ho dovuto abbandonare un personaggio e un reddito certo”. Lui ci rideva su: “Nella vita ho avuto troppi soldi, o troppo pochi. Che è poi l’unico modo per non esserne schiavi”. Quando magnificavano il suo gioco di ombre spiegava: “Altro che invenzione geniale… Quello stile me lo ha imposto il cottimo. Ai tempi di Kriminal e Satanik lavoravo chiuso in una scantinato, dovevo disegnare centinaia di tavole, risolvevo con il pennello, l’impossibilità di definire i dettagli”. In questo modo erano nati il suo leggendario bianco e nero, i giochi di luci, i suoi primi piani quasi fotografici. Lui demitizzava tutto, persino chi diceva che aveva rivoluzionato il montaggio delle vignette avvolgendo in modo tridimensionale le sue maschere: “Ho iniziato a tagliare le tavole in verticale, solo per aggirare la censura e mostrare il corpo femminile nella sua interezza”. Rimanevo incantato di fronte ai suoi cattivi, sempre imperlati di sudore, sempre colti in un momento di dubbio, prima o dopo il crimine: “Il chiaroscuro non è nel tratto, ma nella storia. Sennò non mi diverto”.
Mi aveva raccontato – sempre sfiorando il tema della sua malattia – che negli ultimi anni di vita era ripartito dai classici, come un assassino che torna sul luogo del delitto, sui miti delle sue fantasie adolescenziali: “In ospedale ho letto moltissimo. L’Isola del tesoro di Stevenson, tutte le novelle di Verga, che considero un narratore straordinario, un vino forte e che solo il nostro provincialismo ha degradato a scrittore dialettale. E poi Mastro Don Gesualdo, un romanzo potente, grandissimo”. Alla fine era arrivato, o meglio ritornato a Emilio Salgari: “Non capisco come qualcuno possa considerarlo un autore di serie B. Nei suoi libri c’è uno schema bellissimo, una forma di moltiplicazione dei dialoghi, uno stilema che è arrivato dritto dritto fino a Tex”. Quindi mi aveva sorriso: “Adesso che ho trovato la misura del racconto, non ho più il tempo per inseguire tutti i miei sogni”. Mentre parlava giocava con un pennarello nero su di un foglio bianco. Non avevo avuto il coraggio di chiedere se parlasse del tempo della sua vita, se faceva riferimento al male che aveva dentro.
Mi aveva raccontato che l’Appennino per lui era una miniera di immagini. Le foreste orientali della compagnia della Forca e quelle della Bolivia (di una sua bellissima storia dello Sconosciuto “L’uomo che uccise Ernesto Che Guevara”) e quelle nordamericane di Tex, le aveva tutte tratte da lì: “Non è divertente immaginare che il ranger si muova nella fauna dell’Emilia Romagna? Eh, eh… Ogni tanto giro con un blocco per questi boschi, alla ricerca di luoghi, volumi, colori: basta solo cercare, e si scopre che la provincia italiana è una frontiera inesauribile e il luogo dove si può ambientare qualsiasi invenzione”. Già all’epoca Magnus era celebrato in Francia, e ho sempre pensato che era uno degli ultimi grandi artigiani italiani, di quelli che non hanno bisogno di altro che del loro talento.
Quando non aveva modelli, infatti, Magnus ricorreva al suo patrimonio più grande, la fantasia: “Una storia dello Sconosciuto l’ho ambientata a Roma, inventando un pezzo di città immaginaria, Largo delle Tre Api. Avevo disegnato una basilica romana, un colonnato, dei palazzi di architettura papalina, una fontanella con una simbologia araldica scolpita nella pietra”. La composizione era riuscita, anche troppo: “Ancora oggi mi chiedono dove si trovi esattamente, protestando perché sul Tuttocittà non è segnalato! Un amico regista dopo aver letto la storia mi chiamò dicendo: ‘È un posto bellissimo, ma sai che l’altro giorno non sono riuscito a ritrovarlo, girando per i vicoli? Accompagnami, e andiamo a girare lì’. Fu difficile convincerlo che si trattava di una mia invenzione”.

Quella storia, due anni dopo la sua morte, sarebbe stata raccolta assieme a tutta la prima serie de Lo Sconosciuto in un volume di Stile libero Einaudi, insieme con la grande narrativa. Era la prima elevazione a dignità letteraria, quella che a Magnus, in vita, era mancata: “Se c’è uno dei miei personaggi per cui ho un debole – raccontava il disegnatore – è proprio lui, Unknown”. Quanto alle critiche pregresse e alle lodi tardive, scherzava: “I critici, a parte qualche luminosa eccezione, dovrebbero essere presi tutti a ceffoni. Di loro non mi è mai importato nulla, e ancora meno mi importa adesso, che mi incensano. Il pubblico invece, è davvero tutto. Mi considerano un autore popolare? Bè, io ne sono orgoglioso. Nei momenti più neri io sapevo di avere intorno a me questo affetto”. Magnus spiegava che senza aver mai fatto politica, pensava di avere una grande sensibilità politica: “Ho sofferto per la scissione del Pci come di un trauma familiare”. All’epoca (nel 1996) aggiungeva: “Rifondazione a tratti mi immalinconisce. Malgrado tutto, con mille dubbi continuo a votare l’alberaccio” (ovvero quella Quercia che allora era ancora il Pds). Rivelava di aver scoperto, “da laico”, la religione musulmana: “Quel Dio è già grazia, l’analfabeta Maometto è ispirato da una voce superiore: ma ciò che mi ha avvicinato davvero è stata una lettura intellettuale del Corano”. Poi aveva tratteggiato sul proprio petto con un cenno plastico i malanni delle sue vie biliari, esattamente con lo stesso distacco con cui per resuscitare Lo Sconosciuto – ferito in una sparatoria – aveva consultato un chirurgo. Aveva guardato fuori dalla finestra della locanda e aveva sorriso: “Sai, io questo Tex devo riuscire a finirlo…. È l’ultima impresa della mia vita, un corpo a corpo con un mito. Lui è tutto quello che il mio fumetto non è mai stato, mi piacerebbe dare al mio Tex tutto quello che non ha mai avuto da nessun altro”.
Proprio quando alla fine dell’intervista avevo chiesto di fargli una foto, aveva opposto un gesto pudico, aprendo una cartellina già pronta sul tavolo della locanda. Mi aveva dato due scatti in bianco e nero, in cui c’era lui, al lavoro su alcune pagine del ranger, un anno prima. Sorrideva: “Le tavole, come vedi, sono le stesse e non sono ancora definitive. Ma il mio corpo è stato scavato dalla malattia. Nel servizio vorrei apparire come ero allora. Ti pare una vanità?”. Avevo scosso la testa mentre tornava di nuovo il pensiero della morte che incombeva, mascherato con una battuta sull’allievo di un tempo, Gabriele Romanini (oggi altro grande) con cui aveva firmato La Compagnia della forca: “Ho avuto la fortuna di aver avuto vicino un grande artista e un grande amico. Le due cose, di solito sono impossibili da tenere insieme”. Voleva dire che avrebbe completato lui il lavoro, se lui non ce l’avesse fatta? Ero tornato in redazione e avevo impaginato con fervore religioso. L’intervista era uscita sull’Italia diretta da Pietrangelo Buttafuoco la settimana dopo. Avevo chiamato alla locanda, con una ingenua vanità: “Il maestro ora riposa, ma abbiamo comprato tre copie. È molto contento. Lo chiamo?”. Avevo risposto di no, senza sapere che mi sarei pentito.
Il numero era ancora in edicola quando Guido Tiberga, collega de La Stampa e grande fumettaro mi aveva chiamato commosso, dandomi la bruttissima notizia che aveva avuto da Castel del Rio: “Il maestro non c’è più…”. Al dubbio su Romanini ho trovato la risposta quindici anni dopo, in questo splendido texone, dove Romanini spiega di aver chiuso lui le tavole incomplete, come facevano ai tempi di Alan Ford, quando Magnus non faceva nemmeno in tempo a finire le matite che lui doveva ripassare a china. L’ultima battuta di quel giorno, che Magnus mi aveva detto mostrandomi i suoi boschi, me la sono portata dentro per tutti questi anni, come la sintesi di un bel modo di stare al mondo: “Mi ritengo un fortunato: nella vita ho avuto sempre la fetta imburrata, e non quella secca”. Se siete di quelli che sanno chi è Magnus forse questo viaggio vi ha interessato. Se siete di quelli che non lo conoscono, invece, fate un salto in libreria: provate a entrare nel suo mondo fatato passando per uno dei valichi amerigo-appenninici del Texone. Sarà un bel viaggio.

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19 commenti »

  1. Ciao Luca, ho appena finito di leggere sul Fatto il tuo articolo (forse è meglio scrivere “dichiarazione d’amore”) su Magnus. Io lo conosco dai tempi di SuperGulp e poi più grandicello, leggendo le storie di Alan Ford, Lo sconosciuto, La compagnia della forca e persino Satanik e Kriminal. Mi è venuta voglia di togliere lo scotch dalle scatole dove tengo tutti i miei fumetti e di tornare a sognare come facevo anni infilandomi nelle storie di Magnus. Grazie, Silvio

  2. Grazie Telese !…meraviglioso e struggente ritratto di un grande artista ! Dico GRANDE,perchè si può essere grandi e MAESTRI,sensa aver mai dipinto un quadro su una tela,affermazione questa,che mi sento di esprimere anche da semplice appassionato di arti figurative.

  3. Ho il Texone dell’epoca, e ti ringrazio, Luca. Articolo splendido

  4. Sono un fan del ranger di lunga data, cosa che peraltro è stata tramandata in famiglia. Il mio disegnatore preferito naturalmente è sempre stato Galep, ma il tuo articolo ha suscitato la mia curiosità di leggerlo…

  5. Guido Roberto Vitale e’azionista della casa editrice Chiare lettere che,come Telese potra confermare,a un’influenza molto bassa nella “vita” del Fatto Q.Per fugare ogni dubbio e sufficente andare a vedere la gerenza del giornale,di solito a pag 19:Pres e Amm.Delegato Giorgio Poidomani.Consiglio di Amministrazione: Luca D’Aprile Lorenzo Fazio,Cinzia Monteverdi,Antonio Padellaro.

  6. Guido Roberto Vitale e’azionista della casa editrice Chiare Lettere che,come Telese puo’confermare,ha un’influenza molto bassa nella”vita”del FQ.Per fugare ogni dubbio e’sufficente andare a pag19 del giornale e prendere visione della gerenza:Pres e Amm.Delegato Giorgio Poidamani.Consiglio di Amministrazione:Luca D’Aprile,Lorenzo Fazio,Cinzia Monteverdi,Antonio Padellaro.

  7. Certo che scassando Google si fanno delle scoperte INCREDIBILI!Non solo il gia’ citato Vitale non ha alcun potere nell’amministrazione del FQ ma,se anche qualcuno all’interno del sopracitato cda volesse sbolognare il direttore potrebbe farlo solo con il voto dei soci giornalisti,che sono:Travaglio,Gomez,Tinti e……Padellaro!

  8. Telese!!….stò guardando “in Onda” e ti dico,con indiscutibile certezza,che voi di La 7 e del Fatto,avete,come giornalisti,le ore contate!!…La mia imprescindibile certezza,è dovuta alla poderosa campagna che stanno conducendo,su questo blog,i recuperati camerati Renzo Conservato e il nobile Edmondo Costantès,soprattutto quest’ultimo,sul quale avevo sempre espresso una mal celata diffidenza,mi ha questa volta convinto,che è in piena attuazione il nostro “Piano Accompagnato” che a differenza del fallito “Piano Solo” del 1964 in mano a inetti generali cagasotto,questa volta andrà in porto,se continuerà la encomiabile abnegazione che i suddetti camerati dedicheranno alla causa. Non sarete mandati al confino (i posti sono limitati) ma sarete sottoposti a lavorare gratis al TG1 e a Libero,uniche testate,di rappresentare il nuovo ordine!

  9. Gentile Luca Telese,

    ho letto l’articolo “Magnus Tex, un ranger d’autore” pubblicato sul Fatto Quotidiano del 10/08/2011 e, rimanendo colpito ho pensato di scrivere una mail per esprimere il mio apprezzamento. Così ho cercato la tua mail partendo dal sito del FQ, ho cercato il tuo blog, cliccato su BIO e son finito sul tuo sito lucatelese.it (di cui ignoravo l’esistenza). Ben fatto, pulito, semplice e articoli interessanti, interi, da leggere senza distrazioni.

    Così ho letto
    – Quelli che per un baule di Gucci…
    – Se i due conduttori studiano strategie, anche se non scritto da te ma…ero curioso, seguendo In Onda quotidianamente. Opinione personale, da lettore: solito articolo vuoto del Corriere, castelli sulla sabbia.
    – Poi ho visto il tuo intervento al Festival internazionale del giornalismo.

    A questo punto le considerazioni di partenza sull’articolo si sommano alle considerazioni riguardanti il tuo sito web.
    Il sito web, e soprattutto i contenuti del sito, sono molto interessanti. Lo visiterò spesso perchè ho notato la presenza di tutto il materiale che ti riguarda.

    L’articolo mi ha molto colpito perchè mi ha trasmesso una strana sensazione. Come se scrivere, e nello specifico la scrittura giornalistica sia nella maniera più autentica una testimonianza. E non solo informazione. Un articolo ben fatto non è solo informare, è essere una testimonianza vivente.

    E ti chiedo: ma non è forse la forza del vero giornalismo che, smuovendo gli animi, mettendo in moto le menti, tramite un’autentica testimonianza, può dare quella spinta nel prendere decisioni anche molto importanti. E non sono forse le mille decisioni di chi agisce quotidianamente che considerate unitariamente, sono la base per esempio, della nostra Italia? Capaci di creare la fortuna o la rovina di questo Paese in cui tutti viviamo?

    Il giornalismo vero è il primo nutriente per una nazione. Che ne pensi?

    P.S. limita gli articoli pieni di parole e poveri di testimonianza autentica.

    Un lettore

  10. Buongiorno Luca, mi chiamo Omar e ti scrivo da Villa Carcina in provincia di Brescia. Spero non me ne vorrei se ti do del tu senza neanche conoscerti. Sono un lettore del Fatto Quotidiano ed accanito collezionista di fumetti. Questa mattina appena uscito dall’ edicola ho notato in prima pagina con mia enorme sorpresa il tuo articolo sul ritorno del Tex di Magnus in libreria ad opera della Rizzoli. Arrivato a casa ho letto per primo e rieltto poi l’ articolo in questione, e mi è piaciuto parecchio perchè non è il solito lavoro fatto da chi di fumetto non ne capisce niente, come mi era già capitato con articoli di tuoi colleghi su altri quotidiani. Anzi direi che traspare la tua passione, sopratutto per quel grande artista che è stato Magnus al secolo Roberto Raviola. I miei complimenti. Mi viene in mente un incontro svolto a Sestola, piccolo paese sull’ appenino modenese , un paio di anni fà dove tra i vari autori di fumetti presenti c’ era anche Claudio Nizzi. Ad una mia domanda su come il Texone di Magnus fosse costato tutti quegli anni di lavoro mi rispose che Magnus era uno che amava complicarsi la vita, studiando il percorso del sole per disegnarlo in maniera esatta se la vignetta era ambienta al mattino, al pomeriggio o la sera. Anche dal pezzo che citi tu per la ferita si capisce quanto Magnus amasse la cura del dettaglio maniacale. Forse anche troppo in verità, però da quello che ho letto non era Persona da compromessi il Maestro. Alla fine comuqnue resta uno dei grandi maestri del fumetto, anche se la vera celebrità è giunta dopo la sua morte. Purtroppo è una prassi comune. Posso sperare in un domani su di un articolo su di un altro grande del fumetto italiano, scomparso presto e mai troppo venerato come meriterebbe? Mi riferisco a Dino Battaglia. Piccola precisazione, spero non me ne vorrai, sudi un paio di particolari dell’ articolo: 1) Romanini il suo amico/discepolo si chiama Giovanni e non Gabriele 2) il Tex di Magnus non è mai stato un fumetto difficile da reperire, l’ unica edizione rara è quella nella versione gigante edita da Alessandro Editore, mi pare nel 1997 . Più che rara è costosa da comperare sul mercato collezionistico. Piccole puntigliezze da collezionista. Volevo anche dirti grazie, che estendo a tutta la redazione, per averci dato il Fatto Quotidiano, un raggio di luce nel buio informativo che oggi purtroppo c’è nel nostro paese! Cordiali saluti. Bacis Omar

  11. Caro Omar, su Romanini ho avuto un lapsus…. Ma sulla piazza di Roma il texone di Magnus era battuto a 20!

  12. B-E-L-L-I-S-S-I-M-O. Complimenti Luca

    Vincenzo

  13. G-R-A-Z-I-E!

  14. Caro Luca,

    veramente bello il tuo lungo pezzo su Magnus uscito oggi sul Fatto. Degno di essere ritagliato e conservato, cosa che infatti mi accingo a fare per collocarlo in una delle cartelline in cui da tanti anni ripongo articoli e ritagli di argomento fumettistico. Proprio in ragione della comune passione per Magnus, mi sembra giusto farti presenti, in amicizia e da studioso del fumetto quale sono, alcune imprecisioni contenute nel tuo pezzo. Confido che apprezzerai lo spirito da “correzione fraterna” che ha orginato la lista qui sotto.

    Un saluto e a presto!

    Giuseppe

    – Romanini si chiama Giovanni e non Gabriele.
    – I Briganti furono realizzati negli anni 70 e 80, non negli anni 90.

  15. Dottore Hugo Spadafora è venuto da Costa Rica a Panama il 13 settembre 1985, quando fu arrestato dai soldati del dittatore Manuel Antonio Noriega (1968-1989), entrò in un quartier generale e due giorni dopo il suo corpo torturato e decapitato è stato trovato scaricati in Costa Rica a poche metri dal confine con Panama. Due mesi dopo la sua morte, suo padre è morto di un attacco di cuore, chiedendo giustizia per suo figlio. Noriega e gli altri 9 coinvolti nell’omicidio mai detto la verità. La sua testa non fu mai trovato. Hugo era un italiano.

    Il responsabile della sua norte e Manuel Antonio Noriega è stato in prigione per crimini como trafficante di droga, trafficante di armi Ma non per gli omicidi commessi a Panama, tra la morte di Hugo.

    Oggi, 29 anni dopo il suo brutale assassinio la sua famiglia continua a chiedere giustizia. Abbiamo solo la possibilità di raggiungere con l’aiuto del popolo italiano. Chiediamo alle autorità italiane di rispondere alla nostra domanda legittima questo fatto può mettere l’Italia come un campione della giustizia agli occhi del mondo, incarcerando Noriega per l’omicidio di un cittadino italiano ucciso in un paese straniero. Noriega è un prigioniero di Francia per il riciclaggio di denaro, ma non per la decapitazione di nostro fratello, un cittadino italiano.

    La nostra famiglia ha una lunga storia di lotte per la democrazia, giustizia e diritti umani a Panama. Abbiamo fatto grandi sacrifici alla ricerca di giustizia per il nostro fratello Hugo ma il sistema di giustizia di Panama è estremamente corrotto. La gente di Panama, in generale, concordano sul fatto che Noriega sarà presto, dopo il suo ritorno, a piedi libero a causa di una serie di leggi che sono state appositamente riformate per accogliere il ritorno di Noriega a Panama. Ciò significa che Noriega non pagherà i 20 anni che deve servire di carcere per la decapitazione di nostro fratello e per tanti altri crimini commessi durante la sua dittatura (21 anni). Inoltre i suoi avvocati a Panama hanno cominciato a richiedere la restituzione dei beni confiscati dal governo panamense con l’idea di riceverlo, come se nulla fosse accaduto qui, tutto indica che stanno andando a ripristinare gran parte di questa ricchezza a lui. La proprietà è stata proventi di riciclaggio di denaro e appropriazione indebita di beni dello Stato.

    Il governo panamense ha richiesto l’estradizione di Noriega dalla Francia, dove stava scontando una condanna a 10 anni per riciclaggio di denaro che si è concluso in soli due anni di prigione, e il suo ritorno a Panama può avvenire nel giro di poche settimane. Dopo l’estradizione avviene, tutti i nostri sforzi per assicurare che questo criminale non cammina libero sarà andato.

    Se la autorità italiane chiedono l’estradizione di Noriega a suolo italiano per la morte di uno dei suoi cittadini, allora sarà fatta giustizia e pagato a nome di tutti i suoi terribili omicidi e morti. Popolo Italiano questo dittatore che deve la sua vita a centinaia di panamensi, che impianto il terrore per tanti anni potra godere della libertà e della ricchezza, mentre le vittime hanno solo silenzio e dolore. Abbiamo bisogno del vostro sostegno per evitare che questo succeda. I nazisti giudicati a L’Aja sono stati perseguitati a livello internazionale fino a quando non sono stati assicurati alla giustizia. Quest’uomo, Noriega, non è meno di un criminale di quelle. L’Europa deve assicurare che non cammina libero. Dal momento che Hugo è l’italiano, l’Italia è l’unico paese che può fermare questa estradizione accada e portando l’assassino alla giustizia reale.

    Stiamo pregando per gli appuntamenti con le autorità giudiziarie e politiche d’Italia nei prossimi giorni, è urgente, abbiamo poche ore prima viene inviato Noriega a Panama, a sentire il nostro caso. Viviamo in Panama, ma la nostra famiglia è pronta a volare in Italia immediatamente. La risposta a questa richiesta per il pubblico breve è l’unica possibilità di fare giustizia reale per il nostro fratello. Dott. Alessandro Tirelli, il nostro avvocato ha già richiesto rispettosamente un appuntamento con il ministro della Giustizia, e dobbiamo solo sperare che SE. il ministro della Giustizia ci darà questa opportunità, così come qualsiasi altra autorità che possa iutarci.

    Grazie per essere il nostro grido di giustizia,

    Guido, Alida, Carmenza, Stella e Rita Spadafora
    Panama

  16. Bell’ articolo Telese, davvero, senza ironia.
    Magnus è stato veramente un grande, ricordarlo mi porta indietro nel tempo, quando Bologna era un crocevia di talenti.
    Ricordo anche Bonvicini (Bonvi), lo vedevo spesso passare a piedi per via San Mamolo col suo immancabile toscano: morì pochi mesi prima di Magnus, investito da un auto proprio mentre andava al Centergross da Red Ronnie a Roxy Bar per parlare di Magnus e della sua malattia.

    Poi però venne il tempo di Andrea Pazienza e tutto cambiò.

    Frigidaire, Il Male, Cannibale, Metal Urlant, Pentotal, Zanardi, Rank Xerox, Artiglio Pellerano, Verde matematico, le radio libere, Radio Alice, il Tondelli di Altri Libertini e soprattutto i sogni sull’ Autobahn, il DAMS, il muretto del Moretto, Scozzari, Liberatore e tante altre storie e nomi di quegli anni che mi ritornano in mente per poi di nuovo scomparire.
    Begli anni, e come sempre, irripetibili.

  17. @ Anarchico Contropacco

    Dal 6
    “come Telese potra confermare,a un’influenza molto bassa ”
    Complimentissimi! :)

    Dal 7
    metti la h, poi però…
    “Giorgio Poidamani”
    eppure prima l’avevi scritto giusto :D

    Dai, al terzo tentativo ti verrà bene, concentrati! :D
    __________________________

    @ da Fogliano

    Ohh ciccio, la gag del falso fascistello è già vecchia, conosci altro o sai solo fare quella?
    Non so nemmeno se ridi tu: nel caso fatti guardare da uno bravo, ancora meglio se sono due o tre :D

  18. @ Luca Telese in personcina

    La tua passione per Magnus è scontata, in pratica il supereroe che ruba ai poveri per dare ai ricchi sei tu, uguale uguale, spiccicato :D
    Guarda che roba!
    http://3.bp.blogspot.com/_67ZIFl3qENU/TSx8-fPXQTI/AAAAAAAAAMQ/tMlL8DYYSGI/s1600/superciuk_logo.jpg

    Piuttosto, rispondi solo a chi ti slinguazza o azzardi anche risposte alle domande inopportune? ;)
    Te ne avrei lasciate alcune, vedi tu…

    Ti aspetto, caro Luca

  19. Bellissimo articolo, complimenti caro Luca! L’avrei visto benissimo come prefazione del libro della Lizard dedicato al Tex del Maestro.
    Consiglio a tutti di visitare Castel del Rio e i boschi circostanti…ad ogni curva mi aspetto che mi spunti Wong o qualcuno dei Vendicatori! Ricordo anche i due giorni 16 e 17 settembre dedicati a Magnus.
    Quante personaggi soprendenti avrebbe potuto regalarci in questi 15 anni: penso con rammarico al Conte Notte.
    Un abbraccio a tutti i Magnusiani te compreso!

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