La Verità

2 Luglio 2019
Gianluigi Paragone: «Forza Facebook, ci farà uscire dall’euro»

«Vuoi sapere la più bella?».
Certo.
«Mentre facevo le ricerche per il mio libro mi sono imbattuto nella pubblicità di un “mutuo vegetariano”. Mi spieghi che cosa cavolo e un “mutuo vegetariano”?».

Sei tu che devi dirmelo.
«E un mutuo come gli altri. Ma costruito per abbindolare i gonzi all’insegna dello slogan: “Il nostro mutuo somiglia a noi”».

E non è vero?
«Dovrebbero dire: “ll tuo mutuo ci serve”».

Gianluigi, hai scritto un pamphlet contro la vita a rate, perchè?
«Stiamo entrando in una dinamica che non era italiana».

Quale?
«Stiamo creando un sistema per cui io ti do dei soldi e tu in cambio mi chiedi dei diritti».

In teoria i crediti sono considerati una opportunità.
«Così dicono. Però poi devi sostenerlo questo prestito».

Problema tuo.
«Il problema e come guardi le cose. Nel tempo della flessibilità il cumulo di debiti può diventare molto rapidamente più oneroso di una pietra al collo».

E poi che cosa succede?
«Non hai una busta paga ma hai un debito, e per pagare le rate sei disposto ad accettare quello che non avresti mai pensato di accettare».

Vuoi dire che tutte queste strategie sono funzionali a un disegno di moderno schiavismo?
«No, non c’è un complotto diabolico. C`è un sistema per cui accade, in modo apparentemente naturale. Fare indebitare la gente aiuta a sostenere la bolla dei consumi, ma anche ad avere in mano le vite».

Una strategia del debito seduttivo. Costruita per abbindolare le persone.
«Ma è evidente! Con le stesse strategie di marketing con cui ti vendono le auto, la pasta, i profumi, ti vendono la catena con cui ti leghi al tuo debito».

È una catena che scegli.
«Ma se non gradisci un prodotto non ne puoi uscire. Molti sono impreparati e inconsapevoli di quello che sottoscrivono. Sempre più italiani sono intrappolati».

C’è un numero?
«No, questo e il punto. Ma sai quanti italiani sono diventati “cattivi pagatori”? Sono sfrattati e indebitati. A quel punto sei loro prigioniero. E cosi arrivi al passaggio successivo: se non vuoi morire affogato mi vendi te stesso».

Quando avviene questo passaggio?
«Nel libro lo racconto nel dettaglio. Quando la cessione delle sofferenze e diventata un mercato, si è scoperto che è un mercato ricco».

Perché?
«Perchè quello è il momento in cui i beni si svalutano e gli speculatori fanno profitto».

E quando finisce la catena?
«Proprio qui. Quando la sfida finale diventa quella tra ultimi e penultimi. Sai cosa dice padre Alex Zanotelli? Potete provare a ignorarli, ma i poveri non vi faranno dormire».

Inizio l’intervista con Gianluigi Paragone sul suo ultimo libro e mi trovo coinvolto in questo vertiginoso ping pong. La vita a rate (Piemme) è il seguito ideale di Gangbank. Un viaggio senza rete al confine tra ricchezza e miseria.

Sei cresciuto a Varese, ma tuo padre era un orgoglioso terrone.
«Papà viene da San Giorgio La Malara, in provincia di Benevento. Anche io, quando andavo giù, parlavo solo il dialetto».

Che lavoro faceva?
«E’ stato top manager di Seat pagine gialle. Uno dei primi agenti di Italia, per fatturato e reddito».

E tua madre?
«E’ sempre stata a casa. La nostra educatrice. Aveva fatto le magistrali».

Hai vissuto anche a Pescara.
«Avevo 5 anni, poi sono tornato a Varese».

Che cosa sognavi di diventare?
«Non ho sbagliato di molto: il giornalista sportivo».

Tuo padre parlava di politica?
«Era socialdemocratico. Aveva votato Psdi, poi socialista fino al patatrac di Tangentopoli».

Fai il classico al Cairoli, il liceo delle élite varesine.
«Lì ho conosciuto il mio migliore amico, Alessandro Altieri, senatore del Pd e mio testimone di nozze. Siamo usciti insieme da scuola con la maturità ed entrati insieme in Parlamento».

Eri fanatico degli sport.
«Uhhhh… Ho fatto basket calcio, judo e nuoto. Poi suonavo il pianoforte. E ho fatto anche una lunghissima esperienza con lo scoutismo».

Volevi diventare Superman?
«I miei erano convinti che lo sport fosse un antidoto alla droga».

Eri rappresentante di classe, poi lo sei diventato di istituto con il Fronte della gioventù.
«Si, il primo anno ero in una lista dei giovani del Msi, perché mi piaceva follemente una ragazza che l’animava. E non sono stato eletto».

E l’anno successivo?
«Sono stato eletto con una lista meno caratterizzata».

Maturità con il botto.
(Ride). «Macchè. Il minimo».

Università?
«Giurisprudenza».

Però anche a fare il giornalista alla Prealpina.
«Inizio da zero, facendo i tabellini».

E poi?
«E siccome ero bravino, cresco. Con Tangentopoli c’è bisogno di forza lavoro ed esplodo».

Quando?
«E’ difficile dire: ricordo che un’intervistona a Maroni è stata la mia prima pagina importante».

Diventi amico di Giorgetti.
«Da cronista l’ho conosciuto come sindaco di Cazzago Brabbia. Ma conoscevo anche suo padre, il mitico Natale Giorgetti presidente della cooperativa dei pescatori del lago di Varese. E ricordo le giornate passate a discutere del luccio perca».

E com’era il giovane Giorgetti?
«Suonacchiava la batteria: grande tifoso della Juve ed esperto maniacale di calcio inglese».

Primo salto di carriera?
«Direttore della tv di Varese».

Come diventi direttore della Padania?
(Ride). «Non designato da una commissione di saggi: Giorgetti ne parla con la moglie di Bossi e mi ritrovo con i gradi sul petto».

Quando hai conosciuto il giovane Salvini te lo immaginari leader?
«Sinceramente non lo avrei mai detto. Nessuno lo avrebbe mai detto».

E in seguito?
«Ho capito che poteva rovesciare i rapporti di forza quando ha iniziato a masticare i temi dell’Ultima parola. Ha avuto coraggio».

Arrivi in Rai e onestamente riconosci di esserci andato in quota Carroccio.
«Direttori, dirigenti e molti conduttori: chi professa una assunzione in quota Spirito Santo, a viale Mazzini racconta balle».

Sei entrato con cravatta e occhiali e sei uscito sovranista.
«Direi di più: antieuropeista. Meglio ancora: antiunionista».

In quel periodo ti sentivi anche con Berlusconi.
«E’ durato poco. Il modo dell’Ultima parola non era il suo».

Hai cambiato pelle, idee.
«Si. E in questa metamorfosi sentivo sempre maggiore l’esigenza del settimo piano Rai di controllarmi».

Come?
«Volevano le scalette».

Ahia.
«Mi difendevo mandando scalette false».

E poi?
«Gubitosi cercò di controllarmi sempre di più. Criticavo Napolitano, davo la parola a don Gallo e tanti eretici. Barnard. Messora. Cremaschi».

Sinistra e destra.
«Tutti quelli che pensavano diversamente. L’Italia era nelle mani di Mario Monti».

La Rai prova a promuoverti e a rimuoverti.
«Mi danno una trasmissione musicale. Io maschero L’Ultima parola. E allora arriva un ometto di Cubitosi e mi dice: “Tu non devi parlare di politica”. Prevedibile, visto che Gubitosi di tv non capisce un cazzo».

Gianluigi, non esagerare.
«Mi chiama Cairo. Aveva bisogno di qualcuno forte e gli piaceva il programma: nasce la Gabbia».

Quale delle due creature preferisci?
«Gli ultimi due anni in Rai sono il preludio di quel che abbiamo fatto a La7: inchieste toste, fatti, polemiche».

Poi te ne vai.
«Arriva Salerno e mi dice che non rientro nei suoi programmi».

E tu entri nell’orbita del M5s.
«Da anni parlavo con Pietro Dettori, Alessandro Di Battista, Davide Casaleggio. Più che un andare è stato un restare dove ero».

Parli con Casaleggio?
«Ho un rapporto dialetticamente stretto: discutiamo di futuro, di blockchain».

Trascriviamo uno di questi dialoghi.
«Oggi, dopo il progetto Libra, è ridicolo attardarsi a criticare i minibot».

Perchè?
«Conoscevamo bitcoin e le monete sorelle, le valute del deep Web. Con la moneta di Facebook si fa uno scatto epocale. La criptovaluta si àncora a un paniere solido».

Sei critico?
«Domanda senza senso. Il punto è: chi ha le redini di questa operazione? Le nostre classi dirigenti non capiscono».

Perchè?
«Ragionano con il futuro anteriore. Ovvero con una idea futura che è già avvenuta».

E invece?
«Il mondo gira con il futuro semplice. Si va verso un orizzonte ignoto».

Esempio?
«Ancora parlano di uscita dell’Italia dall’euro o no».

E non è un bivio?
«No. Fra tre anni, con la Libra, i miei figli usciranno autonomamente dall’euro. Con un click».

Ma sei favorevole o contrario ai minibot?
«Sono favorevole anche a Pippo. Purche paghino i debiti. La semplice compensazione, la soluzione più logica, non la vogliono adottare».

Hai visioni orwelliane?
«Si autorizza una valuta da 2,7 miliardi di persone. Non so se l’Europa saprà fronteggiare una potenza di questo tipo».

Qualcuno dice che è un grande salto di civiltà.
«Dobbiamo riflettere. Non sei più cittadino di uno Stato protetto dalla Costituzione. Ti trovi in un “non luogo” di proprietà di un’azienda privata».

Ha ragione Di Maio sull’Ilva?
«Facile o difficile è la battaglia giusta: non si barattano i diritti. Non devi essere costretto a barattare diritto al lavoro e diritto alla salute».

Può lavorare Arcelor senza scudo?
«Sì, perchè lo scudo penale serve per aggiustare l`Ilva. E’ a tutele progressive. A lotti. Lo spiega bene Mario Turco, il senatore della Commissione finanze che sta seguendo Ilva. E’ una sottrazione progressiva di garanzie quando si raggiungono gli obiettivi del cronoprogramma di bonifiche e adeguamenti. E’ folle?».

Che cosa?
«Strano Paese quello dove non mandi a scuola i bambini non vaccinati e poi dai lo scudo ad Arcelor se non rispetta gli impegni».

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