La Verità

15 Luglio 2019
«Chiediamo maggiori poteri, ma nemmeno un euro in più»

Il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini: «Vogliamo gestire meglio le risorse che abbiamo. Temo però che se nel governo prosegue questo scontro ideologico non se ne farà nulla».

Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna, nel momento in cui esplode la grande polemica sulle autonomie, non teme di essere considerato un traditore della patria, almeno a sinistra?
«La mia patria è l’Italia, una e indivisibile, e il mio compito è far funzionare al meglio l’Emilia-Romagna. ll resto sono chiacchiere che non parlano del merito».

E il merito quale è?
«La nostra è una regione con una profonda tradizione di buongoverno e di autonomia, mai disgiunta dall’interesse nazionale e dalla solidarietà con gli altri territori».

Lei sta sostenendo Lombardia e Veneto?
«Sostengo l’Emilia Romagna. E credo che il centrosinistra debba avere una propria proposta di buona autonomia, capace di coniugare l’efficienza e la responsabilità di governo locale con l’interesse nazionale».

Questo modello per lei può diventare il progetto di tutto il Pd?
«Perchè no? Noi lo abbiamo condiviso con tutte le rappresentanze sociali e istituzionali del nostro territorio. Non ha ricevuto un solo voto contrario nell’Assemblea legislativa regionale, neppure dall’opposizione, Lega e 5 stelle compresi. Se il Pd facesse altrettanto sarebbe una buona cosa».

A sinistra si pensa che l’autonomia rischia di diventare la secessione delle regioni ricche che si separano, senza spargimenti di sangue, da quelle povere.
«La nostra proposta non chiede allo Stato un euro in più di quanto già non stia spendendo sul nostro territorio. Dunque non togliamo nulla ad altri. Questa critica non può certo essere rivolta all’Emilia Romagna».

No?
«Noi non abbiamo mai invocato i famosi residui fiscali nè abbiamo accettato che ci si possa attestare sulla spesa media per funzione».

E allora che cosa cambia?
«Chiediamo che si definiscano sia i fabbisogni standard sia i livelli essenziali delle prestazioni, perché lo stesso diritto deve valere come tale in ogni parte del Paese».

Il principio di sussidiarietà resterebbe intatto?
«Siamo da sempre favorevoli al fatto che i territori più forti diano una mano a quelli più fragili, purché tutti si pongano il problema di essere più efficienti».

Stefano Bonaccini. Modenese, 52 anni, governa l’Emilia Romagna dal 2014. In questi mesi ha associato la sua voce – da sinistra – a quella di chi chiede più autonomia. In questa intervista spiega come. perché, e respinge ogni accusa dì «fare il gioco del giaguaro».

Con l’autonomia l’Emilia Romagna migliorerebbe la sua efficienza?
«Di sicuro. Superare le sovrapposizioni istituzionali, ridurre frammentazione burocratica e tempi di risposta a cittadini e imprese, rafforzare la programmazione: sono gli obiettivi che ci siamo posti».

E tutto questo senza un euro in più?
«Non si tratta di avere più risorse, ma certezza e programmabililà per poter spendere bene».

Mi faccia un esempio.
«Glielo dice il presidente di una Regione tra le meno indebitate, che ha centralizzato gli acquisti risparmiando centinaia di milioni di euro, che è la più veloce nell’impiego dei fondi nazionali ed europei, che è regione benchmark in sanità. Le basta?».

In linea di principio sì. Ma facciamo un esempio concreto.
«Noi abbiamo chiesto competenze in ambito di rigenerazione urbana, e abbiamo approvato una legge che blocca il consumo di suolo».

E l’autonomia che cosa c’entra?
«È decisivo avere organicità delle norme e un unico fondo regionale, in cui far confluire le nostre risorse e la quota parte di quelle nazionali e he ci spettano».

Che cosa cambierebbe?
«Cosi potremmo garantire regole certe di intervento e risorse programmabili per il sostegno alla riqualificazione e al recupero degli spazi urbani nei Comuni».

Non teme, ammesso che questo vostro sia un percorso virtuoso, di diventare il grimaldello che fa saltare il principio di sussidiarietà?
«Al contrario: la sussidiarietà è quel principio per cui è giusto che una funzione sia gestita il più possibile vicino ai cittadini».

Il rischio è che, un volta saltato il vecchio sistema nazionale, ne nasca uno nuovo in cui ognuno contratta per sé.
«Noi non abbiamo chiesto più competenze per la Regione, ma per il sistema territoriale regionale, dove i Comuni sono protagonisti. Da noi nessuno paventa il rischio di un neocentralismo regionale: non è nel nostro dna. Il nostro compito è legiferare e programmare, la gestione spetta agli enti locali».

La sua battaglia è la stessa di Zaia e di Fontana? O ci sono differenze?
«Abbiamo svolto un percorso comune, ma su progetti diversi. Noi, ad esempio, non abbiamo mai chiesto la regionalizzazione della scuola, o delle concessioni autostradali, nè la tutela ambientale e del patrimonio storico».

Mi sembra di sentire un ragazzo che dice alla madre dopo una serata con gli amici: «Loro fumavano ma io non ho aspirato…».
«Premesso che non ho mai fumato. Sto parlando seriamente e al fondo c’è questo: Veneto e Lombardia hanno chiesto quanta più autonomia possibile, mentre per noi l’autonomia non è un fine, ma uno strumento con cui realizzare obiettivi di miglioramento».

Ad esempio dove?
«Messa in sicurezza di edifici e territorio, programmazione della gestione dei rifiuti, edilizia sanitaria. Per ogni obiettivo abbiamo fatto una ricognizione degli strumenti necessari e quelli abbiamo chiesto, non uno di più. E non ce n’è uno che divida il Paese o penalizzi altre Regioni».

Che cosa ha capito del progetto del governo? Che cosa le piace e cosa no?
«Manca un disegno complessivo. Se devi rapportarti con tre o quattro Regioni, devi anzitutto chiarire sulla base di quali criteri accorderai o no determinate funzioni».

E poi?
«Manca la cornice del disegno: fabbisogni standard e livelli essenziali delle prestazioni».

Bisogna dettagliare tutto prima di poter attuare l’autonomia?
«Devi fissare, con il Parlamento, e con tutte le Regioni, i paletti entro cui vuoi disegnare la devoluzione di determinate competenze».

Con il ministro Stefani ci parla?
«Ho un ottimo rapporto con la ministra, con lei la collaborazione è costante e leale. Ma un ministro, da solo, non può comporre il tutto se manca la volontà del governo nel suo insieme di determinare un risultato».

E che cosa manca?
«Da oltre un anno ogni settimana ci dicono: “La prossima settimana si chiude!”, aggiungendo roboanti interviste e annunci. Dopodiché non solo non accade nulla, ma aumenta la litigiosità tra Lega e M5S! Un teatrino imbarazzante e surreale».

Si può immaginare un sistema a macchia di leopardo in cui alcune Regioni avocano le competenze su alcuni temi e alcune su altri temi?
«Se hai definito la cornice e le funzioni che intendi trasferire si, e non sarebbe un Paese a macchia di leopardo, bensì uno Stalo in cui si ottiene autonomia differenziata su specifiche funzioni nell’ambito di una cornice nazionale comune. Devolvere l’organizzazione delle aziende sanitarie o la valorizzazione dei beni culturali non comporta un arlecchino, così come il riordino delle funzioni tra Regione, Province e Comuni nei procedimenti amministrativi in materia ambientale. Cosa diversa è invece se decidi di frantumare il reclutamento e la contrattualizzazione degli insegnanti. È decisamente più complesso, a parte le valutazioni politiche, tenere insieme a quel punto regimi diversi».

Si può dare alle regioni la possibilità di assumere gli insegnanti senza passare per il ministero?
«Credo che il sistema nazionale di istruzione sia oggi ancor più necessario di ieri, se vogliamo costruire cittadinanza. Per questo l’Emilia Romagna non ha mai chiesto nè di assumere gli insegnanti nè di fare contratti territoriali».

Però anche voi volete il controllo sugli organici.
«Programmare, non controllare. Abbiamo chiesto di programmare i fabbisogni degli organici di concerto con il ministero, perché conosciamo i nostri andamenti demografici molto meglio del governo».

Mi faccia un esempio.
«È inaccettabile che ogni anno a settembre i nostri ragazzi inizino la scuola senza avere ancora gli insegnanti che li devono accompagnare tutto l’anno!».

Volete anche più poteri sull’edilizia scolastica.
«Abbiamo chiesto di gestire con Province e Comuni le risorse che già ci spettano, non un euro di più».

Perché lo fate meglio?
«Dopo il terremoto del 2012 tutti gli edifici furono danneggiati e resi inagibili. Eppure nessun ragazzo perse un solo giorno di scuola e oggi tutte le scuole sono più sicure e moderne di prima. Si chiamano efficienza e programmazione, che è quel che chiediamo».

Lei rappresenta la Regione dove è nato il tricolore: questo processo di negoziazione mette a rischio l’unita del Paese o no?
«Se gestito con gli obiettivi e i paletti che ho indicato certamente no, è anzi una grande occasione di ammodernamento e semplificazione dal basso».

C’è un’altra possibilità?
«Se invece l’esito fosse affidalo a un braccio di ferro tra due forze politiche ogni esito diventa possibile».

Lei che cosa prevede?
«Temo che alla fine non se ne taccia nulla come spesso avviene in questo Paese».

E che cosa può impedire questo risultato?
«Ho sfidato il governo ad abbandonare lo scontro ideologico e assumere il nostro progetto come possibile impianto per coinvolgere tutti. Sarebbe una rivoluzione gentile ma concreta, responsabile».

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