La Verità

8 Luglio 2019
Porti chiusi? Il M5Stelle sta con Salvini.

Dice il sottosegretario pentastellato Mattia Fantinati: «La linea del vicepremier è quella del governo. Fico non condivide? Il contratto è stato sottoscritto da tutti. Mediterranea non doveva sbarcare: l’Italia è stata lasciata sola. E l’Europa latita»

Sottosegretario Fantinati, cosa ha pensato quando ha visto la Mediterranea attraccare a Lampedusa?
«Siamo rimasti troppo soli nella gestione dei migranti».

Non dovevano sbarcare?
«No. Ci sono delle regole che devono essere rispettate. Non può essere che di fronte a un problema epocale solo gli italiani paghino il prezzo di questa emergenza».

Quale e il suo primo cruccio?
«Una domanda semplice e dritta: l’Europa dove sta? Il problema va gestito da tutti».

Questo significa che lei è d’accordo con la linea Salvini?
«Matteo Salvini è ministro di questo governo. La linea Salvini è la linea del mio governo».

Ed è giusta?
«Abbiamo ridotto gli sbarchi. Abbiamo costretto l’Europa a ripartire le quote. Se qualcuno mi può indicare un risultato migliore si faccia avanti».

Roberto Fico non sarebbe d`accordo.
«Fico fa, bene, il presidente della Camera. La politica di M5s e Lega è quella del contratto di governo che tutti abbiamo sottoscritto».

Si sente fìloleghista?

«Io sono un ingegnere, abituato a ragionare sui fatti. Poi sono un politico, devo risolvere il problema strutturale. Non per una volta. Ma per sempre».

Quindi giusto chiudere i porti?
«Se serve una volta chiudere i porti, per il nostro obiettivo, chiudiamoli. E’ una linea condivisa. Non solo di Matteo Salvini, ma anche di Luigi Di Maio e Danilo Toninelli».

Durerà il governo?
«Certo. Ho letto montagne di retroscena che si sono polverizzati di fronte ai fatti».

Perché?
«Al di là di tutto quello che si legge siamo qui, e facciamo tantissime cose».

È contro le grandi opere?
«Con la professione che faccio sarebbe una bestemmia. Sono contro i grandi sprechi».

Quindi si alle grandi opere quando?
«Se sono fatte in maniera sostenibile. Se non servono ad alimentare la corruzione».

Mi faccia un esempio.
«Il Mose. C’è stato una scandalo enorme. Sperpero dei soldi dei cittadini. E’ un progetto vecchio, forse non funzionerà mai. Chi può essere a favore?»

Lei e contro la Tav?
«Sull’alta velocità non ho obiezioni. Sulla Torino-Lione le dico: anche quel progetto è vecchio di 30 anni».

Quindi è contro?
«Non è prioritario, se uno si prende la briga di leggere l’analisi costi-benefici».

Lei è favorevole anche alle autonomie.
«Perchè me ne sono occupato. So di cosa parlo».

Anche in questo ha posizione filoleghiste.
«Io sono Veneto. Per noi il referendum è sacro. I veneti hanno votato, ed è stato un atto di sovranità democratica e popolare».

Perchè va fatta?
«La riforma del titolo V ha ingessato le procedure. Serve cambiare. Ma bene».

Mi faccia un esempio di una cosa da correggere.
«Uno semplice, sulle mie materie di competenza: Luca Zaia vuole l’agenda digitale veneta. Io penso a un protocollo unico esteso a tutta Italia. La lingua del Web è globale, non ha senso una agenda locale».

Perchè?
«Perchè voglio creare un sistema che funzioni ovunque. Lo fai a Verona, o a Napoli, poi funziona dappertutto».

Mattia Fantinati, sottosegretario alla Pubblica amministrazione. Veronese. Classe 1975. Militante M5s di lungo corso, deputato dal 2013. Fa parte dell’ala pragmatica e più moderata del governo gialloblù.

Da quanto tempo è un grillino?
«Sono entrato con gli amici di Beppe Grillo nel 2013. Pagavo il biglietto, applaudivo e tornavo a casa. Ma ero in Rete e leggevo il blog ogni giorno».

Primo passo?
«La candidatura da consigliere circoscrizionale. Non sono stato eletto per quattro voti. Ma è stata quella avventura che mi ha dato la possibilità di contarmi».

Chi conosceva dei big?
«Nessuno. Nè Di Maio nè Alessandro Di Battista».

E Beppe Grillo?
«Ci troviamo in un ristorante. Parliamo della situazione del Veneto. Io gli raccontavo delle tematiche legate al contesto, al territorio, e lui ti resettava, perchè nelle risposte guardava molto avanti».

Intanto fa il suo percorso professionale.
«Dipendente per aziende veronesi e bresciane, nel metalmeccanico. Mi specializzo sulla digitalizzazione».

Con chi parte?
«Con la Viendi. Due milioni di lire al mese. Ho avuto questa fortuna incredibile mi sono venuti a cercare prima che mi laureassi: stipendio, contributi, tredici mensilità».

Però va via lei.
«Dopo un anno e mezzo. La lascio e vado alla Salvagnini di Vicenza, ambiente tutto diverso. Lascio una azienda che aveva dei pro e dei contro, ma ti responsabilizzava molto e vado una multinazionale, che ha più opportunità. E poi passo alla Pedrollo».

Ma lascia anche quella.
«A 30 anni apro un mio studio di consulenza».

Chi la finanzia?
«Nessuno. Investo io 15.000 euro, con un amico. Risparmiati tutti lira su lira».

E come va?
«Primi due anni durissimi. Investo su me stesso. Vado per mesi in Inghilterra e Cina. Seguii corsi molto costosi. Alla London School of economics spendo 3.ooo euro un mese».

Voleva la pena?
«Uhhhh. Capisco dopo quanto mi servono. Prendi i cinesi: sono completamente diversi da noi come visione del mercato. Tornato a Verona avevo una marcia in più».

Esempio di mentalità cinese?
«Devi essere molto operativo, molto pragmatico. Ogni parola in più e sprecata».

Quanto guadagnava quando si candida?
«Più di 8o.ooo euro. E sono uno che dichiara tutto fino all’ultimo centesimo».

Come vi chianiavate?
«Sunering: facevo impianti fotovoltaici».

Perche parla al passato?
«Ho lasciato tutte le quote al mio socio. Mi volevo dedicare alla politica e volevo zero conflitti di interesse».

Non avrà nulla a cui tornare quando smette.
«È vero. Ma sono un veneto positivo, convinto dei suoi mezzi, so che dopo questa esperienza straordinaria qualcosa troverò».

Ha comprato una casa?
«No. Vivo in affitto».

Non teme di impoverirsi?
(Ride) «Può essere! Ma mi piacciono le sfide. Mi sono messo in proprio nel 2002, l’anno dopo le torri gemelle. Tutti dicevano: “Sei pazzo. Si figuri se mi spavento».

Momento più duro?
«Quando sono passato a occuparmi delle energie rinnovabili. Non avevamo ordini. Ci siamo rimboccati le maniche».

Lo dice con spirito fatalista.
«ln Veneto siamo fatti così. Ero uno dei tanti. Nè meglio né peggio degli altri».

Sua moglie che fa?
«Ci siamo conosciuti in un met up del Movimento, si chiama Federica Chignola. Lavora in una scuola, e si occupa di programmazione di corsi».

Uno come lei cosa ci fa alla Pubblica amministrazione?
(Ride) «Sono al posto giusto. Bisogna farla diventare operosa la Pa».

Con lasua ministra, Giulia Bongiorno, come va?
«Ho un rapporto molto buono. È una persona molto preparata, la stimo».

E quante volte avete litigato?
«Mai. Ho fatto un evento sui fondi europei e ha parlato anche lei: siamo una coppia unita. Da parte mia c’é simpatia e anche rispetto».

Non sia cosi istituzionale che non ci credo.
«Poco tempo fa le ho fatto anche conoscere mia moglie. È un bravo professionista. Una che dice: “Per me si fa così”. E va dritta per la sua strada».

Ed è soddisfatto dei risultati?
«Valuti lei. Dopo dieci anni di blocco abbiamo riavviato il turn over. Abbiamo detto ci servono nuove competenze».

Purchè arrivino.
«Con il decreto Concretezza abbiamo ottenuto concorsi più veloci. Le pubbliche amministrazioni potranno presentare il fabbisogno e indire concorsi».

Era così pure prima, e ci volevano anni.
«Abbiamo invertito il modello: ora prima fai e poi io ti controllo. Questo semplifica procedure e taglia tempi. Diamo più poteri alle singole amministrazioni».

Senza controllo?
«Viene fatto: ma a posteriori».

Però avete un problema drammatico.
«Quale?»

Avete perso un voto su due.
(Sorride) «Andremo a riprenderci quei voti persi e forse anche qualcuno di più».

Ottimista inguaribile?
«Non abbiamo comunicato tutto quello che avevano fatto. Lei per esempio sa che la maggior parte dei provvedimenti del governi sono firmati dal M5s?».

Però i consensi sono andati alla Lega.
«Per ora. Intanto sono rimasti in area di governo, segno che c’è consenso. E poi ci hanno bombardato dicendo che il Paese stava per fallire. Mentre riparte l’occupazione e abbiamo trovato l’accordo con l’Europa. Merito soprattutto di Giuseppe Conte».

Come fa a spiegare il reddito di cittadinanza a Verona?
«Quando ho capito i tanti benefici per il Veneto. Ci sono settori della nostra economia che hanno fatto la storia ma ora sono in crisi».

E cosa c’entra?
«Tanti lavoratori espulsi, senza reddito. Che adesso possono essere assistiti, riqualificati, e messi in nuovi settori».

Ma accade già?
«In molti posti si. Quando la gente vedrà che i meccanismi funzionano, tornerà a votarci».

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