Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Il Pd ha il terrore che salti tutto e insulta il neo alleato: «Sei un disperato».

«È un disperato». Prima una serie di dichiarazioni di colonnelli indignati, parole di fuoco, sprezzanti, retroscena all’acido muriatico. Poi, alle sei e mezza di sera, persino una dichiarazione ufficiale del segretario Nicola Zingaretti su Twitter – più prudente ma netta – per far capire che la situazione è preoccupante: «Patti chiari, amicizia lunga. Stiamo lavorando con serietà», avverte il segretario del Partito democratico, «per dare un nuovo governo all’Italia, per una svolta europeista, sociale e verde. Ma basta con gli ultimatum inaccettabili», conclude, «o non si va da nessuna parte».

Come se non bastasse, il leader del Pd annulla un incontro già preventivato (doveva svolgersi ieri) con il capo politico del Movimento 5 stelle. Tutto questo per reazione al discorso di Luigi Di Maio, per un moto di stizza dopo l’ennesimo rilancio. ll Pd rallenta, dunque, e si interroga indignato non solo per il contenuto ma anche per il tono, per quel «prendere o lasciare». Se però volete capire l’umore vero che attraversa il partito, devo ricorrere alle parole coperte che mi consegna – veramente arrabbiato – uno dei dirigenti democratici che ha negoziato (e sta ancora negoziando) il programma del governo.

Frasi ancora più venefiche, e ancora più interessanti per capire con quale rabbia al Nazareno oggi siano stati percepiti lo strappo del leader pentastellato e il suo discorso: «La verità, che non si può dire, e che siamo di fronte ad un povero disperato». Pausa teatrale. «Con la delegazione abbiamo lavorato benissimo, il dialogo è vero, costruttivo. Ma pensiamo che Di Maio incominci a credere che Conte lo stia, di fatto, spodestando dalla leadership e che questa sensazione gli stia facendo perdere la testa. Questo terrore lo mette in crisi», dice il dirigente piddino, «e lo porta a giocare la carta del ricatto».

Un altro degli uomini più vicini a Zingaretti in questi giorni, Gianni Cuperlo, aggiunge, senza chiedere off records: «Io credo che il discorso debba essere chiaro: il Pd non è un partito che può avviare un dialogo subendo la logica del ricatto. Noi abbiamo senso di responsabilità da vendere, ma anche grande dignità: il Pd non si fa ricattare. Se pensano di proseguire su questa strada, la stessa si interrompe». Poi Cuperlo aggiunge: «Oggi siamo stati subissati di messaggi della nostra base, inferociti, arrabbiati, delusi. Il Movimento 5 stelle deve sapere che non ci faremo imporre diktat, in primo luogo per il rispetto che dobbiamo a loro».

Anche Andrea Orlando insinua il dubbio più caustico: «incomprensibile la conferenza stampa di Luigi Di Maio. Ha cambiato idea? Lo dica con chiarezza». E poi Maria Elena Boschi: «Noi vogliamo evitare recessione e aumento dell’Iva. Ma proprio per questo gli ultimatum e le minacce di Di Maio sono irricevibili». Insomma un coro, che per una volta unisce le correnti del Partito democratico. Tuttavia, asciugate le dichiarazioni dell’adrenalina, dell’ansia da titolo, della vis polemica accessoria, ed avrete il senso di quello che pensano davvero al Nazareno.

Gli uomini di Zingaretti hanno letto con molta attenzione quel che hanno detto ieri i capigruppo grillini Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva (che in serata gettavano acqua sul fuoco), e persino quella frase di Conte, secondo cui il premier non avrebbe nemmeno sentito le parole di Di Maio. Da tutto questo, compreso il tenore dei colloqui, considerato molto positivo, si sono fatti l’idea che sia in corso un duello tra le due anime del M55, quelli più vicini a Beppe Grillo che lavorano alacremente per l’accordo, quelli vicini a Davide Casaleggio più freddi.

E poi – ovviamente – ci sarebbe Di Maio, che loro vedono come un ostacolo, e su cui hanno elaborato questo sospetto: sta giocando una partita personale. D’altra parte, a corroborare questa tesi, e arrivata la lettura della nota serale di Palazzo Chigi, che ha fatto fare un salto sulla sedia ai dirigenti democratici: Conte dice che stamattina prosegue il tavolo sul programma.

Cosi scelgono di affidarsi ad una nota ufficiale: «La delegazione del Pd indicata dal segretario Zingaretti e rappresentata da Andrea Orlando e Dario Franceschini ha partecipato oggi pomeriggio (ieri, ndr) ad un incontro richiesto dal presidente incaricato con i rappresentanti del Movimento 5 stelle e con lo stesso premier Conte. L’incontro», recita il comunicato, «è servito a porre l’esigenza di un chiarimento sulle dichiarazioni di Luigi Di Maio, al termine delle consultazioni, come precondizione per proseguire nel percorso avviato negli scorsi giorni».

Insomma la linea è questa: chiedere a Conte di fare il suo lavoro di premier e di tenerlo a bada lui. E poi rendere chiaro l’isolamento di Di Maio. Il vaso sarà reincollato. Ma i cocci del rapporto col capo politico del Movimento 5 stelle resteranno sul tavolo, con le loro punte aguzze.

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