Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

L’addio di Calenda e Richetti serve a Zingaretti per sgambettare Renzi.

È il tempo del «Calenda party». Ovvero quello della scissione «ottriata», cioè concessa e non sgradita a Nicola Zingaretti, contro la scissione subita, come una coltellata alla schiena dal segretario del Pd. Il progetto dell’ex ministro finisce per tornare utile a Zingaretti, quella dell’ex premier – invece – per lui e veleno allo stato puro.

Quella di Calenda ha sottratto un unico voto, non determinante alla fiducia del governo, quello di Matteo Richetti), quella di Renzi viene considerata un attentato alla sovranità dei gruppi parlamentari e del partito. Un tema di cui il segretario Pd ieri e tornato a parlare a Porta a Porta: «Come ha detto papa Francesco sullo scisma, meglio evitarlo». E ha aggiunto: «Non si capirebbero i motivi di un fatto lacerante».

E così, visto che la politica non è il luogo della geometria euclidea, ma del paradosso creativo, Carlo Calenda e Matteo Renzi dividono le loro strade e i loro destini, perché – pur procedendo apparentemente nella stessa direzione – camminano lungo due rette parallele e divergenti che non si incontreranno mai.

Di più: le due diverse traiettorie producono due esiti confliggenti e competitivi l’uno con l`altro.

Dopo tante polemiche, la frase rivelatrice per capire cosa stia accadendo è quella che Nicola Zingaretti ha pronunciato ospite di Giovanni Floris a Di Martedi: «Carlo Calenda è una personalità importante del centrosinistra, una persona che stimo. È stato molto coerente e molto coretto. L’operazione politica che sta mettendo in piedi è stata sostenuta con argomenti che pur non condividendo io rispetto». Una frase alla doppia panna che va spiegata, ma di cui i lettori della Verità possono capire il senso profondo al di là delle apparenze. Avevamo raccontato, in tempi non sospetti, di come il rapporto di stima fra l’ex ministro e il segretario si fosse cementato prima delle europee, con un patto d’acciaio sul simbolo elettorale.

Zingaretti non avrebbe considerato una lesione l’addio concordato e addirittura garbato di Calenda. Ma adesso al Nazareno si rendono conto che l’operazione diventa vitale per sbarrare la strada a Renzi. Calenda dice: «Io non ho chiesto a nessuno di seguirmi e non faccio campagna acquisti nella casa del partito che mi ha eletto».

Renzi combatte per ogni parlamentare che può strappare al suo ormai ex partito: da una parte c’è in ballo una questione di stile e di cordialità, dall’altro problemi di soldi, risorse, sedi e rapporti di forza.

Proprio per questo Calenda sta accelerando. Nessuna fase di transizione, e infatti il 9 dicembre la sua associazione politico culturale diventerà a tutti gli effetti un partito, con uno statuto e dei gruppi dirigenti autonomi. Il primo motivo per cui il suo sogno di costruire la terza gamba della coalizione di centrosinistra non dispiace a Zingarctti è, a questo punto, evidente: permettere a Calenda di occupare lo spazio centrista per sbarrare la strada all’uomo di Rignano.

E per di più l’ex ministro ha due grandi vantaggi che in queste ore gli consentono di fare il pieno di applausi nelle feste dell’Unità. In primo luogo è partito molto prima degli scissionisti leopoldini. E in secondo luogo può vantare un pedigree di coerenza politica che i suoi concorrenti hanno smarrito per strada, con la svolta dell’estate. Calenda dice alla base del Pd (che lo guarda con affetto anche quando non condivide): «Sto facendo ora quello che vi ho sempre annunciato, se ci fosse stato l’accordo con il M5s. Soffro ma devo uscire per una scelta di coerenza». Renzi – invece – non ha nessuna giustificazione politica per il suo strappo, dal momento che con la nota piroetta di agosto) ha cambiato bruscamente la sua posizione dall’ostilità assoluta del 2018 al fervore accondiscende del 2019. Calenda appare alla base del Pd come l’eroe senza macchia che nulla chiede se non testimoniare la propria coerenza le agli occhi di Zingarctti recupera i malumori di chi non ha condiviso l’alleanza giallorossa.

Renzi invece appare come un ex segretario che lascia dopo aver ottenuto da Zingaretti – peri suoi uomini – addirittura tre ministeri. Uno che fino a ieri diceva: «Io, al contrario di quello che e stato fatto a me, sarò leale con il mio successore». Così leale che l’ultimo strappo si celebrerà con la Leopolda. La prova plastica di questo stato d’animo è la difficoltà dei proconsoli leopoldini a spiegare la nuova linea sui territori, mentre le adesioni a “Siamo europei” di Calenda sono già arrivate a quota 5.000. Tra gli aderenti ci sono anche molti che simpatizzavano per Renzi.

Certo, anche per l’ex ministro non sono tutte rose e fiori. Presto la competizione con Renzi sarà feroce. Tant’è vero che Calenda pone una pregiudiziale: «Per lui la strada è sbarrata. Con lui non ci saranno accordi fusioni, convergenze». E se gli chiedi perchè, ti spiega: «Ha fatto troppe giravolte, troppe astuzie tatticistiche, non è coerente con il nostro profilo». Nelle prossime ore continuerà la campagna di reclutamento di “Siamo europei”, e l’ex ministro incontra 20-30 dirigenti al giorno tra coloro che bussano alla sua porta. Il 9 saranno annunciate nuove adesioni clamorose (sindaci di centrosinistra non iscritti al Pd, il sogno è il primo cittadino di Milano, Beppe Sala) e per rendere possibile l’accordo con +Europa di Emma Bonino ha cambiato il suo voto al Senato rispetto al si governista di Riccardo Magi, con l`obiettivo di federare i due partiti per arrivare alla soglia critica del 6%. Quando l’uomo di Rignano strapperà, dunque, si troverà tra due fuochi: da un lato il suo ex partito, dall’altro il Calenda party. Auguri.

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