La prima stroncatura arriva in tempo reale. «È una mossa grave in questa fase delicata di passaggio al rafforzamento della Banca Centrale Europea, sacrifichiamo la nostra indipendenza per voti. Ne vale la pena?». È prima mattina quando piove la censura del costituzionalista Sabino Cassese. In Transatlantico si discute solo di Matteo Renzi che sfiducia il governatore della Banca d’ Italia, Ignazio Visco. Lo sconcerto serpeggia anche nei capannelli dei deputati del Pd, accompagnato da un interrogativo comune: «Perché questa mossa?». Passano pochi minuti e – scandita da parole che per la sua lingua sono di fuoco – arriva anche la sconfessione dell’ ultimo alleato che era rimasto a Renzi nel gruppo storico del Pd, Walter Veltroni: «Da sempre la Banca d’ Italia», dice il fondatore del Pd all’ Ansa, «è un patrimonio di indipendenza e autonomia per l’ intero Paese. Per questo mi appare incomprensibile e ingiustificabile la mozione parlamentare del Pd». Seguiranno Giorgio Napolitano, devastante: «Non devo occuparmi delle troppe cose che ogni giorno capitano e che sono deplorevoli»; e Luigi Zanda, che è il capo dei senatori del Pd e di fatto smentisce il segretario del Pd dicendo che di mozioni così «meno se ne fanno e meglio è». E poi Carlo Calenda, che non commentando «per carità di Patria» commenta, eccome. Un macello, insomma. I retroscena del giorno prima sono sulla bocca di tutti: la rabbia di Paolo Gentiloni. Le urla di Piercarlo Padoan al telefono. Lo sconcerto del Quirinale. Perché, perché una mossa così conflittuale?
La prima spiegazione, ovviamente, è quella che offre lo stesso segretario del Pd: «Se qualcuno vuol raccontare che in questi anni nel settore banche non è successo niente», spiega, «non siamo noi, perché è successo di tutto. È mancata evidentemente una vigilanza efficace, come oggi il procuratore Francesco Greco ha spiegato in Commissione di inchiesta. Ci sono stati dei manager che hanno preso dei soldi e non hanno lavorato con la professionalità con la quale avrebbero dovuto farlo. Ci sono persone che hanno visto venir meno i loro crediti e hanno sofferto la crisi delle banche». «Per questo», conclude Renzi dal suo treno elettorale, «c’ è bisogno di scrivere una pagina nuova».
Il corollario di questa ipotesi è che Renzi si immagina di combattere lo spettro di Etruria con lo scalpo di Visco. Ma chi lo ha sentito in queste ore, invece, cita una pagina fa del Corriere. Lo schema con i 520 milioni di risarcimento con cui il giornale di via Solferino spiegava come i manager dell’ istituto di credito, secondo i magistrati, hanno nascosto le loro ricchezze. Renzi ha temuto che questo filone diventasse un Vietnam, e ha provato a giocare d’ anticipo. La terza spiegazione sono i titoli dei quotidiani di domenica scorsa. Renzi raccoglie decine di critiche per i mancati inviti alla festa del Pd, mantiene un unico relatore di peso – proprio lo stesso Veltroni – e poi scopre di essere oscurato. Alla Repubblica dice che il premier è lui, nei titoli principali c’ è il contrario, tutti i retroscena parlano di un forcing delle minoranze, da Dario Franceschini a Andrea Orlando per recuperare l’ accordo con Mdp. Il leader del Pd si sente ipotecato da Veltroni, aggirato dai sui compagni di partito, minacciato da Gentiloni. E allora sceglie di far saltare il tavolo, con una mossa di rottura, sembra un gesto da kamikaze, ma ha un effetto napalm: cancella tutto quello che cresceva intorno all’ idea di coalizione, alle mediazioni, agli accordi. Con calcolato cinismo, il segretario sa che in un voto (forse) proporzionale vale tutto, e che diventare personalmente fulcro di ogni polemica contribuisce a dare l’ idea di un Renzi solo contro tutti: alleati e rivali. Perché un voto in più, domani, sarà quello che ti permetterà di stare al tavolo dove si danno le carte. Ma è un azzardo assoluto, perché Matteo Renzi non è più l’ uomo nuovo del 2014, né mister 40%. È un ex presidente del Consiglio, è il capo del partito che esprime il governo e che comanda in Italia da da tre anni e mezzo. Questo, più o meno, è il quadro psicologico in un cui emerge l’ eruzione anti Visco: è un modo per battersi il petto, e far capire al mondo che non esiste Pd senza Matteo Renzi. Forse.
LUCA TELESE