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7 Dicembre 2008
Quellelà

E già Berlusconi la chiama con sgomento «quella là», la teme ben più di Veltroni e di Di Pietro, ordina sondaggi sugli spot di «quella là», dice che bisogna fermare «quella là», e progetta di reagire come nella canzone napoletana: "me ne piglio un’ ata cchiù bella…". E subito bisogna ammettere che "la signora Quellalà" fa così male a Berlusconi perché sembra pensata dal miglior Berlusconi. Con una prima grande differenza, però. Magari sarà un’ impressione, ma Ilaria D’ Amico passa per una che non ha prezzo. Si sa, per esempio, che durante Calciopoli, anche questa bruna specializzata nel giornalismo sportivo – allora la chiamavano "lady pallone" – finì nel pozzo nero delle intercettazioni del rampollo di Moggi, Alessandro: «Ho speso diecimila euro per portare la D’ Amico a Parigi. Ma mi ha dato buca». La signora Quellalà commentò con gli amici: «O pago io, o non ci sono soldi che bastano». Al contrario del gossip più o meno volgare e più o meno verosimile che accompagna la Carfagna, la Gelmini, la Brambilla nonché l’ intero educandato di attrici, vallette e ballerine che sono ormai una degenerazione del potere italiano, il gossip alimentato da Ilaria D’ Amico, 35 anni, romana, è sempre fatto di leggera e stravagante libertà, sino al rapporto con Monica Bellucci, un’ amicizia forte e candida che i giornali di genere si ostinano a immaginare come se fosse uscita da un saggio di Camille Paglia, la sociologa femminista che pensa all’ amore come a una scena affollata. Di sicuro Quellalà ha alle spalle, come moltissimi altri, una lunga gavetta di giornalismo televisivo prima di arrivare agli attuali record di ascolti, ma senza riconoscibili padronati politici e senza essere la pupa di nessun capo. E difatti anche nella trasmissione "impegnata" Exit, inventata per lei da Giorgio Gori (berlusconismo di sinistra?), questa stangona senza trucco dà comunque l’ impressione di non avere appartenenza, e difatti non colloquia ma incombe, non ha la falsa modestia del giornalista che sta in mezzo. Preferisce stare sopra, dolcemente e magari anche sensualmente. Perciò Berlusconi la invidia a Sky ma non la capisce: vagamente intravede in lei la prima telediva postberlusconiana. E forse anche a sinistra piace perché, soda ma ingenua, suggerisce alla sinistra che il futuro non è contro Berlusconi ma oltre Berlusconi, non in solidarietà oppositiva ma su un piano sghembo di indifferenza infastidita. La D’ Amico difende la tv che le dà lavoro e dunque difende se stessa ma senza urlare, senza "michelesantoriare", senza cantare in diretta "Bella ciao", ma invitando i telespettatori a farsi onda teledemocratica (berlusconismo di sinistra?) e a inviare email di dissenso. Insomma, non ha pesantezza storica, non è una guerriera, non è stagionata nelle lotte studentesche o negli scontri sindacali, e le sue battute sono forse banali ma spesso sorprendenti. Del resto, chiamarla Quellalà è già sonoramente geniale. Berlusconi dice così perché non ce la fa a definirla. Lo confonde la pericolosa professionalità "berlusconiana" della D’ Amico che sempre intrattiene, anche quando protesta. E’ insomma una realtà alla quale non sa dare nome. Se infatti il fuoriclasse Santoro lo conferma perché è fazioso, esagerato e iperpolitico, la D’ Amico lo spiazza perché, come si dice nel giornalismo calcistico, non gli dà punti di riferimento, non si lascia marcare: Quellalà, che conquista la sinistra in nome della televisione della destra mondiale, si pone fuori dai suoi schemi. Perciò Quellalà è molto più affascinante sia del nome Ilaria sia del cognome D’ amico, magari perché oscuramente ricorda "Tralala", la terribile e leggera "eroina" – donna e droga, maschio e femmina – di Hubert Selby, autore cult della radicalità a-ideologica e postcomunista appunto, la sinistra che non se la beve, la sinistra che vorremmo. Berlusconi, che non conosce niente di "Tralalà", non può certo dare della comunista né alla D’ Amico né alla tv di Murdoch e dunque non sa come comportarsi davanti alla bella giornalista che non si è formata nei fumosi locali del Manifesto e nella militanza, che non si riconosce nel catechismo democratico ma è un fiore di quella società di massa che finalmente non è più disprezzata a sinistra. Bellezza abbondante ma senza l’ ossessione estetica di rifarsi, Ilaria D’ amico sta dunque conquistando una sinistra italiana che mai era stata così povera di simboli, così appiedata smarrita. Si può sorriderne e si può moraleggiare quanto si vuole. Ma più che della Parietti e della Ferilli, Quellalà sembra – e speriamo che sia – l’ evoluzione moderna delle signore del giornalismo radicale italiano, la Cederna e la Rossanda innanzitutto, e magari anche di quelle altre donne che in passato volevano essere tutte testa, le cacasenno d’ antan, quelle che non tolleravano che la bellezza fosse un’ espansione dell’ intelligenza, che diventasse la lingua della carne. Professione e fascino, dunque. Coscia e lingua lunghe. E poi un’ inchiesta sul degrado degli scavi di Pompei e, in un altro giorno della settimana, per raccontare il calcio con tutti i suoi bicipiti, Quellalà torna ad appollaiarsi sul solito alto sgabello come la «donna che mi piace tanto» di Fred Buscaglione «sofisticata e un po’ trasognata», proprio come appare negli spot che passeranno alla storia mediatica d’ Italia come la più bella e la più seducente ma anche la più misurata e la più efficace campagna contro Berlusconi. E anche la più inaspettata e forse la più gravida di insegnamenti, tutti racchiusi nello smarrimento berlusconiano, nella definizione Quellalà appunto, che ricorda la pop dance e il succeso internazionale di Gunter e delle sue Sunshine girls, Ding Dong Song,: «you touch my tralalà… ». Quellalà, Tralalà, Liolà…: sono suoni divertenti e scanzonati per una sinistra che la finisce con i francofortesi e il pensiero negativo, con le catastrofi e con l’ ideologia, e diventa gioiosa, fatta di vocali aperte e consonanti liquide, belle donne, scrosci d’ acqua e d’ allegria: una, cento, mille Quellelà.

Francesco Merlo – La Repubblica (5/12/08)

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3 commenti »

  1. Bravo Luca: l’avevo notato anch’io l’articolo e mi era piaciuto,
    Elisabetta

  2. Sui gradi di separazione di Luca De Biase

    Si avvicina il Natale e le nostre ragazze/i stanno per andare in piazza a circa due mesi di distanza dal 30 ottobre 2008. “Chi c’era in piazza?” chiedeva mio nonno a mia mamma, negli anni Settanta. “Nessuno” rispondeva mia madre. “Ma come? Qualcuno ci sarà stato”, la incalzava lui.
    La temperatura esterna è scesa ragazze/i e la sera conviene stare in casa, generalmente in compagnia d’amici, soprattutto se c’è un programma interessante, soprattutto se c’è “Exit”. A seguire dibattito.
    Anche stavolta lo spunto è interessante: Class Action.
    Negli anni Settanta si diceva referendum, si andava a votare e i risultati erano imprevedibili e adesso? Parole parole parole.
    Gentilissimo Prof. Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica Italiana, nel discorso di fine anno alle italiane e agli italiani può, visto che lei ha le competenze per farlo, spiegarci quale è lo strumento migliore? Abbiamo le migliori laureate/i che poi lavoreranno al progetto insieme, soprattutto meridionali.
    Gentilissimo Massimo D’Alema sei il più bravo della classe, ma quante volte bisogna dirtelo di mettere l’intelligenza al servizio delle compagne e dei compagni: capoclasse per una settimana, poi si vedrà se funziona.
    Quanto mai le abbiamo mandate a scuola le nostre ragazze!!!
    Elisabetta

  3. La D’Amico è una grande gnocca, però urla e procede per tesi. La professionalità dei grandi giornalisti, caro Telese, consiste nel farla emergere, la verità, non nel cercare conferme alle proprie convinzioni o alle proprie opportunità (importanti, visto il pulpito da cu predica la D’Amico).

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