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26 Novembre 2008
L’ antiitaliano di genio

Nel manuale del cretino moderno o, se preferite, nell’ aggiornamento del famoso dizionario dei luoghi comuni e delle ovvietà di un’ epoca, la parola Gaber è sempre accompagnata dall’ esclamazione «quanto ci manca!». Non so dire se a tanto amore postumo Giorgio Gaber avrebbe reagito facendosi uno shampoo o se avrebbe scritto una delle sue ballate sull’ Italia della buonanima. Purtroppo però, tra gli "scritti" inediti (ma quali sono gli "scritti" editi?) che sempre somigliano agli ovuli non fecondati e che magari sono stati trovati in un cassetto della cucina di Gaber, non c’ è un racconto cantato sul Paese abitato dai fantasmi che in Italia trattiamo come vivi solo perché, quand’ erano vivi, li trattavamo come morti. Insomma, è un cimitero di memorie e di rimorsi questo nostro Paese che invece di scovare e covare i talenti vivi, ingrandisce a dismisura il viale dei monumenti ai caduti, e moltiplica gli omaggi funebri che sono lapidi cimiteriali, pietre tombali che chiudono ermeticamente e definitivamente i sarcofagi. A sinistra, i conformisti ideologizzati che Gaber aveva ridicolizzato come vanitosi colitici psicosomatici e che sempre più lo trattavano come un qualunquista, e neppure gli perdonavano la moglie berlusconiana («l’ ho votata», disse senza imbarazzo), si sono presi la rivincita sul morto e sono diventati tutti "gaberiani". Ma anche a destra sono tutti "gaberisti", fan del "Gaber giovane" che fischiava «in un cortile largo fatto a sassi», e dell’ artista che voleva interessarsi di Maria più che della guerra del Vietnam. Dove Maria, come ancora si conferma fin nell’ ultimo di questi inediti, quello sugli anni Novanta, è sempre la ragazza italiana, «la mia ragazza», uguale e diversa da tutte le altre Marie. Ora noi sappiamo che i bravi artisti, che a Milano stanno per mettere in scena queste "stanze" inedite di Gaber, hanno la chiara consapevolezza che nelle operazioni postume ci sono solo i pregiudizi dei cosiddetti biografi, quasi sempre animati dall’ idea di far dire al morto un’ ultima parola che dia il "vero" senso del suo destino. Di sicuro ci vuole coraggio a portare in scena Gaber senza Gaber. Vedremo come faranno ad esprimere, senza quel suo naso, il disagio della inadeguatezza. E ancora, nel caso del racconto che pubblichiamo qui accanto, come potranno trasmettere lo "scandalo" del rimorso del giovane partigiano – ché non ha sparato al tedesco – senza la grazia sgraziata di quel corpo snodato che, con un tic, uno scatto, una smorfia, introduceva la distanza cantando la vicinanza. Ne faranno l’ imitazione? Gaber faceva parte degli italiani antiitaliani di genio, e parliamo ovviamente di geni di varie forme e grandezze, perché non si può trattare Gaber come se fosse Manzoni, il quale si esprimeva scrivendo. Gaber aveva invece scelto di esprimersi in musica. Gaber era la sua chitarra. Le sue idee avevano la forma della sonorità. Dal punto di vista della testualità dunque, il nostro interesse è molto scarso. Sarebbe come trovare degli scritti inediti sul calcio di un grande campione del calcio – che so, Omar Sivori – e venderli come fossero i suoi gol inediti. Di certo, il genio artistico di Gaber, che era fatto anche di interpretazione e di fisicità di palcoscenico, confermava che ci sono solo due modi di essere italiano: o assumendo su di sé i vizi e i difetti d’ Italia, o sentendosi sempre altrove, sempre contro, sempre fuori. E forse, alla fine, per celebrare senza tradire il cantore di quelli che in Italia non hanno mai trovato e ancora non trovano la posizione comoda, bisognerebbe portare in scena la storia, non necessariamente cantata alla maniera di Gaber, di quella parte della sinistra italiana poco rassicurante, sfrangiata, curiosa e sfibrata. Gaber ne fece parte come straordinario menestrello, grande mimo e intelligente poeta canoro, ma senza presunzioni filosofiche o titoli da scienza della politica. C’ è stata una sinistra che, dopo Carlo Marx, aveva scoperto gli epigoni italiani di Camus, da Fenoglio a Bianciardi a Morselli, e aveva capito l’ importanza dell’ ineguaglianza come valore di sinistra: quel sentirsi «straniero» anche nel cuore di un concerto di Bob Dylan o di una manifestazione di massa contro la guerra nel Vietnam o, ancora, come nell’ inedito che pubblichiamo, in piena guerra partigiana. Erano i ragazzi che, per dirne una, leggendo Roth impararono che persino Francesco Giuseppe poteva essere simpatico a una sinistra che, dal Risorgimento sino al Partito d’ Azione, era sempre stata anti-austroungarica. Insieme a loro, insieme a noi, Gaber capiva che il mondo è molto più complesso di come l’ avevamo immaginato. E anche lui cercava la sinistra che sa apprezzare i colori tenui, lo scatto, il muoversi obliquamente. Ecco, una sinistra così sarebbe, ancora oggi, un grimaldello micidiale contro la pesantezza del pensiero forte dei partiti. Tuttavia la sinistra delle incertezze e delle sfarinature non deve ri-scoprire il vecchio Gaber ma inventarne di nuovi, non ha bisogno di funerali ma di battesimi. Anche perché l’ Italia della buonanima sempre copre molto più di quanto svela.

Francesco Merlo, la Repubblica – 23/11/2008

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Un commento »

  1. Good morning to all of you.. eastern turkey travel xdfau

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