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22 Giugno 2010
La “catastrophe”

Alla fine tutti racconteranno la disfatta della Francia, la “catastrophe”. Alla fine tutti inseguiranno la spettacolare agonia dell’animale morente, e pochi si renderanno conto che il triste epilogo dei “blues” – sconfitti ieri da un epico Sudafrica – è quasi una prefigurazione profetica di quello che sta accadendo agli azzurri, una campana che suona anche per noi.
Bastava vederli mentre cantavano l’inno, ieri, i francesi, per capire che avrebbero perso. Stanchi, svogliati, visi corrucciati come gli ammutinati del Bounty: la carrellata dei primi piani oscurava persino il piglio epico dell’inno degli inni, la Marsigliese. Viceversa i sudafricani erano, anche nell’imminenza possibile dell’eliminazione, belli come sono belli i guerrieri che non si arrendono, il tripudio della storia: erano il grido armonico con cui Mandela ha battezzato un popolo, cantato come un coro di opera lirica da uno stadio intero, e subito seguito dal simpatico terremoto acustico delle vuvuzuelas. Bastava vedere la partita per gli ultimi cinque minuti del primo tempo per capire la misura delle cose. La Francia in dieci, sfiancata e in rotta, le maglie oro e i codini dei Bafana-bafana che irrompevano a destra e a sinistra, palloni effettati che carezzavano i legni all’incrocio dei pali, solo l’ingenuità dei novizi che impedisce di mettere a segno il colpo del Ko senza rimedio. E’ finita due a uno, ma il pallottoliere è bugiardo: perché poteva essere tranquillamente tre o quattro a zero: la “catastrophe” non è un punteggio, o una statistica, ma la fine di un ciclo che arriva ineluttabilmente, anche se ci si rifiuta di riconoscerlo.
Alla fine, pensando a questa Francia umiliata, tutti discuteranno del vaffanculo in mondovisione, e pochi, forse, penseranno che Lippi sembra un fratello gemello di Domenech, il cittì attore dal primo piano fatuo, e che la doppia agonia di Francia e Italia, le stelle spente della nobiltà europea declassata, sono entrambe figlie di un parto geminale, discendenti dirette della testata di Zidane a Materazzi: entrambe vittime della finale del 9 luglio e del suo spettro. Quattro anni dopo, la prima e la seconda del mondiale, nascondono maldestramente le proprie rughe. Domenech, infatti, proprio come il commissario tecnico dell’Italia, è uno che non ha capito quando era il momento di chiudere il ciclo, non ha capito che se ne doveva andare. Entrambi hanno rimesso in campo la ribollitura dei propri successi, quel che restava dei loro vecchi campioni, e se non si fosse tirato indietro lui, sicuramente ieri la Francia avrebbe inseguito ancora una volta l’illusione di Zidane, esattamente come si è affidata ai passetti rapidi e troppo spesso effimeri di Ribery. Cosa divide gli azzurri dai blues? La dittatura della mediocrità che Lippi è riuscito ad instaurare a Casazzurri rende impossibile quel brivido di rivolta che ha tramutato il crepuscolo della Francia in una disfatta. Da noi l’ammutinamento è impossibile, perché Balotelli è rimasto a casa, non c’è un Anelka (ma nemmeno un Chinaglia) non c’è una testa matta che possa mettere in mutande l’imperatore. Noi, invece, siamo un paese senza opposizione, anche sul rettangolo verde.
Ma all’Italia, e questo è ancora più importante, manca anche il respiro tragico e possente dell’”Etat”: da noi il sottosegretario allo sport è una barzelletta d’uomo (per la cronaca è quel tipo buffo che forse avete visto commentare le partite nell’intervallo sulla compiacente Rai) che risponde al nome di Rocco Crimi, e che palesemente ha poca dimestichezza sia con il calcio che con la politica. A Parigi il viceministro dello sport è una signora educata alla Grandeur, Roselyne Bachelot, una che anche mentre la nave affonda convoca i calciatori per sgridarli: “Ricordatevi che portate i colori della Nazione”. C’è quindi più Stato nell’eliminazione della Francia, nel rombo drammatico della “catastrophe”, e più antistato nel galleggiamento furbesco di Lippi e nella possibile qualificazione per il rotto della cuffia. C’è più grandezza nell’assenza di Zidane, il campione che sa quando uscire di scena, che nei recuperi terminali di Pirlo, nella schiena dolorante di Buffon, nel ringhio sfiatato di Gattuso, i campioni che cedono alla seduzione della memoria.
Ma anche in Francia c’è il negazoismo, e infatti ieri Domenech, raccontava un altro film: “Ho visto molta passione, molta intelligenza, e anche molta solidarietà”. Commentava la disfatta di una squadra come si potrebbe commentare una serata al cineclub. Ed in fondo il suo equivoco è quello di una allenatore che si vestiva come uno statista e si atteggiava come un discepolo di Sartre, senza essere né un buon tecnico, né l’intellettuale che autopresume di essere. Alla fine Domenech se ne va a quel paese (che meravigliosa epigrafe, in quel “Va te fair enculer, sale fils de pute!!!”) perché la cosa bella dello sport è che alla fine – al contrario che nella nostra politica – l’ultima sentenza la scrivono i risultati, e non i giochi di prestigio delle cricche.
di Luca Telese

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8 commenti »

  1. Ottimo commento.

    P.S: Senti, ma è normale che, quando tento di accedere al sito del Fatto, mi vengono richiesti nick e password? Che vuol dire? C’è qualche problema nel sito o è il mio computer ? Riesci a spiegarmi qualcosa? Grazie.

  2. Gentile Dott. Telese.
    Mi aspettavo, almeno da Lei, qualche accenno alla vicenda Di Pietro invece niente.
    Calcio e mondiali.
    Non dico di “condannarlo” prima dei risultati delle inchieste come solitamente succede al fatto quando le accuse sono rivolte verso altri, ma almeno un accenno alla storia me lo aspettavo.
    Una riga, fosse solo anche per difenderlo o pravare a difenderlo (chiedervi di attaccarlo so che non è possibile).
    Con stima
    Daniele

  3. Daniele, guarda che articoli sulla vicenda di Di Pietro ci son o stati. Oggi c’è Flores D’Arcais che lo critica per la gestione personale e familistica del partito.

  4. Oggi non ho letto il fatto e non sono riuscito a collegarmi sul suo sito. Mi aspettavo un accenno su questo blog
    Grazie per la risposta.
    Con stima
    Daniele

    PS, domanda personale. La ritengo uno dei “giovani” giornalisti + bravi nel panorama italiano. Come me la pensano in tanti. Che effetto fa il successo?
    PPS richiesta personale. NON SI SVENDA MAI! Va benissimo l’essere schierato ma la prego, non svenda mai la tua onestà intellettuale. Il “buon” Travaglio ha ragione, siamo agli sgoccioli. Presto succederà qualcosa ed i buchi, in politica, non sono mai esistiti e mai esisteranno. Quando quei “buchi” saranno riempiti si vedrà veramente chi “vale” e chi no.

  5. Quindi anche sul “Fatto” si gufa.

    Manco fosse “la Padania” !!

  6. la Padania accusa gli azzurri dopo la disfatta del mondiale: è vergognoso che pure per dei morti si paghino “Vittek” e alloggio…

  7. Bossi ironico sulla sconfitta degli azzurri: facciamo più schifo degli africani…

  8. Lippi si assume tutte le responsabilità:” è mia la colpa della disfatta dell’italia”…
    Berlusconi lo incorona: finalmente qualcuno che dice una “cosa di sinistra”…

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