Diario

Il Pci seppellito nell’89 senza eredi

Marco Simoni, L’Unità

Qualcuno era comunista, interessantissimo libro di Luca Telese uscito con Sperling e Kupfer circa due mesi fa, ha una tesi molto netta, supportata da oltre 700 pagine che scorrono come un romanzo giallo. La storia del Pci è finita nel 1989, con la sua storia si è anche spenta la sua gloriosa tradizione. Coloro che ne hanno rivendicato l’eredità hanno semplicemente rimosso – non elaborato – le questioni politiche che la fine di quella storia poneva, contribuendo con ciò a sotterrare ciò che invece si sarebbe potuto salvare. Il senso condiviso di un agire comune ha lasciato il posto a una lotta tra bande. La capacità di portare a sintesi storie di popolo, intellettuali, e un pezzo di borghesia, è venuta meno, mentre si alimentava una contrapposizione di fondo tra ceti che nel Pci contribuivano allo stesso progetto. La forza intellettuale che consentiva una laicità ferma e serena è stata sostituita da vertiginose oscillazioni che durano lo spazio di un congresso. Nell’articolare questa tesi non semplice ma convincente, l’autore non cede mai alla nostalgia dei bei tempi che furono, non trasfigura la storia del Pci in ciò che non era. Il Pci aveva nel suo Dna Costituzione Repubblicana che aveva contribuito a scrivere, e viveva quindi una profonda, irrisolvibile, contraddizione tra l’amore per la democrazia da un lato e il legame sostanziale, simbolico, emotivo, con tutti gli altri comunismi del mondo, che odiavano quella stessa democrazia. Attraverso una mole sostanziosa di fonti primarie, secondarie, e interviste, il libro ricostruisce due anni di politica, dalla caduta del Muro alla nascita del Pds, per comprendere i quali compie numerosi flash back che ci riportano alle figure che costruirono quella storia: Togliatti e Berlinguer su tutte. Questo esercizio chiarisce come l’ultima fase, conclusa con l’umiliazione del segretario – qualcuno ricorderà che Occhetto non raggiunse il quorum al primo scrutinio – era un funerale, non un battesimo. Nessun comunista avrebbe voluto sfregiare in tal modo, pubblicamente, il simbolo del partito. E simbolicamente, dunque, il voto di quei delegati segnò la fine di quella storia che, a parole, dicevano di voler proseguire. Tuttavia, suggerisce Telese, per proseguire quella storia – come ogni storia – era necessario raccontarsi la verità, e su di essa riflettere. Chiedersi perché si fosse stati comunisti. La rimozione delle questioni politiche vere, e un revisionismo generazionale tanto opportunista quanto dilettantesco in cui si sono cimentati, a turno, tutti i dirigenti di sinistra dopo l’89, hanno contribuito a seppellire le caratteristiche profonde e feconde del Pci, lasciando spazio a sterili improvvisazioni e patetiche nostalgie.

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IL PCI ERA UNA FAMIGLIA, IL PD DI OGGI NO

INTERVISTA di Giovanni Zambito.

Con le testimonianze dei protagonisti di allora e il controcanto del “Cuore” di Michele Serra, “Qualcuno era comunista. Dalla caduta del Muro alla fine del PCI: come i comunisti italiani sono diventati ex e post” (pagg. 756, € 22,00) di Luca Telese, pubblicato da Sperling & Kupfer, svela in cosa consisteva la «diversità» del comunismo italiano, raccontando proprio il momento in cui i suoi valori si avviavano verso un turbolento e, per certi versi, incredibile epilogo.
Il libro di Luca Telese rievoca, vent’anni dopo, il terremoto del 1989 che ha portato alla distruzione del PCI, una storia che non è affatto finita e che ha lasciato in eredità una sinistra senza identità, incapace di vincere, una classe dirigente bloccata dagli stessi ex quarantenni che pretendevano il ricambio generazionale due decenni prima, un partito che ha mutato nome quattro volte, senza mai cambiare facce.
Forse perché, ancora oggi, su tutti i reduci di quella vicenda pesa, come una maledizione, il marchio della Bolognina, della Svolta incompiuta, che li ha resi «post» o «ex» comunisti senza mai riuscire a trasformarli in qualcosa di nuovo.
Il titolo del libro – spiega a Clandestino Web Luca Telese – richiama l’omonima canzone di Giorgio Gaber perché il cantautore immagina un monologo di un ex comunista che come in un letargo ha cancellato la sua identità”.
Che cos’altro aveva intuito Gaber?
“Aveva già immaginato Veltroni che afferma “non sono mai stato comunista” o che “Craxi era stato un modernizzatore e Berlinguer no”; nella canzone racconta anche la diversità dei comunisti e ne aveva chiara la natura di ‘gabbiani ipotetici’ che corrisponde a ciò che diceva Marchetto secondo il quale quando i comunisti perdono il senso dell’avventura diventano delle persone tristi e pericolose”.
Analizzando ancora il titolo i tre elementi che lo compongono destano parecchia curiosità: cominciano con il pronome “Qualcuno”…
“È un’iperbole rovesciata, un modo per dire che erano tutti comunisti compresi i nemici attuali come Ferrara o Beatrice Lorenzin o Serena la vincitrice del Grande Fratello 4”.
Il verbo “era”…?
“Riflette quella specie di limbo tra le due ere nel senso epocale. Sicuramente il comunismo reale è finito nell’89, gli altri comunismi più o meno vivi sono finiti in un limbo di imperfetto che ne richiama l’identità non pienamente attiva ed esplicitata, un po’ carbonari e inflazionati. Pensiamo alle nuove ‘rifondazioni’ tutte fallite in cui nessuno proveniva dal Pci”.
Chi oggi sceglierebbe di essere comunista?
“Il comunismo italiano era la cultura di Berlinguer con cui inizia il libro. Riporto un discorso ch’egli fece a Mosca sull’identità affermando come la democrazia sia un valore universale, elemento su cui si è equivocato alla Bolognina”.
Facendo riferimento al sottotitolo, chi sono gli ex e i post comunisti?
“La prima è una caratterizzazione di Giuliano Ferrara il quale ha detto “sono un ex comunista perché mi sono strappato le viscere e me ne vergogno”, mentre la seconda ai quarantenni che sono i sessantenni del Pd di oggi. È un po’ una cosa comoda, una furbata che mostra la corda perché tutte le domande cui non hanno risposto tornano”.
Degli ex comunisti chi lo è rimasto effettivamente e in modo più coerente?
“Lo sono rimasti tutti: è questo il paradosso. Sono meno democratici ora che nell’ultimo Pci dov’erano una famiglia, cosa che non è il Pd di oggi dove, dopo aver perso l’identità, hanno bisogno di un assolutismo di una leadership che non si discute e voti plebiscitari. Era comunista chi era di sinistra: nella difesa della libertà si era più protetti dal Pci che non dal Pd che deve rispondere alla Binetti. Il discorso molto bello che Berlinguer fece per il referendum del ’64 è tuttora valido e il Pd non potrebbe farlo perché insicuro della propria identità e deve fare attenzione a non opporsi al Vaticano e a qualche gerarchia. Tengo comunque a sottolineare che il mio non è un libro ideologico ma di storie”.
E tra i politici del Pdl o della Lega chi potrebbe essere un vero comunista?
“Ci sono delle eredità abusive come gli stilemi adottati dalla Lega e da Bossi  che è stato iscritto al Pci e li utilizza però non per una politica di sinistra ma per un populismo di destra: tanti rappresentano un’ala politica che recupera un’altra parte di storia che però hanno abiurato e che quindi non potrà più essere la stessa”.
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