L’autore

teleseSono nato a Cagliari, nel 1970 nel mitico anno dello scudetto, ma sono cresciuto a Roma, cuore giallo-rossoblu. Mia madre è sarda anche se è nata a Brescia, mio padre è di Torre Annunziata, anche se è fuggito a Roma e cancellato le sue tracce di accento, io sono romano anche se nato nell’Isola.

Fra le cose per cui vale la pena di vivere ci sono Laura e il nostro piccolo Enrico e la doccia rovente di prima mattina ascoltando la Sagra della primavera di Stravinsky. Amo i Beatles, soprattutto quelli di “Rubber soul”, Primo Levi e Pierpaolo Pasolini, il rock progressive dei vecchi Genesis, Peter Gabriel (all) e i fumetti – dai Bonelli al più grande di tutti i disegnatori: Magnus (il vero Maestro). Sulla cineteca dell’Arca, bisognerebbe portarsi: “Brazil” di Terry Gilliam, “A qualcuno piace caldo” di Billy Wilder, e “La vita è meravigliosa” di Frank Capra, “Ci eravamo tanto amati” di Ettore Scola e “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman.

Ho iniziato a fare il giornalista a “Il Messaggero”, correva l’anno 1989, cadeva il muro di Berlino e io vincevo uno stage di tre mesi legato a una colletta di beneficenza. Non avendo parenti nel mondo del giornalismo, per diventare professionista ci ho messo la bellezza di dodici anni. Nel mezzo ho fatto tutto quello che si può fare di precario nel mondo della comunicazione: dalla stampa di t-shirt, all’ufficio stampa (grande palestra), dalle agenzie (la Dire) alle collaborazioni a singhiozzo con le redazioni più scalcagnate – anni indimenticabili – fino a quelle più blasonate (da “Cominform” a “Il Foglio”, a “Panorama”, passando per “Capital” e “GQ”). Tendenzialmente scrivo di politica, spettacoli e varia umanità. Il primo che mi ha assunto come giornalista è stato Pietrangelo Buttafuoco quando era direttore de “Italia Settimanale” (per la cronaca, il periodico chiuse dopo soli quattro mesi). Dal 1996 al 1998 lavoro da free lance per “Sette”, l’inserto del giovedì del Corriere della sera, con Andrea Monti prima e Maria Luisa Agnese poi. Nel 1998 mi assumono, naturalmente a termine, a “Il Corriere della Sera” (al politico, nella redazione di Milano). Dal 1999 sono a “Il Giornale”, chiamato da Maurizio Belpietro: oggi ho persino una qualifica: “redattore parlamentare”. Dal 2004 collaboro con “Vanity Fair” e, dallo scorso ottobre, con “Panorama”.

I primi passi nel fatato mondo della televisione, li ho mossi in una casereccia tv privata, “Teleambiente”, in cui potevo sbagliare tutto e imparare moltissimo: la tv era a Monteporzio Catone, a trenta chilometri da Roma, e ci andavo direttamente dalla Camera, in Vespa per montare i pezzi (ancora oggi mi chiedo come abbia potuto farlo, anche sotto i nubifragi per due anni). Poi ho fatto l’autore di “Chiambretti c’è” ( Rai Due, solo la prima edizione), “L’Alieno” (Italia uno), “Batti & ribatti” (Rai Uno), “Cronache Marziane” (Italia uno, solo la prima edizione) e nel 2006 ho condotto “Omnibus estate” (La7). Sono stato poi autore e conduttore di “Parenti Serpenti” e “Planet 430″ (su Planet, 2004 e 2005), e “Tetris” (su Raisat extra, 2006 e su La7, 2007). La banda di Tetris è cresciuta tutta insieme, all’insegna del “Surreality”: a furia di dire che volevamo fare proprio quello, ci siamo persino inventati un genere. Dopo un rocambolesco e memorabile risultato di ascolto (3.80 % di share medio su dieci puntate) la Sette si è miracolosamente decisa a farci fare una terza serie. Io sull’Auditel ho una mia teoria: non esiste. O meglio: non c’è più nulla di scientifico, sopratutto nei campioni piccoli. C’è però un omino addetto ad ogni programma, che disegna gli ascolti come si può dipingere un quadro, modulando la curva sui suoi gusti. Mi sono convinto che l’omino auditel di Tetris è un signore di una certa età, di buone letture, colto e simpatico, che ha deciso di regalarci qualcosa: spero vivamente che non lo mandino in pensione.

Ho scritto tre libri: “La lunga Marcia di Sergio Cofferati” (Sperling & Kupfer 2003), “Lula! Storia dell’uomo che vuole cambiare il Brasile e il mondo” (con Oliviero Dottorini – Castelvecchi 2003) e “Cuori neri” (Sperling & Kupfer 2006). Sempre per la Sperling curo una collana a cui tengo molto, “Le radici del presente”, che si occupa di raccontare il passato prossimo dell’Italia, quello che per i giornali è vecchio, per i libri di storia è prematuro e per noi è interessante. In uno dei volumi, “Vite ribelli” (2007), ho pubblicato un racconto lungo sul terremoto di San Giuliano che considero una delle esperienze giornalisticamente più formative della mia vita. In una raccolta della Cairo Editore, “Ti amo ti ammazzo”, ho raccontato, a modo mio, la storia de “La Marchesa a luci rosse” (Anna Casati Stampa, ovviamente) uno di quei delitti che superano di gran lunga l’immaginazione. In un’altra antologia “Invito alla festa con delitto” (2004) è pubblicato “L’Uomo che voleva uccidere Palmiro T.”, il racconto più narrativo in cui mi sia mai cimentato.

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