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Ho finito il libro.
mi ha interessato molto, non conoscevo ovviamene molti passaggi ed episodi, un lavoro che hai fatto notevole.
la prossima settimana andrò nel mio paese natale che è Oneglia, e porterò un mazzo di fiori rossi sulla tomba di Alessandro Natta, come sempre faccio quando vado al cimitero dove c’è quasi tutta la mia famiglia da parte di mia madre.
Sandro,così lo abbiamo sempre chiamato, è imparentato con la mia famiglia e lo conoscevo da quando sono nato. Il nostro Pubblico Ministero ai tempi delle radiazioni del gruppo del Manifesto. Mi disse ai quei tempi a Savona dove vivevo e vivo ” Fulvio siete delle scheggie, la tua è un’infatuazione intellettuale giovanile lascia perdere , anche se con molte contraddizioni la strada è nel partito, abbiamo radici solide e una rappresentanza reale. I cambiamenti hanno necessità di tempi e proposte adeguate.Il mondo vero e reale è questo.”
Insomma nuota in acque profonde e non in laghetti suggestivi.
Ho visto Sandro altre volte, dopo che non era più segretario e quando la salute era discutibile; lo incontravo sulla passeggiata a Onegia chiamata ” Spianata ” a Borgo Peri , a volte solo o con persone con cui parlava. Erano lontani i tempi dello scontro politico tra comunisti del PCI e del Manifesto e in fondo perdemmo tutti.
Mi disse a proposito di Occhetto nei primi anni ” 90 che era abbastanza abelinato ( in onegliese si dice agadanau) e che avremmo perso le elezioni del 1994, e disse pure che quelli che aveva intorno erano peggio. Mah ?
Quando morì nel maggio del 2001 finì un pezzo di storia non da poco e credo non tutta negativa.
Credo tu abbia centrato un quesito importante : perchè eravamo comunisti ? Perchè  e in futuro si può essere tali ?
Rossanda dice spesso che il comunismo non è sbagliato, sono stati i comunisti che hanno errato…..filosofia ?
Mi fermo qui per non farti perdere tempo.
grazie per l’attenzione
Fulvio

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Diario

L’impero romano e il Pci

Le mie congratulazioni per il suo lavoro. Lo trovo illuminante e, per certi versi, sconvolgente. Rivela la tragica approssimazione di un’intera classe dirigente nel gestire gli storici cambiamenti dal 1989 in poi, alla luce dei quali non possono stupire gli esiti politici e sociali italiani. Mi permetto di suggerire un punto di riflessione. Nel libro viene presentata come ulteriore prova dello smarrimento della sinistra l’emorragia d’iscritti avvenuta nei passaggi PCI-PDS-DS-PD. Sicuramente ciò corrisponde alla realtà. Il popolo della sinistra si riconosce sempre di meno nei nuovi partiti, verificando l’inutilità della propria militanza. Vi è, però, un’ulteriore questione: a mio avviso il calo dei militanti si inscrive anche in una strategia coscientemente perseguita dalle leadership. Ci troviamo di fronte a nuovi partiti di notabili, simili, per alcune caratteristiche, ai partiti ottocenteschi. Non a caso si teorizza la presunta superiorità del partito leggero su altri modelli organizzativi, giudicati ormai obsoleti. Questo permette, naturalmente, di ridurre la complessità organizzativa e le spese: ci si mobilita in imminenza delle elezioni, nel resto dell’anno la comunicazione, immediata e semplice, a tratti semplicistica, è affidata ai media. Ciò favorisce, d’altra parte, i leader, sempre più distanti dalla base e sempre più liberi nei loro comportamenti. Il punto è questo: si cerca di realizzare un modello di partito alternativo al partito di massa ed alle sue successive evoluzioni. Potremmo chiamarlo, riprendendo la letteratura in materia, partito elettorale. Questo accade, tra l’altro, ignorando il ruolo fondamentale svolto dalle organizzazioni di massa di qualsiasi colore dal 1945 in poi, educando e socializzando alla politica il popolo italiano. Chi educa ora? La risposta è ovvia, le conseguenze evidenti: la televisione.
In conclusione del libro ho trovato stimolante il paragone tra l’impero romano al suo tramonto e la parabola del PCI. L’impero era spacciato, aveva provato a riformarsi, aveva cambiato assetto, l’alchimia non era riuscita. Mi chiedo se il PCI fosse nella stessa situazione. Era inevitabile uno sconvolgimento così radicale? Alla luce della storia del partito, della sua diversità dal comunismo dell’est, siamo sicuri che sarebbe stato travolto dalle macerie del muro?
Sicuramente il nodo del fallimento del socialismo reale andava affrontato, ma rinnegare il proprio passato, senza sottolinearne i pregi al pari degli errori, costituisce un atteggiamento autistico.
Francesco Abondi

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Il Pci seppellito nell’89 senza eredi

Marco Simoni, L’Unità

Qualcuno era comunista, interessantissimo libro di Luca Telese uscito con Sperling e Kupfer circa due mesi fa, ha una tesi molto netta, supportata da oltre 700 pagine che scorrono come un romanzo giallo. La storia del Pci è finita nel 1989, con la sua storia si è anche spenta la sua gloriosa tradizione. Coloro che ne hanno rivendicato l’eredità hanno semplicemente rimosso – non elaborato – le questioni politiche che la fine di quella storia poneva, contribuendo con ciò a sotterrare ciò che invece si sarebbe potuto salvare. Il senso condiviso di un agire comune ha lasciato il posto a una lotta tra bande. La capacità di portare a sintesi storie di popolo, intellettuali, e un pezzo di borghesia, è venuta meno, mentre si alimentava una contrapposizione di fondo tra ceti che nel Pci contribuivano allo stesso progetto. La forza intellettuale che consentiva una laicità ferma e serena è stata sostituita da vertiginose oscillazioni che durano lo spazio di un congresso. Nell’articolare questa tesi non semplice ma convincente, l’autore non cede mai alla nostalgia dei bei tempi che furono, non trasfigura la storia del Pci in ciò che non era. Il Pci aveva nel suo Dna Costituzione Repubblicana che aveva contribuito a scrivere, e viveva quindi una profonda, irrisolvibile, contraddizione tra l’amore per la democrazia da un lato e il legame sostanziale, simbolico, emotivo, con tutti gli altri comunismi del mondo, che odiavano quella stessa democrazia. Attraverso una mole sostanziosa di fonti primarie, secondarie, e interviste, il libro ricostruisce due anni di politica, dalla caduta del Muro alla nascita del Pds, per comprendere i quali compie numerosi flash back che ci riportano alle figure che costruirono quella storia: Togliatti e Berlinguer su tutte. Questo esercizio chiarisce come l’ultima fase, conclusa con l’umiliazione del segretario – qualcuno ricorderà che Occhetto non raggiunse il quorum al primo scrutinio – era un funerale, non un battesimo. Nessun comunista avrebbe voluto sfregiare in tal modo, pubblicamente, il simbolo del partito. E simbolicamente, dunque, il voto di quei delegati segnò la fine di quella storia che, a parole, dicevano di voler proseguire. Tuttavia, suggerisce Telese, per proseguire quella storia – come ogni storia – era necessario raccontarsi la verità, e su di essa riflettere. Chiedersi perché si fosse stati comunisti. La rimozione delle questioni politiche vere, e un revisionismo generazionale tanto opportunista quanto dilettantesco in cui si sono cimentati, a turno, tutti i dirigenti di sinistra dopo l’89, hanno contribuito a seppellire le caratteristiche profonde e feconde del Pci, lasciando spazio a sterili improvvisazioni e patetiche nostalgie.

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