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Il Foglio e gli anni di piombo

dic 07 2008 Published by admin under Blog

QUEI CRETINI ANNI DI PIOMBO – LE BRIGATE ROSSE E I BOMBAROLI FASCISTI – IL FOGLIO: "DUE LIBRI ("IL SANGUE E LA CELTICA" & "IO L’INFAME") UN SOLO GIUDIZIO: UNA MANICA DI IDIOTI TRASFORMATI IN MEFISTOFELE"

Marco Palombi, Il Foglio

 

Il terrore e’ quel che accade fuori campo. Alfred Hitchcock lo sapeva e ci ha costruito sopra tutto il suo cinema. La cosa pero’ funziona anche nella vita, perfino in quella delle nazioni. Con noi italiani, per esempio, ha funzionato. Ci sono stati anni (molti li ricordano, qualcuno li rimpiange) in cui in Italia i treni esplodevano, le banche pure, e poteva capitare che un tizio venisse ucciso per strada o previo rapimento per confusi motivi politici. E’ una dose considerevole di dolore e paura quella che ha corso per le strade della penisola fino a pochi anni fa, che non giustifica pero’ il modo ridicolo in cui continuiamo a raccontarcela: non la meticolosa e dura ricerca dei fatti, non il corpo irregolare e contraddittorio della realta’, ma il giallo a chiave, la spy story d’ accatto, un racconto facile in cui ognuno possa avere la sua parte tra gli stereotipi di genere.
Gli imprendibili samurai delle Brigate Rosse, gli esecrabili bombaroli fascisti, i potenti nessuno del golpismo atlantico: tutto ”male assoluto” che, va da se’, non puo’ essere disgiunto da una certa raffinatezza formale nel pensiero del male. Risultato: di una manica di idioti faciloni e criminali abbiamo fatto dei Mefistofele. E’ un errore ,questo ,che nasce direttamente alle fonti del genio repubblicano, alle radici del nostro immaginario collettivo drogato dallo spirito di parte: la speranza, divenuta presto convinzione, che nella storia esista una razionalita’ da scoprire, una Causa, meglio se grandiosa, adeguata alle aspettative del pubblico.
Non va cosi’ di solito, a pensarci lo sanno tutti:”La causale apparente, la causale principe, era si una. Ma il fattaccio era l’ effetto di tutta una rosa di causali che gli erano soffiate addosso a molinello e avevano finito per strizzare nel vortice del delitto la debilitata ragione del mondo”. Il ”Pasticciaccio” di Gadda non ha colpevole, perche’ non puo’ averlo. Al contrario, la maggior parte della pubblicistica sulla nostra storia recente, soprattutto di quella politico-criminale, non conosce altro che puzzle in cui tutti i pezzi vanno a posto, ognuno col suo colpevole: grandi cause, grandi complotti, grandi vecchi. Merce ideologica scadente, buona per tutti i palati: la pessima politica pero’ non riscatta le miserie della storia, figurarsi la pessima saggistica.
Ogni tanto, comunque, capita anche di poter fare pace con la divulgazione storica: e’ una piccola buona notizia che siano arrivati in libreria nelle ultime settimane due libri- uno, in verita’, ci ritorna- entrambi editi dalla Sperling& Kupfer, che possono riconciliare i loro lettori con quella che potremmo chiamare la meschinita’ del male. ”Io l’infame” di Patrizio Peci e ”Il sangue e la celtica” di Nicola Rao raccontano storie diverse con stili diversi, ma ad un lettore non sedato dall’ideologia suggeriscono un identico pensiero: la storia non la fanno solo i condottieri, i politici, i capipopolo, gli sportivi, e le rock star, una parte considerevole la recitano pure le teste di cazzo.
Il libro-confessione di Peci, in particolare, e’ una sorta di legittimo capostipite del genere, essendo andato in stampa la prima volta nel 1983. L’autore, poco piu’ che ventenne, fu a capo della colonna torinese delle Brigate rosse, arrestato nel 1980 dai carabinieri del generale Dalla Chiesa, comincio’ presto a collaborare, divenendo il primo grande pentito delle Br, l’infame del titolo appunto. Non si vuole qui sottovalutare l’ importanza giudiziaria o storica della testimonianza di Peci, che pure fu enorme, ma sottolineare un merito di piu’ lungo periodo: a vedere la faccia pensosa di Curcio- e’ sensibile alle foglie- o quella sempre un po’ sofferente di Moretti, ci si potrebbe ritrovare a pensare, come una Fanny Ardant qualunque, che questi tizi erano dei coraggiosi idealisti, anche se, certo, le pistole…Peci impedisce tutto questo. Il suo racconto, messo insieme a suo tempo da Giordano Bruno Guerri (cui oggi si aggiungono otto nuovi capitoli sulla sua vita negli ultimi anni) e’ un fenomenale ritratto lombrosiano delle Brigate rosse, della loro pochezza umana, della loro inconsistenza politica. Prendiamo Raffaele Fiore, che all’inizio fu il capo di Peci a Torino, uno dei killer di via Fani, un tipo serissimo che prova fastidio a parlare di se’ perche’ ”la mia storia presa a se’ stante non dice niente” (in ”L’ultimo brigatista” di Aldo Grandi). Ebbene, nel libro di Peci, Fiore e’ una specie di monumento al buzzurro: un tizio con una spiccata propensione al bere, ignorantissimo, che tra un attentato e l’altro, a tavola, trova il modo di levarsi la sporcizia dalle dita dei piedi con un coltello da pane. Memorabile la prima scena del libro in cui Fiore s’ accoppia in una gabbia del tribunale di Torino con la sua donna dell’ epoca, Angela Vai. Quest’ultima in ”Mi dichiaro prigioniero politico” di Giovanni Bianconi, e’ ritratta con le tinte sobrie di una Maria Goretti: tormentata dai problemi della scuola e dell’educazione, sfibrata dalla riflessione sul ruolo della donne nel processo rivoluzionario, la Vai cresceva pure sei fratelli senza dimenticare di accudire la madre malata e sparacchiare a caso per le vie di Torino. La descrizione di Peci e’ una boccata d’aria, un bagno di sana antropologia da mercato rionale: ”Bassotta, non bella, una classica donna da parto,coi fianchi larghi, popputa. Anche strabica, per cui portava gli occhiali. Ma i suoi problemi veri erano psicologici”.Pare infatti che la Vai- vista la storia familiare e tutte le rotture che si doveva smazzare ogni giorno, senza contare i piedi di Fiore- quando arrivava il momento di giocare alla rivoluzione fosse parecchio aggressiva, ”voleva sempre avere ragione e aveva pure il vaffanculo facile (senza contare che sparava da cani)”. Indimenticabili, a loro modo, anche le righe dedicate a Nadia Ponti, profumiera rivoluzionaria. Bella, minuta, consumata dalla voglia di fare carriera nell’ organizzazione, amava girare per i covi ”mezza nuda o con le mutande e basta” e, va da se’, ‘’sventolare cosi’ le tette sotto il naso di chi chissa’ da quanto non toccava una donna non era davvero corretto ne’ gentile”. Per non parlare del fatto che al povero Cristoforo Piancone, il suo compagno, la cosa non e’ che facesse proprio piacere. D’altronde il problema dell’accesso alla vagina non e’ secondario nel racconto di Peci. Lui stesso, ad esempio, chiese alla colonna torinese ”un affetto”. Risposta:”Appena capita”. Alla fine ne trovano una e gliela presentano, ma c’e’ un problema:”Era brutta davvero. Racchia di viso, bassa, grassa, culo largo e basso, occhiali, piu’ vecchia di me di un anno(…). Insomma, non ne volevo proprio sapere, ma non capitava nient’ altro e a forza di frequentarci per l’Organizzazione dai e dai ci siamo affezionati e ci siamo fidanzati”. Lei e’ Maria Rosaria Roppoli, che oggi Peci accusa di essere la principale responsabile dell’omicidio di suo fratello Roberto (ucciso, dopo il pentimento di Patrizio, dalla fazione brigatista di Giovanni Senzani). E poi ci sono altre scenette piu’ o meno imbarazzanti: i militanti che si lamentano dello stipendio mensile, gli aborti clandestini delle brigatiste, l’irriducibile Prospero Gallinari che, una volta avuti in mano 500 milioni del sequestro Gancia, ci rotola dentro per una mezz’oretta come Paperon de’ Paperoni o Renato Curcio, che in montagna corre ostentatamente a lungo ” per dimostrare di non essere vecchio”. Poi uno si distrae una ventina d’ anni e in tv ci sono Nadia Lioce e le nuove Br e non puo’ non convenire con Fruttero e Lucentini sulla prevalenza del cretino nella storia.
Il panorama non migliora certo a guardare dall’altro lato del campo: i terribili stragisti neri, nella leggenda tizi impegnati di notte e di’ a tramare i crimini piu’ orrendi entrando e uscendo dai palazzi del potere democristiano e atlantico. Gente come Nico Azzi, neofascista milanese del gruppo La Fenice, che il 7 aprile 1973, a ventidue anni, si trova con altri camerati sul treno Torino-Roma, in tasca una copia di Lotta continua, nella mano una borsa di esplosivo. Nico deve innescarla nel bagno del suo vagone, ma si fa esplodere l’innesco in mano, piu’ precisamente tra le gambe. ”Chiamami Nicoletta, scioccone”, gli faranno dire con ironia un po’ greve gli autori di ”Trama nera”, notevole rubrica satirica comparsa alla fine degli anni Settanta sulla Voce della fogna, il ”giornale differente” fondato da Marco Tarchi prima della sua espulsione dall’Msi. E’ questa una delle storie presenti nel libro del giornalista del Tg2 Nicola Rao ”Il sangue e la celtica”: non un ritratto dall’interno del neofascismo ialiani negli anni della strategia della tensione, ma la prima ricostruzione storica in cui, attraverso la voce dei protagonisti, si mettono in fila molti fatti senza scuse reduciste o vittimismi stucchevoli. Ne emerge, anche grazie a materiale inedito, la prima., indiretta, ammissione di colpa della destra eversiva nella stagione delle stragi e dei tentati golpe: fu qualcuno di noi. Il libro di Rao, a differenza di quello di Peci, e’ un lavoro giornalistico: non puo’ insomma essere una testimonianza, ne’ un trattatello sulla meschinita’ del male. Eppure anche da questo punto di vista non manca materiale.
La folle girandola di nazional- rivoluzionari, rottami della Rsi, carabinieri, agenti dei servizi, palloni gonfiati, tutti cosi’ tragicamente impreparati a gestire l’ orrore con cui pure flirtavano e’ istruttiva assai: il caso di Azzi e’ emblematico ma non e’ il solo. La bella morte, l’attitudine catacombale (dopo la sconfitta sono i morti a tenere in vita i vivi), la mitologia del guerriero che nutre la prosopopea infinita di capi e capetti, il culto- in alcuni davvero pazzoide- delle armi e dell’azione: tutta questa miscela di fascisteria piu’ che d fascismo e’ il sottofondo per ogni impreparazione, per ogni dilettantismo. Il golpe di Junio Valerio Borghese ne e’ un esempio gigantesco. L’ora x e’ fissata per la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, talmente in fretta che Stefano Delle Chiaie detto ‘il caccola’, capo di Avanguardia Nazionale, non fa nemmeno in tempo a rientrare dalla Spagna e s’incazza parecchio. Comunque quella notte alcuni militanti di Avanguardia prendono armi dal Viminale, altri aspettano trepidanti e felici nelle sezioni, nei garage, nei negozi di amici, mentre da Cittaducale una colonna di 200 guardie forestali marcia su Roma con l’obiettivo di occupare la Rai e il ministero degli Esteri. Alcuni congiurati, intanto, che dovevano rapire il capo della polizia Vicari, rimangono bloccati in ascensore (qualcuno sostiene: persino nel palazzo sbagliato). Tutti gli altri? Esercito, carabinieri, marina eccetera? Fanno finta di niente e rimangono in caserma. Borghese, visto che gli hanno tirato il pacco, ordina il dietrofront (sembra su suggerimento di Gelli, che avra’ avuto i motivi suoi). Il caccola, sempre parecchio incazzato, commenta coi suoi, senza ironia:”Se a Roma ci fossi stato io, il golpe si sarebbe fatto’.
Vale la pena, come ultimo esempio, citare Franco Freda, editore padovano con incorporata aura mefistofelica. Il buon Rao voleva intervistarlo visto che il nostro, oltre ad interessarsi con profitto di preparare la civilta’ prossima ventura, in passato s’era occupato pure di certi timer che poi pare fossero finiti in una borsa in una banca di piazza Fontana. Solo che il cronista si e’ trovato di fronte al muro invalicabile del rifiuto dell’editore, comunicatogli via e-mail dalla biografa e collaboratrice dello stesso, Anna K. Valerio. Rao, giustamente, riporta integralmente la lettera, un vero documento antropologico. Eccola: ”L’Editore non e’ disponibile a contrapporre il proprio punto di vista alle opinioni ( e alle insolenze) espressa dagli estroversi a cui Lei si e’ rivolto. Non accetta di confrontarsi su di un piano dialettico. Non e’ interessato a indugiare su fatti e fatterelli trapassati. Non ammette curiosita’ e chiacchiere. Non tollera un nuovo processo, fratellino minore (molto minore) di quelli che in realta’ gia’ gli sono toccati. L’Editore- a differenza di inerti relitti di storie passate del cosiddetto ‘ambiente’- e’ ancora molto impegnato nel perfezionamento del proprio disegno politico e non ha tempo per gli amarcord. Per cogliere la sua interpretazione di certi casi, Lei puo’ rifarsi ai suoi libri, in particolare ai ‘Monologhi’. Per intuirne il significato, Lui raccomanda il mio ‘Infierire’, cosi’ come per un compendio esatto e aggiornato sul suo senso del mondo. Buona giornata. Anna K. Valerio”. In Piemonte hanno un detto: ma levati il tappo.

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Lettera di Salvini a Rao

dic 05 2008 Published by admin under Blog

LETTERA DI SALVINI (GUIDO) A NICOLA RAO, AUTORE DE "IL SANGUE E LA CELTICA": PER FARE CHIAREZZA SULLE STRAGI NON HA PIU’ SENSO LA STRADA GIUDIZIARIA O QUELLA DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE. SERVE UNA COMMISSIONE DI ESPERTI ESTRANEI AI PARTITI.

”Sono veramente dispiaciuto e mi scuso di non essere con Voi. Una riunione non prevista con la Presidenza del Tribunale cui sono stato chiamato in sostituzione di un collega, mi impedisce di essere oggi a Brescia.
Voglio però testimoniare, come magistrato che ha condotto indagini in questo campo, che il libro di Nicola Rao è prezioso, perché è il racconto più completo, non solo sulla storia, ma sull’ambiente umano della destra radicale dal 1945 ad oggi e sulle stragi di cui il terrorismo nero fu artefice.
Un mondo che è raccontato senza demonizzarlo, ma descrivendolo in preda a quella distonia percettiva che immaginava il golpe che avrebbe salvato la patria, come fattibile e imminente, così come il terrorismo di estrema sinistra viveva nel mito della rivoluzione mondiale alle porte. Un mondo, quello della destra radicale, imbevuto di ultra-nazionalismo, del rancore dei vinti del 1945- che allora era ancor vicino- di miti superomistici e pagani, che si è reso responsabile di alcune stragi: questa è la verità storica ormai accertata e riconosciuta nelle stesse sentenze di assoluzione. Anche perché una parte dei servizi segreti e del mondo militare ha saputo intercettarlo, blandirlo e usarlo come co-belligerante, non tanto per realizzare un golpe, quanto per stabilizzare l’assetto istituzionale moderato e atlantico dell’epoca.
Nel libro, grazie alle interviste di Rao con i protagonisti, ci sono timide aperture da parte di ex militanti di estrema destra che si aprono a qualche iniziale piccola rivelazione su Piazza Fontana, la strage di Brescia, il Golpe Borghese Sono brandelli di verità che bisogna coltivare, anche fuori dalle aule giudiziarie, dato che molte indagini sono finite e difficilmente possono essere riaperte. Lo strumento può essere una Commissione per la verità, composta non da parlamentari con le loro visioni di parte, ma da storici ed esperti indipendenti, senza pretese ‘punitive’, ma con una pretesa di verità risarcitoria, soprattutto per i familiari delle vittime.
Una Commissione che provi a raccogliere quei frammenti che sono sparsi in libri, interviste, memoriali e, forse, nella coscienza di qualcuno e cerchi di unificarli in una lettura almeno storicamente condivisa. Sarebbe un lavoro in favore della memoria del Paese e delle vittime significativo anche in altri casi, come il sequestro Moro e l’omicidio Calabresi, in cui altri segmenti di verità,con uno sforzo di comprensione e non di punizione possono certamente affiorare. Concludendo voglio ricordare che sarebbe sbagliato pensare che il libro si rivolga solo al passato. Ha invece spunti che ci fanno riflettere anche sull’oggi.Il movimento degli studenti contro la riforma Gelmini vede la presenza di giovani di estrema destra che rivendicano il loro ruolo nei movimenti di lotta.
Qualcuno vorrebbe isolarli, qualcun altro si chiede se intendano stare dentro il movimento o, dopo gli incidenti di Piazza Navona, se puntino ad altro come radicalizzare lo scontro e magari far scatenare la repressione.Sono domande che Il sangue e la Celtica ci aiuta a porci in una prospettiva storica, grazie al capitolo dedicato ai fatti di Valle Giulia del 1 marzo 1968, forse il primo atto del ’68 militante, quando agli scontri con la Polizia parteciparono in prima fila Stefano Delle Chiaie e tutto lo stato maggiore di Avanguardia Nazionale, come si vede in una bellissima foto pubblicata nel libro e per la prima volta decifrata. Non ci sono ancora risposte, ma il libro aiuta gli studenti di oggi a cercarle anche in una chiave storica che rischiavamo di dimenticare”.

Guido Salvini

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