Il Giornale

2 Novembre 2008
Bondi: “Ecco perché Obama è simile a Berlusconi”

Roma Qualcuno griderà allo scippo, altri che si tratta di una operazione politica, molti resteranno stupiti. Di sicuro, quello di Sandro Bondi è un pronunciamento che – ad opera di un ministro di centrodestra, e a poche ore dal voto in America – spiazza: «Credo che ci siano molti punti di incontro fra il riformismo del centrodestra italiano e quello di Obama». Possibile? Lui, il ministro della Cultura argomenta così.
Ministro Bondi, lei tifa per Obama o per McCain?
«Non tifo. Osservo che i due candidati, pur diversi, rappresentano alla perfezione la politica americana nella quale tradizione e rinnovamento convivono stabilmente e l’avversario non è mai un nemico, semmai un competitor con idee diverse con il quale però si condividono i valori fondanti della Nazione e il medesimo sentimento d’amor patrio».
Lei non mi ha ancora risposto.
«Vuole che la stupisca? D’istinto vedo molte analogie fra Obama e Berlusconi. Rompono entrambi gli schemi precostituiti: non sono per nulla ideologici, fondano le loro leadership su un carisma comunicativo personale unico».
Ovvero?
«Sono accomunati da queste tre caratteristiche forti: carisma, innovazione, comunicazione. Per non dire dei contenuti».
In che senso?
«Il centrodestra italiano è forse il più attento, nel mondo, alle politiche di tutela sociale. Obama è forse il leader di sinistra più attento al mercato».
E McCain?
«Condivido la provocazione di Marcello Foa quando sostiene che Obama e Mcain “formerebbero la coppia ideale: il politico con i capelli bianchi, saggio, esperto, affidabile; il giovane di colore che abbatte i muri razziali e dà voce all’elettorato giovane e cosmopolita. I due volti perbene di un Paese che ha voglia di ripartire”. C’è anche un altro “però” che riguarda i partiti che li sostengono».
Quale?
«L’ispirazione cristiana. Per noi sarebbe inconcepibile avere un sistema, come quello americano, che lascia letteralmente senza nessuna assistenza ampie fasce di popolazione».
Deve stupire il fatto che un ministro di un governo di centrodestra esprima apprezzamenti per un candidato democratico?
«No, non ci sarebbe nulla di male a preferire Obama. Tra noi lo hanno fatto in molti, compreso il ministro Mariastella Gelmini, che in una bella intervista ha messo in evidenza la similitudine di programmi scolastici di Obama con i nostri».
Lei sta contendendo a Veltroni quello che ha di più caro, lo sa?
«Mi scusi, la sinistra italiana è provinciale e qualche volta perfino ridicola quando scimmiotta parentele politiche internazionali».
Ma i democratici americani hanno il loro stesso nome!
«Sì, ma soprattutto quello… Qualche anno fa, ad esempio, Veltroni e D’Alema vantavano non solo ottime relazioni con Tony Blair, ma accreditavano addirittura la primogenitura dell’Ulivo mondiale, che univa la triade D’Alema-Clinton e Blair».
L’hanno inventato loro, dicono.
«Già. Salvo poi rifiutare poco tempo dopo tutte le scelte di politica internazionale di Blair e revocare la fiducia a tutte le proposte di natura economica e sociale del suo governo! Fino al punto di ripudiare un’alleanza politica fino ad allora sbandierata come prova del riformismo della sinistra italiana».
Avranno anche il diritto di dissentire da Blair, no?
«Certo. Ma alla prova dei fatti, i leader della sinistra italiana si rivelano tutti senza distinzioni incapaci di scelte nette e coraggiose, preferendo baloccarsi con le parole e la propaganda, che hanno però vita breve».
Lei dava atto a Veltroni di essere diverso, prima del voto.
«Ne è passata di acqua sotto i ponti! Anche ora Veltroni cerca di accreditare un rapporto, una sintonia, un legame ideale e progettuale fra la sinistra italiana e il Partito democratico di Obama che purtroppo vive solo nelle sue illusioni cinematografiche e nella grancassa della propaganda politica».
Vuol dire che i consensi trasversali di Obama e la sua candidatura mettono in crisi le categorie classiche?
«Non c’è dubbio. Ormai le categorie classiche di destra e sinistra sono state travolte definitivamente dalle trasformazioni avvenute nel mondo in questi ultimi decenni».
Tutte le sinistre sono «riformatrici»? Tutte le destre sono necessariamente «conservatrici»?
«In parte le ho già risposto. Ma negli Usa le due grandi formazioni politiche, e i leader che di volta in volta le rappresentano, sono innanzitutto pragmatiche e realiste, soprattutto al governo. Oggi la vera differenza che passa tra schieramenti politici non riguarda l’economia, o la scelta fra innovazione e conservazione: ma l’etica, la vita, la concezione dell’uomo. La politica è divenuta una branca dell’antropologia».
Quale le sembra il discrimine?
«Da questo punto di vista, si può dire che i liberal americani, così come del resto la sinistra progressista europea alla Zapatero e alla Prodi-Veltroni, si definiscono principalmente per la loro concezione della libertà come soddisfacimento di ogni desiderio personale. Forse su questo potrei essere diverso da Obama. Ma siamo sicuri che la crisi economica che ha preso avvio negli States sia unicamente la conseguenza delle politiche liberiste?».
E di cos’altro per lei?
«Mi chiedo se non sia vera la tesi che questa crisi affondi le proprie origini più profonde in una politica keynesiana unitamente alla sofisticazione degli strumenti finanziari privi di ogni legame con la responsabilità morale…».
Voi vi sentite più riformatori del Pd, esattamente come Obama si dichiara più innovatore di McCain?
«In America le cose vanno meglio: sia Obama che McCain, sia pure diversissimi tra di loro, sono entrambi innovatori».
E da noi?
«In Italia c’è una sinistra conservatrice, di matrice comunista e di cultura radicale. Una miscela impressionante, che spiega la crisi in cui si trova».
Se vince Obama non teme una «onda lunga planetaria» che favorisca il centrosinistra?
«Ecco, Onda lunga è una classica espressione ideologica della sinistra italiana che si fonda su illusioni che sopravvivono lo spazio di un giorno».
Il fallimento della finanza americana, mette in discussione i vostri programmi, o il centrodestra italiano è diverso, anche sul piano economico?
«Le ho già detto che la crisi economica e finanziaria americana non è riconducibile alle cosiddette politiche neo-liberiste. Ma in ogni caso, i programmi che il Presidente Berlusconi sta realizzando, o quelli che sono stati realizzati durante gli anni dei precedenti governi, non hanno niente a che fare con le politiche liberiste».
E come le definirebbe lei?
«Politiche in cui si incontrano, nei singoli provvedimenti, esigenze della libertà e di iniziativa economica e di solidarietà verso i più deboli».
Non credo che Veltroni sarebbe d’accordo…
«È un fatto! Le elaborazioni teoriche e la concreta esperienza di governo del ministro Tremonti, non possono essere ridotte al cliché del neo liberismo. Solo dei pigri intellettualmente e politicamente possono non vedere le novità e l’originalità del programma del centrodestra in Italia».
Obama è passato in testa definitivamente con la crisi. In Italia si può produrre questo effetto?
«Qui semmai è il contrario. Guardi il caso di Gordon Brown. Le crisi economiche o i conflitti inevitabilmente spingono i cittadini a stringersi attorno a chi governa e a indurre politiche di solidarietà nazionale».
Quindi?
«In Italia l’abbiamo scampata bella! Pensiamo solo che cosa sarebbe accaduto in queste condizioni con un governo presieduto da Prodi o da Veltroni!».
Lei, come è noto, viene dal Pci. Altri quattro ministri, dal Psi. La componente “riformista” è la più forte dentro il Pdl?
«No: fin dall’inizio la forza e l’originalità di Forza Italia e ora del Pdl è derivata dall’alleanza tra la tradizione cattolico liberale e quella socialista liberale. Nella storia d’Italia il meglio è sempre stato il risultato dell’incontro tra cattolici e riformisti».
E lei, come si definirebbe, oggi?
«Nel mio caso la complessità è ancora maggiore. Perché molti laici socialisti o provenienti come me dalla tradizione migliorista del Pci sono anche credenti e cattolici. E quindi la nostra è anche la casa dei laici e dei credenti».

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