Il Giornale

19 Settembre 2008
Santoro inventa le “santorine”

Roma – Dunque Michele Santoro risponde a Silvio Berlusconi alla sua maniera: quello viene arpionato dagli occhi dolci e ancillari della trimedagliata Valentina Vezzali, e lui gli lancia subito il guanto di sfida, risponde colpo su colpo e «tocca» (alla Cyrano, non alla Valentina, s’intende). Così è: Santoro fa sapere che è pronto a schierare nell’arena di Annozero Margherita Granbassi, l’anti-Vezzali di sempre, più giovane e più levigata della fiorettista che da «azzura» sembra voglia farsi «azzurrina». Poi magari è una balla, o un tormentone per sbarcare sui giornali. Però ne parliamo.

Quel che è certo – vera non vera che sia la voce dell’arruolamento – è che intanto Michele ne ha triturata un’altra: come tutti i leader, come tutti i capobranco che assortiscono il proprio gineceo e lo potano come una siepe, ha sostituito Beatrice Borromeo, la principessina che a suo tempo lo aveva folgorato con una professione di ammirazione (in una ormai famosa intervista su Magazine) con una nuova dama di compagnia. Michele saluta la Borromeo, e ieri Il Foglio ha giustamente intonato l’amarcord per «Bea» che ci lascia. Ma ancora nessuno ha messo a fuoco che in televisione esiste una nuova categoria umana, un nuovo tipo antropologico, una nuova schiatta di femmine catodiche: è giunto il tempo di dire che dopo le «veline» e le «Letterine», dopo le «Chiambrettine» (più o meno laureate) e dopo le «Boncompagnine», ora si può parlare a pieno titolo anche delle «Santorine». Esistono e sono una categoria particolare – per certi versi sorprendente – che merita di essere studiata, e che ci dice qualcosa anche sul demiurgo che l’ha prodotta. Perché se è vero che Santoro cerca sempre di mettere in risalto la capacità critica delle sue partners stagionali, è anche vero che spesso instaura con loro un rapporto dialettico, elettrico, se non conflittuale. E che anche questo diventa televisione.

La prima telegiornalista arruolata, in tempi remoti – pochi se lo ricordano – fu Bianca Berlinguer, donna a cui certo non difetta il carattere (e infatti spesso tra i due erano scintille). Poi fu la volta di Simonetta Martone, che era la quintessenza dell’intellettualità stile Raitre, giornalista di sinistra, inchiestista, conduttrice, il tipo di donna che fa della montatura di resina un elemento di fascinazione. Quindi Michele mise in campo Luisella Costamagna, bellezza bionda, sabauda e nordica, occhi azzurri, così giovane da diventare a tutti gli effetti – durante la sua stagione santoriana – una desiderata musa mediatica. Luisella (che poi si è costruita una carriera solidissima e del tutto autonoma), all’epoca era il prototipo dell’antiberlusconismo catodico: se le dicevano che era bella si offendeva, se si facevano apprezzamenti sul suo seno se ne vergognava, preferiva vantare letture classiche, e sui settimanali veniva contrapposta alla Santanchè. Luisella era la «bella impegnata» e vagamente cipigliosa contro la bella mondana e disimpegnata, vagamente aennina (prima che «Dani» diventasse deputata). Alla Costamagna capitò di seguire Michele nei suoi pellegrinaggi, e poi di restare a Mediaset; di diventare conduttrice di Studio Aperto, di entrare nella skolè di Maurizio Costanzo, di scoprire una terza vita come ottima conduttrice de La7: di ribaltare completamente la sua immagine, insomma, rispetto al marchio originario, e poi persino di ritornare nella banda di Annozero, (dietro le quinte) perché Michele – da vero capo tribù – include ed esclude, a seconda dei tempi. Parte dalle intellettuali, ma sente l’attrazione delle vamp.

Con Rula Jebral il gioco dei ruoli iniziò a farsi complesso. Sempre si dice che Santoro (sarà lui che mette in giro le voci?) prima o poi voglia cedere lo scettro a qualcuno, Rula arrivò sparata come una palla di cannone, come se potesse esser lei l’erede: all’inizio si diceva che avrebbe condotto da sola (altra strategia pubblicitaria), poi si trovò ad amministrare una fetta di programma che era un feudo inviolabile per ammissione del conduttore. E poi però di nuovo arrivarono scintille e accavallamenti in onda, Santoro prendeva la parola, ribatteva sul tempo, profanava lo spazio di Rula, e questa dialettica era spettacolo per tutti (tranne che per lei). Bellissima anche Rula, palestinese, amica di Afef – dopo una serie di segnali premonitori – fu accantonata bruscamente, nella cerniera brusca di un cambi di stagione, come da rito. Al pari di tutti i leader carismatici anche Santoro assomiglia un po’ a Crono che divora i suoi figli: Marco Pannella crea e distrugge segretari di partito (da Francesco Rutelli a Daniele Capezzone) lui crea a distrugge «Santorine», le porta nel cono di luce, e poi le fa precipitare nell’ombra. Annalena Benini ricorda la polemica sulla «gnocca senza testa» che animò una memorabile puntata di Annozero, soffermandosi sul fatto che nessuno ha rivelato chi avesse davvero pronunciato, fra Facci e Travaglio e gli altri ospiti della serata, la frase incriminata. Ma il paradigma della difficoltà di scegliere fra intelletto e avvenenza, è a ben vedere una delle peculiarità delle «Santorine». E del demiurgico Michele, che alla fine sceglie «una gnocca» se «ha una testa», ma volentieri la decapita, quando costei inizia ad usarla.

L’anno scorso, invece, fu l’anno della consacrazione della Borromeo. Da lei Michele accettava tutto. E lei era cresciuta dentro l’alveare del santorismo come una nuova stella. Aveva fatto dimenticare gli esordi un po’ incerti, le insinuazioni sulla matrice dei suoi interventi («come sarebbe a dire chi me li scrive? Io, me li scrivo»), era diventata padrona dell’arena, aveva perso le incertezze, imparato come bucare la camera con i suoi incisivi e il suo sguardo madreperlati. Adesso, se arrivasse davvero Margherita sarebbe una nuova sfida al Cavaliere: di nuovo «gnocca». E stavolta con… «il fioretto».

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Un commento »

  1. Ma, la Granbassi è di destra.
    Va bene che per un lavoro in tv si può anche cambiare idea politica ma…

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