Il Giornale

23 Novembre 2007
Caldarola: “Veleni per far saltare il dialogo di Walter”

Luca Telese

Roma – «Ci sono due cose inaccettabili in questa storia. Il complottismo e la strumentalità. Qualcuno sta cercando di fare pressioni su Walter, perché salti la stagione del dialogo». Peppino Caldarola, deputato del Pd, ex direttore dell’Unità, veltroniano di ferro, non ha dubbi. Walter, ovviamente, è Veltroni. E il tentativo di affondare il dialogo è la vicenda delle intercettazioni dei dirigenti Rai e Mediaset. Caldarola non ha dubbi: «Per quel che riguarda il rilievo penale tutta questa storia va analizzata con una bella borsa di ghiaccio sulla testa. Ma per quel che riguarda gli effetti politici, c’è il bisogno, anzi il dovere, di intervenire subito, per fermare questa ennesima fuga di veleni».

Onorevole Caldarola, come mai tanta nettezza, assolutamente controcorrente fra i dirigenti della sua coalizione?
«Essendo cresciuto in una redazione, mi ricordo bene che sia ai tempi del terrorismo sia durante quelli di Mani pulite, le concertazioni ci furono, eccome».

Hanno detto che si tratta di un tentativo di inciucio. Che ne dice?
«Lo ripeto, ci vuole prudenza. Può esistere anche una concertazione che non sia anticoncorrenziale. Non trovo stupefacente che qualcuno, anche in ottima fede, lo abbia fatto. E voglio aggiungere una cosa… ».

Una rivelazione?
«Nel periodo in cui ero nel gruppo di comando dell’Unità ai tempi di Veltroni direttore, noi non solo ci consultavamo con gli altri giornali – era durante la stagione di Tangentopoli -, ma addirittura facevamo da tramite fra Repubblica e il Corriere che non si parlavano».

È un’autoccusa o un’autoapologia?
«Non do giudizi di merito, forse in alcuni casi è stato un errore, perché bisogna sempre cercare di avere l’esclusiva, ma di sicuro nessuno allora gridò allo scandalo».

Forse adesso…
«Non sto rivelando segreti di Stato, fra gli addetti ai lavori era ben noto».

Insomma lei si è consultato?
(sorriso) «Ebbene sì, mi sono consultato».

Torniamo al merito. Per lei il problema è politico.
«Sì, ci sono almeno due cose che mi stupiscono in questa storia. La prima è l’idea ricorrente e grottesca che ci sia una regia in questa consultazione».

Ovvero Berlusconi.
«Sì, un signore chiuso in una stanza a fare il burattinaio della storia italiana, a decidere i dettagli dei programmi o i titoli dei giornali. Insomma un golpista!».

E lei non ci crede?
«Ma va’ là! È una visione grottesca».

La seconda cosa che non accetta?
«Il tentativo di condizionare Veltroni, traendo una morale di questo tipo: con questi non si può parlare perché sono quelli che tramavano contro la libertà e la democrazia».

E lei nemmeno su questo è d’accordo?
«Ovviamente no. Primo perché non penso che esista il burattinaio, secondo perché la pacificazione quando si fa, si fa con eserciti che sono stati in guerra. Non puoi fare la pace se contemporaneamente vuoi tirare fuori gli scheletri dall’armadio del tuo interlocutore».

Le viene in mente un esempio?
«Sì, un generale israeliano che sa fare la guerra, ma che quando decide che vuole fare la pace, arriva fino in fondo. Certo Rabin non guardava alla storia di Arafat quando gli ha stretto la mano».

Insomma, anche lei dice che c’è una regia?
«No, non voglio dire che necessariamente queste carte siano state tirate fuori dagli archivi per un uso politico. Quando però sono nell’agone politico, qualcuno cerca di farne un uso politico».

Perché?
«Perché molti, anche nel centrosinistra, non resistono alla tentazione di dare una lettura complottistica della storia italiana. È un vecchio vizio».

Ma lei di questa inchiesta che idea si è fatto?
«Per ora sono dei brogliacci che riassumono il senso di alcune intercettazioni. Vedremo cosa diranno le inchieste, ma la cosa che si può sicuramente affermare fin d’ora è che questi veleni non possono essere usati politicamente per condizionare Veltroni, per bruciare, prima che fruttifichi, il seme di una svolta politica, un dialogo che finalmente si apre. E che io spero possa regalare una nuova stagione all’Italia».

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