di LUCA TELESE
No cari, se avete perso il treno, al ballottaggio tra Bersani e Renzi non dovete votare. Dopo aver passato una vita a combattere con il pop-breznevismo mi ritrovo a difendere il sacrosanto valore delle regole affermato dal Nico Stumpo e dal cosiddetto «Viminale del centrosinistra». Credo sia giusto che chi non ha votato al primo turno (salvo eccezioni documentate o spiegate) non partecipi al secondo.
Ti dicono: non si può sottrarre un diritto così importante ai cittadini. Ti spiegano: facendo partecipare gli elettori che non hanno votato si allarga la platea, si fa proselitismo. Balle.
La risposta è molto più semplice. I diritti non sono una merce che si acquista al supermercato. Non sono un benefit che si rivendica a piacimento. Sono una conquista a cui – di solito – corrispondono dei doveri. E poi «il diritto di votare solo al ballottaggio» non esiste perché la partita delle primarie è già iniziata da 90 minuti. Immaginate che sia la Coppa dei campioni. Vi parrebbe normale che dopo la partita di andata, una squadra che non era in campo, magari dopo aver pesato un risultato favorevole, dicesse: «Bene, visto che con i goal del primo turno ci si può qualificare, adesso giochiamo noi perché la vittoria è possibile?». Direste giustamente: questi sono matti.
Immaginate invece che si tratti delle Olimpiadi. Cosa penseremmo se senza aver passato le qualificazioni arrivasse un atleta che spiega: credetemi, io sono bravissimo, voglio misurarmi contro Bolt perché sono molto in gamba? Tutti risponderebbero rinchiudetelo, e l’atleta presuntuoso sarebbe accompagnato fuori dallo stadio.
I presunti milioni di italiani che domenica potrebbe reclamare il loro «diritto di scegliere», dunque, sono come quelli che entrano nel cinema quando il film è iniziato da mezz’ora e si arrabbiano se chi è già seduto non gli cede il posto. Dovevano pensarci prima. E soprattutto: se anche per vedere un bel concerto è considerato normale che si compri il bi- glietto prima della data, ed è pacifico che chi è senza poltrona non entri in teatro, perché dovremmo considerare meno nobile, importante e sacro il ballottaggio in cui si decide il futuro possibile presidente del consiglio?
I due turni elettorali sono collegati fra di loro come i due capitoli di una stessa storia. E soprattutto: sono parte di una consultazione di un partito, non un diritto costituzionale normato per legge per una generica «collettività». Trovo ridicola la difesa del presunto diritto dell’«elettore deluso» di una coalizione a determinare con il suo voto la leadership dell’altra.
Qualcuno, addirittura, si spinge a dire: questo elettore ha diritto a votare il leader che preferisce, e – nel caso che quello non vinca – a tornare alla sua coalizione di origine. Ovvero: un povero elettore berlusconiano deluso potrebbe dire: voto – facciamo un esempio – la Santanchè lea- der del centrosinistra: ma se non vince, me ne torno a votare Pdl.
È come se l’inquilino di un condominio volesse eleggere l’amministratore di un altro palazzo e poi dicesse: se vince quel signore che mi piace, potrei traslocare. Altrimenti resto a casa mia che sto bene. Questa idea della democrazia come consumo opzionale non mi piace.
Ero all’Ergife di Roma il giorno in cui si votarono queste regole. E ricordo che Reggi, il rappresentante di Matteo Renzi, dopo aver fatto votare ai suoi la delga al segretario disse: «Ringrazio Bersani per il buonsenso dimostrato». O era ipocrita, o non aveva capito bene. In ogni caso è colpa sua. La democrazia è anche capacità di discernere. per fortuna.
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