di LUCA TELESE
Marco Doria è definito “il candidato di Don Gallo” perché il prete “angelicamente anarchico” lo ha convinto a correre. E’ figlio di Giorgio, erede della più importante dinastia genovese, diseredato dal padre quando si era iscritto al Pci (poi vicesindaco molto amato nel dopoguerra). Tre figli, moglie professoressa, insegna storia economica all’Università di Genova, dice di voler raccogliere i voti dei delusi della politica, spesso viene rimproverato dai suoi supporter: “Marco, sei candidato, perché non ridi mai!?”.
Già, perché non ride?
La mia campagna elettorale è stata una immersione totale, un viaggio in una città che vive crisi economica e disagio: non c’è nulla da ridere.
Se vince le primarie che posto darà alle due donne del Pd?
Nessuno: ci sono tante persone nuove e competenti da mettere alla prova! La Pinotti è senatrice … Non metterei in giunta chi era già affermato quando i miei studenti non erano ancora nati.
Perché uno del Pd dovrebbe votare lei, avendo due candidati del suo partito?
Se vincono la Pinotti o la Vincenzi il partito si spacca. E poi credo che in questa stagione serva un sindaco che non viene dal professionismo politico.
Dicono che lei, da studioso non conosce bene la città.
Il mio lavoro mi aiuta. Lei lo sa dove nasce la parola “Caravana”? Sono i primi portuali, bergamaschi, che vengono a lavorare a Genova nel medioevo. Poi arrivano inglesi, tedeschi, migranti di ogni razza dal mare. Siamo una realtà multietnica da secoli.
Il primo problema del porto?
Le infrastrutture. Non serve scaricare container, se poi i camion si incodano nel traffico e avvelenano la città.
La Vincenzi ha sbagliato sull’alluvione?
Se non fossi candidato le risponderei. Ma non dico una parola, su quella tragedia, col sospetto di essere a caccia di voti. Lei non ha avuto abbastanza dialogo con la società civile negli ultimi anni.
Prenderebbe un grillino nella sua giunta?
Se dicesse che vota centrosinistra sì. Se al ballottaggio dicesse che destra e sinistra sono uguali, no.
La prima cosa che farebbe?
Costruire la città culturale e incatenarmi – se serve – per salvare Fincantieri. La grande opportunità? Le arie industriali dismesse. A patto di non farci supermercati ma aree di sviluppo e centri di aggregazione.
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