Dopo la mia intervista ad Antonio Di Pietro, una persona a cui voglio bene, in redazione, mi ha mandato un messaggino ironico: “Hai fatto un solo errore. Citare Facci”. Era una battuta. Ma a cui mi sono trovato in imbarazzo a rispondere che non mi piaceva, perché conosco Filippo da almeno dieci anni, abbiamo lavorato nello stesso giornale e non cambio i rapporti a seconda delle testate in cui lavoro. Quasi sempre sosteniamo posizioni astralmente opposte, ma a volte ci troviamo persino d'accordo su qualcosa: affini per temperamento e anagrafe, malgrado io consideri irredimibile il suo (parole mie) “craxismo crepuscolare”, e lui inaccettabile il mio (parole sue) “giustizialismo berlingueriano”.
Ora, tendenzialmente, io non mescolo i fatti privati e quelli pubblici. Però mi torna in mente, quel messaggino, quando leggo che Facci si appende anche alle chiacchiere tra noi per infilare un “effettino” in una sua ennesima articolessa antidipietrista (il capitano Achab gli fa una pippa). Facci su Libero definisce la mia intervista così: “Una paginata intera di puro cazzeggio scambiato per intervista a Tonino: mero intrattenimento, stile ridanciano e cialtrone, domande banalizzanti e non-risposte finto-spiritose, scambi brillantoidi che alla fine lasciavano il nulla”. Fin qui nulla di male, le solite cazzate di Filippo. Ma poi aggiunge: “E pensare che l'intervistatore modello 'oh-come-sono-simpatico-e-irriverente', Luca Telese, aveva contattato il sottoscritto per documentarsi. Poteva evitare”. La cosa è divertente, perché Facci è un biografo antipatizzante di Di Pietro, è uno di quelli che più si è esercitato sul tema: Tonino “lo spione”. Per cui, in omaggio a Salinger, secondo cui è bello chiamare gli autori e dirgli che cavolo hai scritto, ho telefonato Filippo e gli ho chiesto: “Ma tu sei davvero convinto che Di Pietro sia una spia?”. Applicando il suo sistema vi racconto la sua risposta: “Credo che sia una cazzata”. Però, mentre mi diceva questo, mi anche ha indicato tre articoli in cui raccoglieva una serie di dettagli che potevano avvalorare la tesi. L'assunzione del giovane Di Pietro in una ditta che dipendeva dal ministero della Difesa, la sua laurea (“Incredibilmente breve”) e la sua “Missione alle Seichelles” da magistrato…. Ho interrogato Di Pietro su questi, su altri fatti e sull'ormai celeberrima foto con Contrada. Liberi tutti di credere quello che vogliono (leggetevi l'intervista sul mio sito) ma a me è sembrato che le spiegazioni di Di Pietro siano meno elucubrate di quelle dei suoi dietrologi. Tra queste va compreso anche l'ultimo parto di Facci, di cui si capisce poco, tranne che Di Pietro ha cercato di aggiustarsi la biografia di Moncalvo (come fanno, credo, tutti i politici italiani).
Applicando il metodo Facci a un dettaglio di Facci, invece, si scopre questo: Travaglio lo definisce da sempre “il giornalista con le meches”. Lui nega e ne fa punto di onore. La cosa mi incuriosisce. Incontro Facci nello studio di “Niente di personale”, da Piroso, dove siamo invitati entrambi: chiedo alla truccatrice che lo ha appena pettinato: “E' biondo naturale?”. Lei ride: “Nooooh!”. “Ha le meches?”. Lei ride e guarda la collega: “Noooh”. Poi mi risponde: “E' molto più raffinato. Ha le chatouches!! E' il primo uomo che ho visto così, Hi-hi-hi…”. Lo ripeto in studio. Curiosamente Facci arrossisce, si imbarazza un po' e balbetta qualcosa (c'è il video). Essendo un finto-brillantoide che lascia spazio al nulla ho pensato solo: “Che tenero: narciso, ossigenato e pudico”. Se fossi lui che parla di Di Pietro, invece, potrei pensare che sia abile, cinico e determinatissimo: che abbia imparato a contraffare i suoi connotati nelle scuole di addestramento della Cia?
Luca
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Egregio D'Agostino,
La informo che ho provveduto a querelare Luca Telese per il suo l'articolo-lettera pubblicato su Dagospia. E' la prima querela della mia vita, ma questo pagliaccetto sghignazzante del giornalismo romano mi ha veramente rotto i coglioni.
Preciso che, anche se lui ha storpiato ogni mia frase, penso e ho scritto su Libero (a partire dal 16 gennaio) che un Di Pietro «al soldo dei servizi segreti deviati e della Cia per abbattere la Prima Repubblica, perché così volevano gli americani e la mafia» corrisponde a una sciocchezza, diversamente da altre ambiguità da «spione» che appartengono al suo passato e che ho provveduto a documentare in un libro più volte ristampato e saccheggiato dai cugini del Giornale.
Per quanto attiene al serissimo tema dei miei capelli, visto che appassiona, allego fotografia familiare del 1971 (incredibile, ci tingevamo tutti, compresa mezza Austria di cui sono originario) e invito chiunque a controllare magari accompagnato dalla sua parrucchiera di fiducia. Telese può chiedere a sua moglie, visto che lavora a Mediaset e ne conoscerà moltissime.
Filippo Facci
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L'unica cosa che è capito, leggendo l'articolessa scomposta di Filippo Facci, è che pur di ottenere dieci righe con foto su Dagospia (e che si parli di lui), sarebbe pronto a tingersi color cobalto o a farsi una frangetta alla Fumagalli Carulli.
Essendo fuori casa non posso allegare una foto di quando i capelli li avevo ancora. Ma sono pronto a pattegiare. In onore di Facci potrei anche mettere delle extentions.
Luca
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