TASSINARI LEGGE "I TERRORISTI DELLA PORTA ACCANTO" DI CORSINI. OVVERO, IL "TERZO" LIBRO SU FIORAVANTI E LA MAMBRO, CHE PERO’ IN REALTA’ E’ QUASI IL PRIMO, IL DECIMO DI UN FILONE CHE HA RISCOPERTO LA DESTRA E GLI ANNI DI PIOMBO. GENERANDO PARADOSSI DELLA MEMORIA E RISCHI DI STORIOGRAFIA "EMBEDDED"
Un piccolo retroscena e una spiegazione dovuta. Il primo è questo: quando vedo "I terroristi della porta accanto" in libreria soffro, perchè Corsini mi parlò della sua idea di ripubblicare il suo libro su Mambro e Fioravanti, e di approfittare dell’occasione per riscriverlo da capo. Per le "Radici" sarebbe stato perfetto, ma io allora temporeggiai colpevolmente, e poi gli dissi che non me la sentivo di aggiungere alla biografia un ennesimo titolo sui due ex Nar (quando ci sono altri territori di storia della destra completamente inesplorati). Era appena uscito "Storia nera", avevano appena ristampato "A mano armata", mi pareva più urgente far riuscire (nel numero limitato di ristampe che posso pubblicare in un anno) "Fascisteria", scritto da Tassinari, e poi scomparso prematuramente dalle librerie non per colpa del libro (che era straordinario per mole e capacità di documentazione) quanto per le disavventure della prima Castelvecchi.
Ovviamente mi sbagliavo. Non su Tassinari (il nuovo Fascisteria esce dopo Natale, è una bibbia di 900 pagine, non so quanto venderà, ma so che quelli che lo compreranno lo divoreranno e ne saranno appagati), quanto sulla capacità di Corsini di partire dal telaio della sua biografia-lampo per scrivere un libro nuovo, aggiornato e completo. Un libro che nell’ultimo capitolo – per dire – porta per la prima volta in libreria un aggioramento sulle relazioni della commissione stragi su Bologna (di cui, a parte gli addetti ai lavori, nessuno sapeva nulla). E mi sbagliavo perchè, contrariamente a quel che si pensa, quando uno ha delle cose da dire, riscrivere permette di scrivere meglio. Piero lo ha fatto, e lo ha fatto benissimo, anche alla luce dei suoi ultimi dieci anni di inchieste a Mixer (e si vede). Così, per sanare simbolicamente il danno, ho pensato che era bello chiedere di scrivere a Tassinari. ne è uscito fuori una scrittura per specialisti della materia, che spero sia altrettanto avvincente, nel suo almanaccare analogie e paradossi della memoria, anche per chi non ha letto tutti i libri citati (per giunta nelle diverse edizioni).
Luca
COSA SUCCEDE SE CHI SCRIVE DELLA DESTRA RADICALE DEVE ATTINGERE ALLA MEMORIA ORALE DELLA DESTRA RADICALE
di
Ugo Maria Tassinari
Caro Luca,
questa non è la recensione del libro di Corsini che mi hai chiesto ma alcune riflessioni che mi ha suscitato e che mi piace mettere in comune con te e gli amici del blog.
Dopo il pionieristico A mano armata di Bianconi, a partire da Neofascisti
di Rao
si è sviluppato un interessante filone saggistico in cui la principale fonte storica delle vicende degli anni di piombo non sono più gli atti giudiziari e le elecubrazioni dei pm ma le testimonianze dirette dei protagonisti.
Tutti gli autori di questo filone (oltre ai già citati, tu, Colombo, io, Semprini & Caprara) sono giornalisti (quasi tutti di sinistra, tutti con un rapporto più o meno simpatetico con le fonti) e questo ha qualche implicazione metodologica. Correttamente Corsini applica l’incrocio delle fonti contraddittorie. Tra l’altro senza mediazioni,con una tecnica di montaggio da Mixer, mi verrebbe da dire: e non sarò certo io a criticarlo, visto che ho avuto il barbaro coraggio di pubblicare pari pari le dieci cartelle del memoriale Macchi (suscitando il giusto rimbrotto
di Rao
, vestale del sacro ruolo della “mediazione” giornalistica sulle fonti) senza prendere posizione, anche se poi è il contesto che orienta l’interpretazione. In Naufraghi come nei Terroristi della porta accanto.
In almeno due casi Corsini mi usa
come polo
della contraddizione. Nel caso del ritratto di Mangiameli offertomi da Adinolfi (vs. il pessimo giudizio dei suoi assassini) e in quello della morte di Vale, laddove all’"anomino" (mica tanto: e credo se ne sia accorto lo stesso Corsini qual è la fonte) guerrigliero nero che smonta la tesi del suicidio replica il principale “accusato”. In quest’ultimo caso,ovviamente, a dirimere la questione basta l’eccellente lavoro di ricostruzione delle ultime ore di Vale e delle immediate narrazioni giornalistiche fatto da Caprara& Semprini in
Destra Eversiva e Criminale (un libro atroce per un editing da sanzionare fisicamente ma assolutamente prezioso per le gemme che contiene: l’ho usato poco per Fascisteria 2, che sta per uscire pubblicato dalla Sperling, ne farò tesoro per la riedizione di
Guerrieri). Ma ovviamente
non si
può trasformare ogni libro nella mappa dell’impero cinese raccontata da Borges.
Il problema sorge, ovviamente, nel momento in cui questi libri diventano a loro volta un accumulo di dati e quindi in se stessi fonte di “verità storica”. E oggetto di dibattito: così Fioravanti coglie l’occasione del testo di Corsini per replicare all’accusa (da me rilanciata più volte) dell’omicidio Arnesano come una “forzatura” per “incastrare” Vale. Ma sulla questione della “battaglia della memoria” tornerò più avanti.
Con giusta malizia, a un certo punto, Corsini coglie in castagna Ciavardini e a una sua smentita fatta, credo a Semprini, non ho il libro sotto mano, oppone un fatto: che nelle registrazioni con Corsini nel 1995 aveva detto tutt’altra cosa.
E qui cominciamo a entrare nel vivo nei meccanismi della memoria umana, che non è un accumulo di banche di dati in silicio ma il prodotto di un complicato lavorio di continua retroazione tra emozioni, contingenze, diverse economie, dal politico al narcisistico, autorappresentazioni.
E quindi bene fa Corsini (lo fa spesso, non sempre e qualche volta il testo ne risente) a fissare nel tempo la determinata testimonianza. Non è questione di malafede: è proprio lo scherzo della vita. Ne posso essere diretto testimone. Il terribile sforzo che mi è costato (ri)scrivere Fascisteria ha fatto sì, ad esempio, che quello che Adinolfi mi ha detto nel 1988 su Dimitri, non so se appena scarcerato o ancora detenuto, con un forte giudizio critico sul suo ruolo nel movimento della dissociazione, fosse superato non dico oggi ma già quando il libro è andato in stampa. E le stesse considerazioni valgono, che so, sul memoriale più o meno “apocrifo” di Miguel Martinez su Nuova acropoli: un cittadino ha il diritto di considerare non più valido un suo testo, prodotto di precise circostanze storiche (nel suo caso il trauma della fuoriuscita da una setta totalitaria). E quindi il suo uso decontestualizzato e senza tutte le precisazioni del caso è profondamente scorretto.
Ovviamente, se si comincia a “giocare” su questo terreno, ci si può fare molto male. E i soggetti più a rischio sono proprio Francesca e Valerio, proprio per la loro straordinaria sovraesposizione (questo è il terzo lavoro esclusivamente dedicato a loro: anzi a voler essere precisi Bianconi parla
della vita
di lui, ma gli intrecci sono evidenti…). E’ così evidente, per fare un esempio, il clamoroso cambio di giudizio su Cavallini (tra A mano armata di Bianconi 1992-93 e Storia nera di Colombo 2007) e il movimento di senso opposto verso Alibrandi (tra gli interrogatori giudiziari e i due testi di quest’anno: nel primo caso è evidente che abbia giocato il condizionamento del “processo”
di Bologna
aperto, nel secondo caso la storia ha dimostrato quanto fossero sbagliate quelle affermazioni (io lo notavo già in
Fascisteria, riportando dettagliatamente la testimonianza
di Claudia
Serpieri dell’85, che oramai è diventata un must).
La conclusione a cui sono giunto – e temo che così io possa suscitare qualche pernacchio, atteso che sono stato il più ossessivo e paranoico accumulatore di dati – è che a questo punto è praticamente impossibile usare le fonti orali dirette per la ricostruzione dei fatti storici, mentre è molto importante lavorare con questi materiali sulla storia della mentalità, sulle dinamiche del vissuto. Ne aveva già parlato Bianconi, ma il testo di Corsini è impagabile proprio quando scandaglia il rapporto di coppia tra i terroristi della porta accanto. Perché ci restituisce le emozioni, perché rende conto della complessità del reale: perché non serve pensare a dei mostri. E anche se la descrizione di qualche melensaggine della coppia
di innamorati
susciterà la legittima indignazione dei familiari delle vittime, è giusto che si sappia che in quegli anni un ragazzo di 20 anni poteva ammazzare un coetaneo con un colpo in fronte, o anche alla schiena, e poi palpitare per la sua bella, come tutti gli adolescenti di questo mondo.
Vado a concludere con due osservazioni. Anche
Francesca Mambro
, in almeno due circostanze, dice a Corsini cose documentatamente non vere ma in assoluta sincerità (e non starò qui a riprendere le plateali puttanate che Fioravanti fa scrivere a Colombo, scambiando, che so, Bruno e Dario Mariani). Quando associa direttamente il pentimento di Cristiano ai primi sospetti su Cavallini e all’episodio del ferimento di Carminati al confine. Perché in mezzo a quei dieci-dodici giorni c’è un blitz con 50 arresti. Probabilmente un eccesso di sintesi di Corsini e la voglia di non fare un doppione, perché già nel libro
di Colombo
la Mambro aveva ricostruito perfettamente e smontato la menzogna di Cristiano che si pente prima di Sparti e non perché crolla dopo il “pentimento” del padre putativo. Così non può essere stato Palladino a portare gli “sbirri” a via Decio Mure, dove muore Vale: era in galera da due settimane. Ma certo, è un’imprecisione: perché Palladino avrebbe soffiato il nome di Sortino e poi…
A proposito: è ormai verità di fatto che Palladino ha sulla coscienza Vale, ma qualcuno ha mai trovato uno straccio di verbale o una dichiarazione degli inquirenti che affermano che a via Decio Mure ci sono arrivati su indicazioni, più o meno diretta di Palladino? E’ anche questo un caso di profezia che si autoavvera?
Per finire: la battaglia della memoria. A venticinque anni di distanza continuano le “scaramucce” tra “bande” rivali. I tippini lavorano sistematicamente alla distruzione dell’immagine dei "terroristi della porta accanto" (hanno ammazzato Ciccio, hanno lavorato metodicamente alla distruzione del gruppo) e viceversa Mambro e Fioravanti fanno altrettanto con i tippini (un loro capo voleva “eutanasizzare” Francesca, il gruppo dirigente ha tradito la causa rivoluzionaria). Così le narrazioni diventano gli episodi di una guerra a bassa intensità, con altri mezzi. Io, pur avendo cominciato la mia lunga ricerca avendo come fonti privilegiate i leader di Tp, mi sono sempre sforzato di non essere “embedded” e colgo l’occasione per ribadire che al di là della simpatia, del rispetto (e in qualche caso anche dell’amicizia) che nascono tra ricercatore e “oggetto della ricerca” (in questo caso, buffo, si tratta proprio di ex ricercati) non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo essere “embedded”.