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Io e l’Unità

ago 23 2008 Published by admin under Blog

A PROPOSITO DE L’UNITA’ E DI CUORI NERI


Carissimi,

non volevo tediare i cuorineristi con un argomento non di stretta attinenza, ad esser pignoli, con il tema di questo blog. Ovvero la proposta che mi era stata fatta, di andare a lavorare a l’Unità. Tutti materiali correlati, sono pubblicati su Lucatelese.it. E lì troverete la dichiaraizone che ho fatto all’Ansa, quando mi hanno chiamato, compresa la notzia che non vado e i rigraziamenti a Concita De Gregorio per avermi fatto quell’invito. Siccome non è nata iri, sapeva chi prendeva, con quale profilo, e con quale identità politica e professionale. Però, a ben vedere, un legame lo hanno stabilito i miei anonimi critici. Infatti, come ha raccontato Il Riformista, una mano anonima, nella sede trasteverina del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, aveva affisso un messaggio con scritto sopra: “Ecco gli amici di Telese”, e affianco una foto di Gabriele Adinolfi ed il logo di Casapound. Meraviglioso. Il giorno dopo il Corriere della sera titolava: l’ira di Colombo per l’autore di CUori neri a l’Unità” (una cosa di questo tipo).
Chi legge questo blog – loeggendo la prima e la seconda notizia – si farà quattro risate: se no altro perchè conosce tutte le dispute che Adinolfi ha avuto con me (e viceversa), e se non altro è a conoscenza del fatto che io, a quanto pare, gli stia cordialmente sulle palle. Poi, però, qualcuno arriva da Marte, non sa nulla e non capisce nulla, e pretende di metterti all’indice perchè sei “un frequentatore” di Casapound. Un amico dei fascsit, o un fascista visto che , lo dice l’equazione, ho scritto un libro suoi fascisti. Come sapete tutti a Casapound ci sono stato un sola volta in vita mia, per buona parte della serata a litigare (non che lo volessi, ma fu un piccolo match, proprio con Adinolfi, peraltro), e forse non ci andrò più. Non condivido quasi nulla di quello che dice Adinolfi, ma continuo a difendere il suo e il loro diritto ad esistere da tutti gli attacchi pregiudiziali, a fare quello che a loro aggrada, e a non essere etichettati come degli appestati solo perchè qualcuno pretende di ritirargli il patentino di presentablità sociale (non si capisce in virtù di quale divino mandato). Accadde già dopo il terribile delitto di Focene, quando quacluno approfittò della morte di Renato Biagetti per creare quella lista di proscrizione (che poi è finita nella bancheca dell’Unità) e avanzare la proposta di chiusura di Casapound. Come se dopo la bomba a Cuore nero di Milano, qualcun altro avesse imposto la chiusura del Leoncavallo. Bene, io non sono frequentatore nè di Casapound nè del Leoncavallo, ma difendo il loro diritto ad essitere, almeno finchè non violano le regole. Ecco che cosa andrei a scrivere in qalunque giornale rosso, nero o bianco in cui mi ritrovassi a scrivere. Visto che per ora quello che mi va di scrivere lo posso scrivere al mio giornale, per ora me ne resto egregiamente dove sono. E ci resto, orgoglioso di aver scritto non un libricino che ti dimentichi di aver pubblicato, ma un libro che vende quasi cinquantamila copie (settemila dell’edizione tascabile, quest’anno), e per cui la gente mi continua a scrivere anche in questa estate. Se mi mettono all’indice per Cuori neri, per il fatto che non ho una banda politico giornlaistica di riferimento, insomma, io la consdiero una piccola medaglia. Vuol dire che qualcosa di buono l’ho fatto.
Luca

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Concutelli in cella

ago 23 2008 Published by admin under Blog

 

E «Liberazione» difende il camerata: in cella per una canna, scarceratelo

di Paola Setti per Il Giornale

Va bene anche l’«uomo nero», se aiuta la causa dei rossi. Lui è quello che il 10 luglio del 1976 uccise con una mitraglietta il giudice Vittorio Occorsio perché, disse: «La giustizia borghese si ferma all’ergastolo, la giustizia rivoluzionaria va oltre». Ed è quello che di ergastoli se n’è presi tre, perché al primo omicidio ne ha aggiunti due, i terroristi neri Ermanno Buzzi e Carmine Paladino li strangolò in carcere con un filo di nylon perché li considerava delatori, spie. Ma per la sinistra, Pier Luigi Concutelli l’ex comandante militare di Ordine nuovo che dei suoi crimini non si è mai pentito, oggi è solo uno che «non è affatto una persona ipocrita. Chiama pane il pane e vino il vino». Soprattutto, nel corso dei suoi 31 anni di carcere già scontati si è scagliato contro un regime carcerario che, come recita il vecchio adagio della sinistra, non redime ma punisce. Ancor di più, Concutelli crede nel valore terapeutico della cannabis, tanto da farne uso anche se è in semilibertà.
Quel pezzo di «fumo» glielo hanno trovato in tasca e l’hanno rispedito a Rebibbia a dispetto delle sue proteste, era per uso personale, ha detto, mi serve per combattere la pressione alta. Un’ingiustizia, tuona adesso la sinistra, che dalle colonne di Liberazione addirittura fa appello alla Commissione europea dei diritti dell’uomo, che presti attenzione al «caso Concutelli» e promuova «una campagna in difesa del suo diritto al ritorno in semilibertà». E così, per quegli unici tratti che li accomunano, adesso l’ex dirigente del Fuan e poi dirigente di quell’Ordine nuovo i cui aderenti vennero condannati per ricostituzione del Partito nazionale fascista, adesso è amico dei comunisti.
Scrive il quotidiano diretto da Piero Sansonetti che sì vabbè, il passato. È l’ora di finirla, con questa storia che ci si volta a guardare indietro: «Parlare del suo passato pre carcerario non serve a nulla». E che importa se Concutelli da quel passato non si è mai dissociato: «Parliamo invece dei suoi 31 anni di carcere, una pena che, ben peggiore della pena di morte, pochi hanno subito in questo Paese». Ed ecco il punto: «Parliamo della necessità di considerare legale l’uso terapeutico della cannabis». Una misura sproporzionata, avverte Liberazione, quella di togliere la semilibertà a un uomo di 64 anni come Concutelli. Che soffre di prostata, in 31 anni ha perso trenta chili e guadagnato «tanti acciacchi in più».
È un appello accorato «a tutti i garantisti rimasti nel nostro Paese», quello della sinistra che poi va a piazza Navona con i giustizialisti alla Antonio Di Pietro. Ricordino che «con i prigionieri per “eversione di sinistra”», il camerata Concutelli «ha condiviso la necessità di criticare il carattere classista del sistema carcerario, che punisce solo ed esclusivamente i poveracci, e di promuovere una cultura nuova, capace di mettere in discussione alla radice le misure penali infernali come il “fine pena mai”». Un uomo dalla «straordinaria generosità umana», insomma. «Il mio onore si chiama fedeltà», era il motto di Ordine nuovo. Era lo stesso motto delle Ss. Ma il passato è passato. Quando serve alla causa.

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