Io e l’Unità

23 ago 2008

A PROPOSITO DE L’UNITA’ E DI CUORI NERI


Carissimi,

non volevo tediare i cuorineristi con un argomento non di stretta attinenza, ad esser pignoli, con il tema di questo blog. Ovvero la proposta che mi era stata fatta, di andare a lavorare a l’Unità. Tutti materiali correlati, sono pubblicati su Lucatelese.it. E lì troverete la dichiaraizone che ho fatto all’Ansa, quando mi hanno chiamato, compresa la notzia che non vado e i rigraziamenti a Concita De Gregorio per avermi fatto quell’invito. Siccome non è nata iri, sapeva chi prendeva, con quale profilo, e con quale identità politica e professionale. Però, a ben vedere, un legame lo hanno stabilito i miei anonimi critici. Infatti, come ha raccontato Il Riformista, una mano anonima, nella sede trasteverina del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, aveva affisso un messaggio con scritto sopra: “Ecco gli amici di Telese”, e affianco una foto di Gabriele Adinolfi ed il logo di Casapound. Meraviglioso. Il giorno dopo il Corriere della sera titolava: l’ira di Colombo per l’autore di CUori neri a l’Unità” (una cosa di questo tipo).
Chi legge questo blog – loeggendo la prima e la seconda notizia – si farà quattro risate: se no altro perchè conosce tutte le dispute che Adinolfi ha avuto con me (e viceversa), e se non altro è a conoscenza del fatto che io, a quanto pare, gli stia cordialmente sulle palle. Poi, però, qualcuno arriva da Marte, non sa nulla e non capisce nulla, e pretende di metterti all’indice perchè sei “un frequentatore” di Casapound. Un amico dei fascsit, o un fascista visto che , lo dice l’equazione, ho scritto un libro suoi fascisti. Come sapete tutti a Casapound ci sono stato un sola volta in vita mia, per buona parte della serata a litigare (non che lo volessi, ma fu un piccolo match, proprio con Adinolfi, peraltro), e forse non ci andrò più. Non condivido quasi nulla di quello che dice Adinolfi, ma continuo a difendere il suo e il loro diritto ad esistere da tutti gli attacchi pregiudiziali, a fare quello che a loro aggrada, e a non essere etichettati come degli appestati solo perchè qualcuno pretende di ritirargli il patentino di presentablità sociale (non si capisce in virtù di quale divino mandato). Accadde già dopo il terribile delitto di Focene, quando quacluno approfittò della morte di Renato Biagetti per creare quella lista di proscrizione (che poi è finita nella bancheca dell’Unità) e avanzare la proposta di chiusura di Casapound. Come se dopo la bomba a Cuore nero di Milano, qualcun altro avesse imposto la chiusura del Leoncavallo. Bene, io non sono frequentatore nè di Casapound nè del Leoncavallo, ma difendo il loro diritto ad essitere, almeno finchè non violano le regole. Ecco che cosa andrei a scrivere in qalunque giornale rosso, nero o bianco in cui mi ritrovassi a scrivere. Visto che per ora quello che mi va di scrivere lo posso scrivere al mio giornale, per ora me ne resto egregiamente dove sono. E ci resto, orgoglioso di aver scritto non un libricino che ti dimentichi di aver pubblicato, ma un libro che vende quasi cinquantamila copie (settemila dell’edizione tascabile, quest’anno), e per cui la gente mi continua a scrivere anche in questa estate. Se mi mettono all’indice per Cuori neri, per il fatto che non ho una banda politico giornlaistica di riferimento, insomma, io la consdiero una piccola medaglia. Vuol dire che qualcosa di buono l’ho fatto.
Luca

27 commenti

  1. Giuseppe Liguori

    TELESE E L’UNITA’

    Caro Luca, e’ un vero peccato che tu non abbia accettato di lavorare per l’Unita’. Certamente tu non sei ne’ un fascista, ne’ un filo-fascista, ma, da sempre, sei un uomo di sinistra.
    Concita sara’ un ottimo direttore dell’Unita’ e tu saresti stato un ottimo cronista nel giornale fondato da Antonio Gramsci.

  2. Giuseppe Liguori

    IL RISCHIO DI UN NUOVO FASCISMO

    Il segretario dell’Anm: «Magistratura non indipendente, cittadini non garantiti»
    Cascini: «Rischio fascismo
    se la politica entra nel Csm»
    «Nella Sinistra c’è chi in malafede non vuole giudici indipendenti». Quagliariello (Pdl): «Non sa di cosa parla»

    ROMA – «Se introduciamo la politica nel Csm (e mi pare evidente che si miri a questo) rischiamo di richiamarci ad un modello autoritario, ovverosia quello fascista, dove la magistratura non è indipendente dal potere politico e quindi non tutti i cittadini sono garantiti allo stesso modo»: lo dichiara Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), intervistato da Klaus Davi su Youtube. «Non dobbiamo dimenticare che il sistema giudiziario attuale che garantisce l’autonomia della magistratura è stato scritto sulla base delle vicende storiche del ’48», prosegue il segretario dell’Anm. «I tribunali speciali del regime fascista condannavano i nemici politici del governo. I giudici in passato obbedivano al governo fascista. La scelta di una magistratura indipendente che si governa da sola è stata fatta sulla base di quella esperienza. Aggiungo che la corte Europea potrebbe avere delle riserve, nel senso che alcuni principi della costituzione come quello di uguaglianza non sono modificabili. E’ quindi possibile – prosegue Cascini – che si apra una discussione molto seria a livello di corte di giustizia europea, proprio sulla compatibilità di questo modello con i principi della convenzione europea».

    A SINISTRA C’È CHI NON VUOLE GIUDICI INDIPENDENTI – Giuseppe Cascini punta il dito anche sulla sinistra italiana: «Nella Sinistra, c’è chi crede che il tema della riforma della giustizia sia troppo complicato e difficile da risolvere e chi, invece, in malafede non vuole giudici indipendenti. È molto preoccupante la mancanza di posizione da parte dell’opposizione sul progetto di riforma della giustizia auspicato dal Governo». Lamenta il segretario dell’Anm: «Noi non conosciamo l’opinione della Sinistra, quanto meno delle forze maggiori, del Partito democratico, su quanto sta annunciando il Governo. Anzi, sul tema della riforma della giustizia, abbiamo letto un documento scritto da alcuni esponenti politici, la maggioranza dei quali dell’opposizione, che ha delle tesi veramente poco condivisibili. Una parte di questi promotori -osserva- sono Radicali: una componente politica che ha avuto sempre un rapporto problematico con la magistratura, ma ci sono anche esponenti del Pd». Cascini interviene anche sul tema «intercettazioni»: «Un politico non deve temerle. Nessuno può essere contento dell’idea di essere intercettato, ma dobbiamo affidarci alla giustizia e alla magistratura: il nostro è l’unico Paese del mondo in cui le sole intercettazioni possibili sono quelle consentite dalle autorità giudiziarie; in tutti gli altri Paesi, le fanno la politica, la polizia e i servizi segreti. C’è bisogno -continua- di una seconda legge sulle intercettazioni che regolamenti la loro pubblicazione, permettendo la divulgazione degli atti processuali e non dei fatti personali dell’indagato». L’intervista si chiude con un’annotazione finale: «Ci sono magistrati omosessuali e se facessero «coming out» sarebbe una cosa buona e consentirebbe di evitare o limitare casi, se ce ne sono, di discriminazione».

    QUAGLIARIELLO (PDL) – «Le dichiarazioni del segretario dell’Anm sono il frutto di un cocktail diabolico fatto di ignoranza, presunzione corporativa e disprezzo della sovranita popolare». Lo afferma Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori PdL. «Cascini – aggiunge Quagliariello – non sa di cosa parla, e pur di non riconoscere la legittimità che deriva direttamente dalla sovranità del popolo invoca qualsiasi fonte di legittimità alternativa: la giurisprudenza, l’Europa, la storia usata a sproposito. Gli vorremmo ricordare che i magistrati in Italia non sono, come in altri sistemi, espressione della sovranità popolare; dunque le loro sentenze devono restare rigorosamente nell’ambito dei principi fissati dall’ordinamento. Ancora più grave, inoltre, è il fatto che vengano espressi giudizi su una riforma, quella del Csm, di cui il Parlamento deve ancora iniziare a discutere e della quale Cascini, come chiunque altro, non conosce ancora i termini». «La Costituzione – conclude Quagliariello – non è certo immodificabile, ma è un cosa seria: non può essere utilizzata come un tempo si usava il manganello, per sostenere a priori posizioni deboli sotto il profilo corporativo, ridicole sotto il profilo storico, inaccettabili sotto il profilo istituzionle e di una corretta dialettica tra i poteri»

    21 agosto 2008

  3. Giuseppe Liguori

    NUOVO EDITORIALE DI FAMIGLIA CRISTIANA

    LA LIBERTÀ DI STAMPA E LA GIUSTA PRECISAZIONE DI PADRE LOMBARDI

    AUTONOMIA DI GIUDIZIO
    MA SEMPRE FEDELI ALLA CHIESA

    Il giornale cattolico, o cristiano, non è in senso stretto un giornale politico: non è a servizio di alcun partito, né si confonde con una precisa forza politica. Il giornale cattolico è palestra di opinioni, come tutti gli altri giornali, con riferimento alla luce ideale in cui si muove. Nessun argomento dev’essere tabù. Le opinioni possono essere dibattute, confrontate, chiarite, disapprovate, ma sempre in termini di rispetto. Tutti devono poter intervenire, tutti devono esporsi sul giornale. La politica del coprirsi e del coprire non serve a nulla

    Mercoledì della scorsa settimana i quotidiani riportano un giudizio favorevole del settimanale statunitense Newsweek sui primi cento giorni del Governo Berlusconi, definiti nel titolo “un miracolo”. Il giorno dopo i quotidiani anticipano un altro giudizio di un foglio straniero, il francese Esprit, che sta per uscire, sintetizzato, in un editoriale di Famiglia Cristiana (quello che appare in questo numero a pagina 23), in cui quel Governo è invece criticato.

    Normale avvicendamento di opinioni politiche, espresse su riviste autorevoli? La logica vorrebbe che così fosse, ma il giudizio di Esprit è riportato da un settimanale cattolico, il più diffuso in Italia. Dunque, scandalo generale, titoli di fuoco, insulti dalla maggioranza: cattocomunisti, criptocomunisti, manganellatori fascisti. Interviene la Sala stampa vaticana, per bocca del direttore padre Lombardi, il quale precisa: «Famiglia Cristiana è una testata importante della realtà cattolica, ma non ha titolo per esprimere la linea né della Santa Sede né della Cei. Le sue posizioni sono responsabilità esclusiva della direzione».

    “Sconfessione”, addirittura “scomunica”, commenta qualcuno. Beh, no. Pura e semplice verità. Famiglia Cristiana non solo non ha mai preteso di “esprimere la linea” politica della Santa Sede e della Cei, che hanno entrambe i loro giornali, ma ha sempre cercato di conformarsi al detto “in certis oboedientia, in dubiis libertas”, confermato dal Vaticano II: totale, appassionata fedeltà alla dottrina della Chiesa, libertà di giudizio sulle vicende politiche e sociali fin dove non toccano i principi e i valori “irrinunciabili” che discendono dal Vangelo. Bastino due esempi tra tanti: i progetti avanzati dal Governo di Romano Prodi circa la legittimazione delle coppie di fatto e la proposta dell’attuale ministro Maroni di rilevare le impronte digitali ai bambini rom (da cui è nato il giudizio di Esprit in una complessa analisi dello stato della democrazia non soltanto in Italia, ma in tutta l’Europa). In entrambi i casi abbiamo ritenuto di non poter tacere la nostra opposizione e accettare l’invito a restare “super partes”, che di tanto in tanto ci viene rivolto anche da un certo numero di nostri lettori. Nel giornalismo, “super partes” è poco più di un modo di dire, applicabile molto raramente, se non ci si vuole rassegnare al silenzio. A meno che, cent’anni dopo, non si voglia ripristinare per i cattolici il “non expedit”. La democrazia è esattamente il contrario: esprimere in piena libertà i propri giudizi critici, in base a principi e valori – nel nostro caso quelli cristiani – condivisi da molti cittadini.

    La stampa cattolica ha in più qualcosa che la differenzia da quasi tutto il resto dei media: non ha alle spalle nessun conflitto di interesse, pubblico o privato, non ha legami, né economici né politici, con nessun gruppo egemonico nella società civile. È più vicina ai poveri che ai ricchi. I settimanali diocesani sono delle Curie, Famiglia Cristiana e le riviste missionarie, e altre, sono edite in genere da Congregazioni religiose. A tutti è riconosciuta l’autonomia di giudizio, e la responsabilità su ciò che pubblicano appartiene alle rispettive direzioni.

    Adesso che i cattolici, politicamente divisi, contano sempre meno a destra e a sinistra, è una linea non facile da mantenere. Ha scritto Franco Garelli su La Stampa: «In un tempo di grandi silenzi e allineamenti c’è una forza in queste prese di posizione da non sottovalutare, che ha i suoi costi sociali ma che è foriera di una presenza sociale più partecipe e riflessiva». Ben detto.

  4. Andrea Insabato

    Viva la libertà, abbasso i farisei, quindi stima per Telese!
    Capirai… aver parlato a Casapound…quando accuseranno Telese di aver lavorato di sabato?

    Roma caput barbarorum, stupro del Pincio e della turista olandese.

  5. Le quattro risate le ho fatte e c’è anche una certezza: all’Unità ci sono ancora i trinariciuti e lottano ancora per la medaglia d’oro in ipocrisia.

  6. Ma l’Unita’, vecchia direzione o nuova: chi la legge??
    Direi che anche questo, conta, nel sciegliere per chi lavorare o meno.

    Aldo

    p.s.
    ..io di quello che dice Adinolfi condivido quasi tutto,ma continuo a leggere anche il tuo blog…

  7. Caro luca, ho visto i materiali su lucatelese.it, che dire di più …l’unità ha perso un’occasione! Quello che stupisce è che utilizzino certi sistemi e annunci in bacheca per opporsi alla tua nomina. Da dei democratici divenuti anticomunisti mi sarei aspettato qualche argomento in più…

  8. Grazie Aldo, continua così. E grazie anche al… giovane Tolkien. Sia chiaro, non mi do’ nessuna aria di martire, non mi passa proprio per la testa. Anziu: ero molto tentato di andare solo per scrivere di Cuori neri e affini anche su quelle pagine. Fra l’altro non so se avete notato, questa estate, l’Unità si era schierata in prima linea su Bologna, eccetera, e Furio Colombo scriveva un impbarazzato editoriale, perchè lui, che adesso è tutto gradbabildino, è sempre stato a favore dell’innocenza di Mambro e Fioravanti. L’ho sempre detto e scritto, io, le cose in Itlaia sono complesse. E non ci sono semplificazioni che gtengano.
    Luca

  9. Andrea Insabato

    HIC SUNT LENONES
    Una volta i romani indicavano nelle mappe nella lontana Africa luoghi inaccessibili e pericolosi segnandoli con la dicitura “hic sunt leones”, ora il Comune a pochi chilometri dal Campidoglio è obbligato a mettere cartelli d’avvertimento per gli ignari dei pericoli nella stessa Città eterna.
    “Hic sunt lenones” che per i profani di latino significa “qui ci sono i magnaccia”, da metterli su ogni strada consolare…che consolazione…
    Ma il Comune sta reagendo, istituirà dei corsi antistupro, ogni turista sbarcato a Fiumicino o venuto in bicicletta verrà munito di braccialino antistupro, li vende Rutelli a prezzi stracciati, poi si addestreranno i coraggiosi turisti all’uso della roncola e della zappa qualora si avventurino per le malsane e non più bonificate campagne romane.

  10. Giuseppe Liguori

    TRE NAZIFASCISTI VOLEVANO UCCIDERE OBAMA

    DENVER – Il piano era di ucciderlo giovedì, mentre parlava alla Convention democratica di Denver. Ma la polizia della capitale del Colorado li teneva d’occhio da tempo e così con una spettacolare operazione ha fermato alcuni supremazisti bianchi e messo le mani sull’arsenale che avevano preparato per colpire Barack Obama. Secondo l’emittente locale CBS34, uno dei fermati ha confessato. «Avremmo sparato a Obama da grande distanza, circa 750 metri, usando un fucile».

    AVREBBERO SPARATO GIOVEDÌ -L’attentato era stato preparato per giovedì, il giorno in cui Obama salirà sul palcoscenico per accettare l’investitura a candidato democratico alla Casa Bianca. Il primo arresto era stato compiuto domenica, dopo che la polizia aveva trovato due fucili con proiettili ad alta potenza in un furgone a noleggio. Quando la polizia ha chiesto a Tharin Gartrell se fosse arrivato a Denver per uccidere Obama, ha candidamente risposto di sì. Fonti della CBS4 hanno riferito che l’arsenale trovato nelle auto, pronto per l’attentato, era composto da due fucili di precisione (uno dei quali rubato in Kansas), giubbotti antiproiettile, walkie talkie, parrucche, materiale da travestimento, documenti intestati ad altre persone e 44 grammi di metanfetamine. «Quelle armi ci hanno messo in allerta» ha riferito il detective Marcus Dudley. La polizia, che aveva arrestato Gartrell dopo averlo fermato perchè guidava a zig-zag, ha poi fatto irruzione nell’Hotel Cherry Creek. Quando ha tentato di catturare Shawn Robert Adolph, 33 anni, membro della stessa organizzazione estremistica, l’uomo ha tentato la fuga saltando da una finestra al sesto piano. Si è fratturato una caviglia ed è finito in manette. Addosso aveva medaglie e anelli con simboli nazisti. Anche un terzo uomo è stato arrestato, Nathan Johnson, con l’accusa di fare parte del gruppo neonazista. Johnson e la compagna sono stati fermati anche con l’accusa di detenzione di droga.
    Secondo il procuratore Troy Eid non c’è stato pericolo concreto per il senatore dell’Illinois, ma il Servizio Segreto, responsabile per la sicurezza del presidente e dei candidati alla Casa Bianca, ha preso in carico l’indagine insieme all’Fbi e alla task force congiunta antiterrorismo.

    LA POLIZIA CARICA DIMOSTRANTI – La Convention di Denver ha dovuto registrare anche un episodio circoscritto ma che in termini d’immagine rischia di lasciare un segno: un paio di centinaia di manifestanti giunti in città in coincidenza del congresso democratico sono stati ricacciati indietro dalla polizia anche a colpi di lacrimogeni e molti di loro alla fine sono stati anche portati in questura. Si tratterebbe di un gruppo misto, soprattutto persone che si identificano come antifasciste, anticapitaliste, pacifiste. I dimostranti si erano confrontati con le forze dell’ordine vicino al parco Civic Center, verso le sette di sera; al Pepsi Center la convention era iniziata da poco e in Italia era piena notte. Quando hanno cercato di mettersi in marcia sono stati bloccati dalla polizia in tenuta antisommossa che a più riprese ha tirato lacrimogeni lasciando stupefatti alcuni partecipanti.
    Secondo il Denver Post, la folla dei curiosi e dei giornalisti si è schiarata coi manifestanti. «Qui la polizia, lì le bombe. Gli Usa se ne vadano» scandivano alcuni fra i passanti. E altri: «C’è libertà di parola, lasciateli stare». E’ arrivato anche il pacifista Ron Kovic, il veterano del Vietnam che ha ispirato il film “Nato il 4 luglio”, sulla sua sedia a rotelle, per cercare di calmare gli animi. “Non dovete lasciarvi intimidire. Ma qui enfatizziamo la pace e la nonviolenza. Non vogliamo problemi a Denver stanotte” ha gridato vicino al cordone di polizia. A fine serata, quando in Italia erano le sei del mattino, la polizia ha cominciato a caricare almeno un centinaio di persone sui pullman, in stato di arresto, dopo averli identificati a tavoli provvisori messi in mezzo alla strada.

    26 agosto 2008

  11. Caro Luca, la controrivoluzione stalinista in atto all’Unità ha colpito anche te, povero trozkista, ribelle bakuniniano. Cambiano facce e assetti, ma rimangono sempre muffiti e concentrati sul loro ombelico veteromaoista… E’ impossibile crescere eticamente in una nazione tragicamente in conflitto interideologico-totalitarista costante, ci si può accontentare di capirsi a grandi linee. Ti dico che è meglio così, avresti dovuto metterti in conflitto immediato col soviet supremo…nel 2008 è antipatico, anacronistico e controproducente. Lascia all’Unità le sue 10.000 copie vendute e continua a parlare con noi di massimi sistemi. La pochezza neuronale alla fine diventa una colpa, quasi un peccato, e la “nuova Unità” sembra già partire con un peccato originale: il totalitarismo dirigista.
    Niente di chiaro sul fronte bottegaio, là dove comandano le furiose colombe da sempre assoggettate agli impavidi agnelli.
    Tutela la tua intelligenza e la tua indipendenza, anche se spesso in Italia sembrano essere fardelli inutili. Un saluto dal monte di Odino.

    Lorenz

  12. Signor Liguori, quindi?

  13. LIGUORI E’ IL MAGO GABRIEL!!!!!!

  14. Intelligenza e indipendenza non sono MAI fardelli inutili, Lorenz, scomodi magari, ma inutili mai. L’intelligenza é forse un dono di Dio forse una caratteristica che qualcuno ti riconosce e qualcuno no,(da chiedersi poi che cosa sia) per l’indipendenza ci vogliono le palle e, non me ne vogliano le femministe, ma delle mie vado fiero.

  15. c’è da dire però che persone intelligenti ed indipendenti in Italia non ce ne sono mai troppe….e le poche presenti non fanno quasi mai una gran carriera o non hanno quasi mai l’appoggio delle grandi masse, tantomeno dei poteri forti, di destra come di sinistra.

  16. Andrea Insabato

    I bambini fuori dal carcere…sono anni che se ne parla…basterebbe prendere una grande villa e sorvegliarla, quanto ci vuole?
    Chiacchiere fritte e rifritte, una classe politica alla guida del Titanic.

  17. Andrea Insabato

    Al Meeting il divo Giulio, quello nuovo, si prende un’ovazione oceanica quando invoca “Dio Patria famiglia”. Dal Corsera.

  18. Giuseppe Liguori

    NIGRIZIA: Berlusconi amico del dittatore della Tunisia

    ImpuStato alla sbarra
    Gianni Ballarini

    Un tunisino – da oltre 10 anni in Italia, con un lavoro regolare, tre figli e un quarto in arrivo – nel 2004 è “sequestrato” dalla polizia di Treviso e spedito in patria, dove viene accusato di terrorismo, perché è un fervente islamico e ha manifestato contro il regime. In realtà, è vittima di opportunismi politici e di un regalo di Berlusconi a Ben Ali. Dopo 4 anni, il ministero dell’interno italiano è chiamato a rispondere in tribunale degli abusi e delle ingiustizie con cui ha schiacciato le vite della famiglia Slimane (nella foto)
    Il 24 settembre lo stato italiano sarà alla sbarra. A portarlo a giudizio sono questi quattro bambini che giocano spensierati a tirare calci a un pallone nel giardino di casa, in via Erega 27, a Castelcucco, un paesino trevigiano alle pendici del monte Grappa. Mohamed è il più grande. Ha nove anni ed è un gran tifoso dell’Inter. Prende il pallone e ordina a suo fratello Abderahmen, che ha un anno in meno, di piazzarsi in porta, ricavata dalle mura di cinta. La sorellina Sarra, sei anni, li guarda divertita. È la più vivace e viene spesso ripresa da mamma Rachida. L’ultimo della nidiata è Abdellah: nato il 18 agosto di 4 anni fa, all’ospedale di Montebelluna.
    Dicono che assomigli tutto al padre, Ali Ben Salah Slimane, conosciuto come “Ali l’esorcista” dalla comunità maghrebina della zona. Ma è impossibile fare confronti. Perché Ali è stato “sequestrato” e rispedito in Tunisia due mesi prima della nascita di Abdellah. Un’operazione di polizia con il retrogusto amaro delle extraordinary rendition, quelle azioni condotte nei confronti di “elementi ostili”, sospettati di terrorismo. Ma Ali Slimane sembra più vittima dello spregiudicato gioco degli opportunismi politici, di palesi strappi alla legislazione italiana, di astuzie lessicali e di un regime, quello tunisino, abituato a calpestare i diritti dei suoi cittadini.
    Da quattro anni ormai, in via Erega si vivono giorni deserti di certezze e pieni di quello che manca. La vicenda della famiglia Slimane può essere presa a simbolo degli abusi e delle ingiustizie con cui si schiacciano le vite dei più deboli. È una storia che stravolge anche la grammatica quotidiana dell’informazione, obesa di paure e bulimica di racconti su presunti terroristi. Per questo, non ci siamo accontentati di sfogliarla come si sfoglia un giornale, limitandoci a guardare le immagini, leggere le didascalie, per poi distrarci frettolosamente. Abbiamo voluto immergerci nella storia di Ali l’esorcista, il tornitore specializzato, che modellava cilindri e speranze, colpevole di aver gridato a squarciagola le sue idee e di professare in modo fervente la sua fede islamica.

    L’incubo

    Tutto ha inizio l’11 giugno 2004. Alle 4 del mattino di quel venerdì, uomini della Digos trevigiana bussano alla porta di casa Slimane. Hanno l’ordine di portare Ali in questura. Lui scende dal letto, accompagnato dalla moglie Rachida, incinta di sette mesi. Apre la porta. Conosce gli agenti. Da queste parti gli immigrati hanno un rapporto quasi quotidiano con le divise. Chiede loro spiegazioni. La risposta sono modi spicci. La polizia politica lo ammanetta e lo carica in auto sotto gli occhi terrorizzati di Mohamed, Abderahmen e Sarra. Ali è portato in Questura. Gli viene notificato il provvedimento di rigetto della richiesta dello status di rifugiato, nonché il relativo decreto prefettizio di espulsione. Alle 17 Ali è già a Malpensa, consegnato a funzionari tunisini, con un aereo pronto a decollare per la sponda sud del Mediterraneo.
    Per una ventina di giorni di lui non si sa nulla. Si scoprirà, poi, che è stato rinchiuso in strutture del ministero dell’interno tunisino. È accusato di appartenere al movimento politico-religioso Ennhada, considerato fuorilegge in Tunisia. Dopo due anni, il 12 luglio 2006, Ali è condannato dal tribunale militare a 6 anni di reclusione e a 5 di controllo amministrativo, per attività di opposizione al regime.
    A Castelcucco la notizia dell’arresto gira subito frenetica. Slimane è molto conosciuto tra queste colline. Sbarca in Italia nel 1991. Qualche anno trascorso al sud, Napoli in particolare, a raccogliere pomodori. Poi, nel ’96, l’arrivo nel bengodi nordestino. Il 13 maggio di quello stesso anno ottiene il permesso di soggiorno per “motivi di lavoro subordinato”. Ripara lampadari in una ditta del posto. Per lui significa uscire dalle caverne della clandestinità per assaporare il sole della legalità. Nel ’98 passa alla Swenko di Mussolente (Vicenza), fabbrica metalmeccanica di stampo familiare. «Un gran bravo ragazzo e un ottimo operaio. Gli lasciavo le chiavi dell’officina», racconta il suo datore di lavoro, Aldo Bragagnolo.
    Ali è una figura carismatica tra gli immigrati che affollano le piccole fabbriche, ammassate sotto il Monte Grappa. Non fosse altro per quella sua capacità di scacciare gli spiritelli, noti come jinn nella tradizione coranica. I musulmani della zona, che non guariscono con la medicina tradizionale, si rivolgono a lui. «Caccia il maligno», racconta uno di loro. Per questo lo chiamano “Ali l’esorcista”.
    Slimane è un islamico intransigente. Studia il Corano. Frequenta le moschee di Bassano e di Cornuda. Non sopporta il regime di Ben Ali. In più di un’occasione, l’ha gridato ai quattro venti. Come nella manifestazione del 1994, davanti all’ambasciata tunisina. Fotografato e filmato, finisce nella lista nera del regime. La cui memoria non è cagionevole. Nel 2004 Ben Ali consegna a Berlusconi un elenco con un centinaio di nomi che avrebbe il piacere di riavere in patria per infilarli nelle carceri tunisine.

    Sequestro illegale

    Ma questo è sufficiente per strappare illegalmente Slimane alla sua famiglia? «Con questa vicenda mi sembra d’essere piombato in un’Italia dove le regole sono quelle di uno stato di polizia, in cui non sono rispettate le più elementari garanzie previste dalla legge», il commento dell’avvocato Domenica Tambasco, che si è preso cura del caso e ha citato in giudizio il ministero dell’interno italiano per conto della famiglia Slimane. La prima udienza, rinviata, si è svolta lo scorso giugno. La prossima sarà il 24 settembre.
    «Con Slimane sono stati violati articoli delle norme sull’immigrazione, sbertucciate sentenze della Corte costituzionale, non rinnovati permessi a un immigrato che viveva da più di 10 anni in Italia e aveva un lavoro regolare, una famiglia numerosa e nessun precedente». Abnorme, in particolare, la violazione dell’articolo 19, secondo comma, del Testo unico sull’immigrazione, che vieta espressamente l’espulsione del coniuge di una donna in stato di gravidanza. «Il ministero dell’interno, nel suo documento di difesa», ricorda Tambasco, «instilla il dubbio che il provvedimento sia stato assunto per “esigenze imperative” di ordine pubblico». L’appartenenza a Ennhada, quindi, avrebbe giustificato l’espulsione immediata di Slimane.
    Un falso clamoroso. Non solo la giustizia e la magistratura italiana non hanno prodotto alcuno straccio di prova o di documento in cui si accenna alla pericolosità di Ali. Non solo tutti gli esponenti di quel movimento hanno avuto in Italia il riconoscimento dello status di rifugiati politici. Ma Slimane è stato espulso con un normale decreto del prefetto di Treviso, in seguito al rigetto della sua richiesta del riconoscimento di rifugiato.
    Quindi, o Slimane era un pericoloso terrorista e, di conseguenza, doveva essere espulso con un decreto del ministero dell’interno. Oppure Ali era un normale immigrato e doveva essere cacciato (come è avvenuto) con il decreto del prefetto territorialmente competente. Ma, in questo caso, dovevano essere rispettate le garanzie previste dall’ordinamento. Tra cui, appunto, il secondo comma dell’articolo 19 del Testo unico, che impone il divieto di espulsione del coniuge di una donna incinta». Una vicenda in cui si è violata anche la norma che impone quattro giorni, al massimo, tra la firma del decreto di espulsione e la convalida del tribunale. «Ali è stato cacciato l’11 giugno e la convalida è arrivata il 16», precisa Tambasco.

    Senza diritti

    Ad aggravare il giudizio sul comportamento del governo italiano c’è il fatto che le nostre autorità hanno consegnato un cittadino a un paese dove la repressione degli oppositori è moneta corrente. La stessa Corte europea di Strasburgo ha accolto i ricorsi del 2006 di 8 tunisini, che dovevano essere espulsi dall’Italia, sostenendo che in Tunisia non sarebbero garantiti i diritti umani per persone sospettate di terrorismo. Dopo la sentenza di Strasburgo, durante il governo Prodi, i provvedimenti ministeriali nei confronti di tunisini sono stati sospesi (ma purtroppo ripresi con il Berlusconi IV).

    Amnesty International da anni produce documenti che fotografano la violazione dei diritti e delle libertà sotto il regime di Ben Ali. L’ultimo rapporto, che s’intitola “In nome della sicurezza, in Tunisia le violazioni sono la regola”, è del 23 giugno scorso. In esso si denuncia come, «nel tentativo di prevenire la formazione di quelle che chiamano “cellule terroriste” all’interno del paese, le autorità si rendono responsabili di arresti e detenzioni di natura arbitraria in violazione della stessa legge tunisina, di sparizioni forzate di detenuti, torture e altri maltrattamenti e, infine, di condanne emesse al termine di procedimenti iniqui». Nonostante questo scenario di violazioni dei diritti umani, commenta Amnesty, «governi arabi ed europei e Washington hanno espulso verso la Tunisia persone che ritenevano coinvolte in attività terroristiche».

    Vite stritolate

    È la storia di Ali Slimane, l’esorcista. Di sua moglie e dei quattro figli, le cui vite sono state stritolate da interessi altri. Dal naufragio dei loro sogni, avvenuto all’alba di quell’11 giugno di 4 anni fa, sono sopravvissuti grazie alla solidarietà della comunità musulmana della zona. C’è una fabbrica di Castelcucco, i cui operai islamici si tassano ogni mese di 10 euro per consegnare la somma a Rachida e ai suoi piccoli. L’amministrazione comunale e la parrocchia locali hanno cercato di non gravare troppo sulle casse della famiglia Slimane per consentire a Mohamed, Abderahmen, Sarra e Abdellah di frequentare scuola e asilo. Hanno messo a loro disposizione anche Elisabetta e Cristina, un’assistente sociale e un’educatrice, che si sono prese a cuore il presente dei quattro bambini.
    C’è, poi, la figura di don Giuliano Vallotto che abita a pochi chilometri da Castelcucco, dove gestisce una comunità di immigrati. È l’incaricato della diocesi per i rapporti tra cristiani e musulmani. Frequenta casa Slimane da una decina d’anni. Conosce bene la situazione tunisina, essendo stato missionario per 5 anni in quelle terre. È lui che è andato a battere i pugni in questura e in prefettura, per capire i perché senza risposta della vicenda. Oggi si spende affinché lo sfratto esecutivo alla famiglia Slimane del 16 settembre non diventi l’ennesimo capitolo di un destino beffardo e ingeneroso.
    Ma c’è, soprattutto, la figura di questa donna di 40 anni, Rachida, la cui spalle fragili stanno sostenendo l’intero Monte Grappa. Quando le hanno sequestrato il marito, non conosceva l’italiano. «L’ho imparato ascoltando i miei figli parlare tra loro». Velo in testa, è andata a bussare a tutte le imprese e alle agenzie di collocamento della zona. Trovando porte sbattute. Da queste parti i brividi di paura sono diventati schede leghiste sonanti. È complicato per Rachida galleggiare. Ma non si rassegna a prendere solo atto di ciò che le accade intorno. Senza alzare mai la voce, ha chiesto allo stato italiano di riparare a una grave prepotenza. E l’ha chiamato a giudizio. La speranza, stavolta, è che i trafficanti di cavilli non trovino il pertugio per assecondare gli umori del più forte e che la giustizia mostri i denti anche a chi le passeggia sopra con arrogante non curanza.

  19. Signor Liguori, quindi??

  20. Caro Luca,
    Mi Permetto di DarTi del Tu,come se ci conoscessimo,perchè è da tempo che Seguo il Tuo sito e perchè,dopo aver comprato e letto il Libro,Ti Sono e Ti Sarò Eternamente Grato per Aver rappresentato,Finalmente e Degnamente,la Memoria di alcune Persone che,in questo Strano Paese che è l’Italia,Venivano Considerate Vittime di “Serie B”…cosa che,a mio avviso,alla faccia della Presunta “Pacificazione”,Continua ancora ad avvenire…
    Ecco,Volevo soltanto significarti la Mia Stima,soprattutto dopo questa Tua “Vicenda” giornalistica da cui si vede che ancora è molto lunga la Strada…
    Vedi,quando Ero Bambino,ed anche da Ragazzo,il Mio “Sogno” (dopo quello di fare il Calciatore) era quello di Fare il Giornalista…la Vita Mi Ha Portato poi a tutt’altre cose e,per certi versi,visto il parere che ho su molti giornalisti italiani e non solo,neanche Mi Dispiace…Ma Tu incarni il modello di Giornalista che,forse,se ne avessi avuto le possibilità e,soprattutto,le capacità,Avrei Voluto Essere…
    Romanamente e Cordilamente,
    Giuliano Regnoli.

  21. ugo tassinari

    Oggi L’Unità ha pubblicato una buona intervista al sottoscritto sul tema delle “violenze neofasciste”. Il giornalista ha tagliato alcune cose che per me erano essenziali ma pur nella sua strategia delle evidenze, che è diversa dalla mia, ha riportato con intelligenza e precisione il mio pensiero. poi arriva un cazzone di deskista che sottotitola: “Lo storico: c’è un clima di destra che favorisce i raid”, laddove invece la mia tesi è che i raid sono in drastica diminuzione e che i gruppi dirigenti della destra radicale stanno facendo uno sforzo di ricondurre sul terreno della politica una ciurma ribollente e che i residui (e marginali) episodi di violenza sono proprio una forma di resistenza a questo processo politico. Cioè esattamente il contrario di quanto sostenuto nel titolo…

  22. Ugo è possibile vedere l’intervista integralmente.
    ciao e grazie

  23. ops….ovviamente il mio post di prima era una domanda

  24. ugo tassinari

    Purtroppo l’unita cartacea non mette on line gli articoli, posso fare un pdf, chi lo vuole può chiedermelo all’email ugotassinari@immaginapoli.it

  25. matteo amici

    Scusate, leggo con attenzione il forum da tempo e lo trovo molto interessante.
    Vorrei però chiedere ai gestori: non esiste l’esclusione dal forum per chi attua sistematicamente lo spamming?
    Mi riferisco ai chilometrici, inutili e fuori argomento copia incolla del sig. Liguori.
    Non voglio invocare la censura ma mi sembra una totale mancanza di rispetto per gli utenti del forum complessivamente considerati.
    Grazie.

  26. Beh, anche Marco Magini si merita dei complimentoni per la menzione speciale. In bocca al lupo (emoticon esclamativo).

  27. Hy James and the guys, guess what? I met Steve Redgrave earlier…listening to his stories has made me want to take up rowing…….It was oar inspiring.

Commenti