Quella notte a Primavalle erano in sei

Cuori contro è il nuovo libro di Luca Telese (Sperling & Kupfer, 492 pagine, 19,50 euro), in cui la storia della destra eversiva italiana e quella della sinistra rivoluzionaria si arricchiscono di nuovi retroscena che gettano una luce sugli angoli bui di tanti misteri italiani. Dopo il successo di Cuori neri, Telese ha scritto un altro libro-verità che si configura anche come un saggio per riflettere sul senso della memoria e della riconciliazione in un Paese sempre in bilico fra generosità e amnesie. Per gentile concessione dell’editore ne pubblichiamo ampi stralci.

LaVerità

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di LUCA TELESE

E poi c’ è questa ragazza torinese dagli occhi azzurri. In Sudamerica una con quegli occhi non passi inosservata. Si chiama Solange Manfredi: arriva in Nicaragua nel marzo 2003, come il personaggio fuggito da un film, una di quelle ragazze fatali che a volte affiorano nella saga di Mission impossible, al fianco di Tom Cruise. […] Il padre della ragazza è morto in circostanze misteriose, e lei non ne parla volentieri: Solange ha poco più di 30 anni, è un avvocato, ha buone disponibilità economiche, un temperamento solare, ma è anche avvolta in una tenue un’ aura di mistero. Nella piccola comunità italiana che popola la capitale del sandinismo si diffonde la voce che stia cercando un buon affare su cui investire. Nessuno può immaginare che, dove avevano fallito le polizie di mezza Europa, potesse riuscire una giovane donna che dice di non avere nessuna esperienza e che apparentemente manifesta interesse solo per la ristorazione.
Sarà lei che dopo 40 anni di silenzio riuscirà a far parlare Manlio Grillo, l’ ex terrorista condannato per il rogo di Primavalle, l’ uomo che ha sempre negato tutto. Lo fa parlare, registra tutto, consegna il memoriale di Grillo ad Anna, la madre dei ragazzi morti nel rogo.
Appena 11 giorni dopo l’ arrivo di Solange a Managua, durante una cena al ristorante Magica Roma all’ epoca di proprietà dell’ ex brigatista Valerio Casimirri, Solange incontra per la prima volta l’ uomo a cui cambierà la vita. Manlio Grillo. È anche lui italiano. È latitante dal 1973: è fuggito passando per la Svizzera, valicando le montagne in giacca cravatta, aiutato da una misteriosa attrice romana che nessuno ha mai identificato, e dall’ ex leader di Potere operaio Oreste Scalzone. Sulla sua testa pesa l’ accusa per uno dei delitti più infami degli Anni di piombo, l’ unico – stragi a parte – in cui sia morto un bambino.
L’ ex terrorista ha trovato riparo in Svezia in modo rocambolesco: per anni ha fatto su e giù, clandestinamente, con Parigi e con l’ Italia, poi è sbarcato in Sudamerica.
[…] Un giorno lui domanda alla ragazza a bruciapelo: «Mi conosci? Sai chi sono?». Lei gli risponde così: «So che facevi parte delle Brigate rosse e che, in seguito a una condanna, sei scappato in Nicaragua». Poi aggiunge: «Dei famosi Anni di piombo non so nulla». Solange ha sfiorato un abisso, e lo sa. Fa una pausa: «Non conosco quel periodo e quindi, come sempre faccio quando non conosco un argomento, non giudico». Dice oggi lei: «Mi sembrò che a Grillo la mia risposta fosse piaciuta». Poi aggiunge che non gli aveva mai chiesto nulla su quegli anni perché avevo notato, in diverse occasioni, che la sua reazione di fronte a chi gli faceva domande era di chiusura, fastidio o, nel migliore dei casi, di palese sarcasmo. Lui, quasi compiaciuto aveva sorriso. Solo in quel momento, tra di loro, era davvero scattata quell’ irripetibile alchimia che si chiama fiducia.
[…] Ai magistrati che la interrogheranno Solange dirà: «Davvero non nutrivo curiosità morbose nei suoi confronti: aveva più di 60 anni di vita da raccontare, se desiderava poteva dirmi ciò che voleva quando voleva, ma la cosa importante era che non mi prendesse in giro, cosa che non ero disposta a tollerare. La mia spiegazione lo colpisce molto e, dopo avermi manifestato la sua stima, mi dice: “Comunque hai ragione tu: Feltrinelli era stato ucciso, non si è trattato di un incidente”».
[…] Questo è quello che Solange Manfredi, nel gennaio del 2016 mi ha raccontato di quella serata così importante nel loro rapporto: «Grillo ritorna a trovarmi, agitatissimo, a La casa del pomodoro: è la sera del 10 o dell’ 11 febbraio 2005. È preoccupato per gli effetti delle dichiarazioni rilasciate da Achille Lollo in una clamorosa intervista al Corriere della Sera. Non tanto per sé stesso, ma – lo scoprirò fra breve – per qualcuno in Italia a cui tiene in modo particolare.
Qualcuno che teme possa essere minacciato dal polverone e dalla chiamata di correo di Lollo, che ha fatto i nomi di altre persone che oltre a lui avrebbero partecipato all’ attentato». L’ intervista – un vero scoop – è firmata dal corrispondente dal Brasile Rocco Cotroneo, ed era l’ ultimo evento saliente con cui avevo chiuso il capitolo di Cuori neri su Primavalle. Viene pubblicata il 10 febbraio, ma forse Grillo, complice il fuso, non la legge lo stesso giorno in cui va in pagina. Oppure è rimasto per alcune ore in pena, e solo dopo ha scelto di confidarsi. Lollo rivela a Cotroneo: «Non siamo stati in tre a organizzare l’ attentato. Eravamo in sei. Oltre a me, Marino Clavo e Manlio Grillo c’ erano altri tre compagni che hanno vissuto liberi e tranquilli 32 anni. I loro nomi?
Paolo Gaeta, Diana Perrone e Elisabetta Lecco». Grillo chiede a Solange di scrivere con lui la sua autobiografia. Nel 2016 Solange mi rivela che c’ è un punto preciso in cui lei smette di essere una amica di Grillo e diventa la donna che tradendo la sua fiducia lo denuncerà ai pm: «Avevamo registrato la prima sessione di racconto.
Lui era venuto con una montagna di fogli e foglietti: documenti, appunti su quello che doveva dire. Quando io avevo mosso la mano per spegnere il registratore, lui avevo sorriso: “Queste sono balle, come quelle che hanno raccontato tutti gli altri”. Allora io chiedo: “Ma allora è tutto vero quello che è stato scritto su Primavalle?”. Grillo mi aveva risposto di sì.
Allora – credici o no – io ho pensato alla signora Mattei, che aveva perso i suoi figli in quel modo orribile, e ho pensato che la mia lealtà non doveva essere esercitata nei confronti di Manlio, ma verso quella madre, a cui non era stato risparmiato nulla. Mi identificavo nella signora Annamaria, e immaginavo che qualsiasi cosa potessi scoprire poteva alleviare il suo dolore. Da allora, malgrado ci vedessimo tutti i giorni, apparentemente per un lavoro comune, Grillo ha lavorato ad un libro, ed io ad un altro. Avevo uno di quei primi registratori digitali in cui non c’ erano nastri, ma tracce. Ogni volta che lui finiva l’ intervista ufficiale, sfioravo il tasto fingendo di spegnere e invece continuavo a registrare».
[…] La vera notizia è che anche per Grillo – come per Lollo – erano stati in sei ad aver progettato tutto. Sei colpevoli – lui, Clavo e Lollo – ma solo tre imputati. Perché gli altri tre, cambiano improvvisamente ruolo: «Loro (i magistrati, ndr) li hanno usati come testimoni.
Poi c’ è Maria Assunta Baldani, la compagna di cui diventa complice, ma che da quella notte scompare dalla sua vita: «Tina sapeva. Lei prestò la sua macchina. Era la donna mia, ti pare che non sapeva? Siamo andati lì quella notte, lì. Al ritorno. Al ritorno siamo tornati lì. Achille s’ era bruciato. Lei l’ ha curato e lui se n’ è tornato a casa». Il racconto di Grillo è dettagliato e drammatico. Solo che quando tanti anni dopo la verità viene a galla, sarà proprio lui a smentire la confessione di Achille Lollo. Quando riceve dall’ Italia quella telefonata dell’ avvocato Mancini che gli chiede di mentire Sul suo ex compagno, decide di fare una intervista alla Repubblica per raccontare proprio le tre balle che gli è stato chiesto di ripetere e lo rivela a Solange: «Secondo l’ avvocato solo questo, io devo dire solo questo. Devo dire – ripete quasi ossessivamente Grillo – che Potere operaio non c’ entra assolutamente un cazzo. Lo devo dire oggi, stasera: domani esce sul giornale. Ci sono Tommaso (Mancini, avvocato difensore di Elisabetta Lecco) ed Enzo, mio fratello. Mi hanno detto “Fai sta cosa così. Lunedì, martedì…”. Perché oggi deve uscire al Tg3 che li indagano per strage, a tutti e tre. Allora, loro devono sapere assolutamente che io sto cercando di proteggerli, tutto qua. Cioè, gli avvocati adesso di cosa… di Diana, Elisabetta e compagnia bella quando vedono questo se ne serviranno, no? Dice: “Vedi che Manlio, invece, …grazie, non c’ è stato per niente”… Questo è. Solo questo».
Ma solo questo comporta screditare un altro compagno, un amico che – come lui ormai giudiziariamente impune – ha scelto di dire la verità. L’ avvocato che ha chiamato Manlio da Roma gli ha scritto una piccola sceneggiatura: «Io devo fare una dichiarazione in cui dico che Achille è un matto.
Che per livore borgataro, dopo 30 anni, cerca di vendicarsi di questa gente. Punto e basta.
Non esiste nessun giuramento. Loro mi hanno detto due cose: “Non esiste nessun giuramento e non esistono ‘sti tre”». È quello che gli hanno chiesto, e che lui ripete. È solo l’ ultima delle bugie avvelenate di questa storia. Ma grazie a Solange, queste parole, il suo manoscritto, finiscono in mani di mamma Mattei, dei pm. In questo libro.

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