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4 Novembre 2011
“Io e Porro, che strana coppia!”

«Io forse vagheggio un mondo che non esiste, ma nemmeno lui è messo tanto bene. Pensare che legge dei blog liberali! Già la parola blog mi fa puro orrore, liberali poi…» Che Luca Telese e Nicola Porro fossero due universi di idee destinati a non incontrarsi mai lo si poteva intuire già dalla prima puntata di In Onda, il programma di approfondimento giornalistico che segue l’edizione serale del Tg di La7 e che i due conducono fianco a fianco. Ospiti in studio per l'esordio Don Gallo («il sacerdote degli ultimi, uno dei miei miti») e l’economista ultraliberale della scuola di Chicago, Antonio Martino («la guida spirituale di Nicola, in pratica») che si sono guardati in cagnesco mentre i due presentatori trattenevano un sorriso.
Li hanno ribattezzati il gatto e la volpe: Telese, nostalgico dei tempi in cui frequentava la scuola di Frattocchie, dove il vecchio Pci formava i dirigenti del partito, è dal 2009 firma del Fatto Quotidiano di Antonio Padellaro. Porro è vicedirettore del Giornale, esperto di economia: berlusconiano, ma con simpatie radicali (epico il suo scontro ad Annozero con Marco Travaglio: “prenditi un aspirina”, “ma tu guarda, questi liberali del cavolo”, “prenditene due di aspirine, valà”). In comune hanno l’umorismo, il gusto della provocazione, l’affabulazione e una convivenza che risale a una decina di anni fa: «Ci eravamo incontrati per caso, io cercavo casa, ero appena stato catapultato a Milano» ricorda Telese – mi disse: vieni a casa mia. Così, senza conoscermi affatto. E io, proprio come nelle peggiori favole, sono rimasto da lui un mese».
Lo avevano predetto all’alba della prima puntata, il 17 settembre: «forse litigheremo spesso, ma sarà un duello leale, un bel litigare». E dopo un avvio in sordina, il talk show grazie al successo di ascolti è stato protratto di un’ora rispetto alla durata consueta. Un programma garbato, equilibrato, che “ha l’opposizione dentro” e proprio per questo incuriosisce. Malgrado il fiume di critiche che sono piovute sulle teste dei due, per quello strano vizio tutto italiano per cui ci si lamenta del conduttore unico delle coscienze, ci si scaglia contro i talk show troppo schierati, si invoca la presenza di due campane da poter ascoltare. E poi, quando le campane ci sono, bipartisan piovono gli insulti. “Troppo fumoso”, “troppo esplicito”, “troppa tensione”, “troppo poca tensione”, “venduto, togliti dalle scatole quel berlusconiano”, “ma come fai a sopportare quel comunista”.
Non solo telespettatori, ma anche illustrissimi colleghi: Michele Santoro, ai microfoni del programma di Radio24, La zanzara, ha spiegato di non capire il motivo per cui «Ogni volta che c'è uno di sinistra che parla ce ne vuole uno nel taschino che dica il contrario. Anche se Telese non mi sembra proprio di sinistra». La risposta non si è fatta attendere: «A quanto pare Michele Santoro pensa che per dirsi di sinistra si debba aver militato nell'Unione marxisti leninisti di Aldo Brandirali e avere "patteggiato" un seggio nell'eurocasta dal parlamento europeo, per poi dimettersi, e gridare in televisione battendosi il petto, "la sinistra sono io". Evidentemente non rispondo a questi requisiti. Preferisco la mia sinistra non talebana alla sua arcitaliana furbizia».
Ieri sera Santoro ha presentato il suo nuovo programma multi-piattaforma, Servizio Pubblico, che ha registrato un boom di ascolti. E Telese ne approfitta per togliersi qualche altro sassolino dalla scarpa: «È un evento importante, certamente. La cornice ideologica era talmente forte che persino Walter Lavitola sembrava far parte del cast. Mi ha lasciato perplesso la mancanza di attualità: non si è parlato di crisi, né di governo, né economica. Una puntata sulla casta? Si poteva fare un anno fa. In generale, l’ho trovato piuttosto auto-celebrativo: un coro di eroi battaglieri, che in televisione funziona molto bene. Se Fabio Fazio e Saviano ne danno una visione meravigliosamente buonista e didascalica, Santoro sceglie invece la chiave militante, di appartenenza». E il concetto di militanza ha sbocchi scivolosi: «Se ti ritieni migliore devi andare a caccia dell’impuro, come un Savonarola all’incontrario. A me non spiace l’essere impuro ai loro occhi: cerco di fare giornalismo con i piccoli strumenti che hanno sempre funzionato, raccontare delle storie, senza una lente ideologica di mezzo. La sinistra è parte del mio retroterra culturale, ma non voglio vendere delle tesi: non devo convincere nessuno e non devo combattere contro nessuno».
Perché davanti alla doppia conduzione tanti gridano all’orrore? «È il modello curva sud, opposto alla curva nord. È difficile individuare chi ha introdotto per primo questo metodo dialettico: qualcuno potrebbe dire il Presidente del Consiglio, con i suoi proclami contro i magistrati e contro i comunisti. Ma anche l’anti-berlusconismo senza se e senza ma ha prosperato abbondantemente sulla categoria del nemico: per questo, se venisse meno Berlusconi, sarebbero davvero nei guai».
Come se ne esce? «Un programma è interessante se è frutto di una composizione tra più punti di vista. Ad esempio, se io porto “in dote” le storie degli operai, il servizio da Mirafiori, Nicola incalza Fausto Bertinotti sulla libertà di licenziamento e ne esce un confronto serrato. Molto spesso ho imparato delle cose grazie a lui, e immagino valga anche il contrario. Nicola non ha posizioni “banalmente” di destra, come io non mi ritengo schiacciato su idee di sinistra. Il che ha risvolti divertenti. Il giorno degli scontri a Roma, ho assunto un cipiglio da vecchio Pci: i devastatori vanno allontanati a calci. Lui mi ha guardato allargando le braccia: «Mi hai rubato la battuta. E adesso, cosa dico?»

Tempi (4/11/11)