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2 Dicembre 2011
Equilibrio precario

E’ un libro che racconta difficili storie di ordinaria quotidianità usando il registro dei sentimenti forti: la rabbia come energia costruttiva; la passione per un lavoro tutto da inventare; il coraggio di non arrendersi e di non barattare mai la propria dignità. Nel libro Gioventù, amore e rabbia del giornalista Luca Telese, edito da Sperling & Kupfer, si susseguono fotogrammi di un’Italia che vive il suo più grave conflitto sociale; una crisi in cui alla generazione di ultraquarantenni è stata scippata la certezza del futuro lavorativo e ai più giovani viene negato persino l’accesso al lavoro, con una triste alternativa: sopravvivere con la paghetta dei nonni. Ci si addentra così in un mondo di precari, costretti a subire, ma anche a muoversi contro le scelte della politica e della grande industria per poter scrivere un’altra Storia. L’angolo visuale dell’attento cronista fa scoprire una sequenza di racconti che il libro racchiude come in una cornice, che ne esalta l’intensità. Questo viaggio parte con una querelle onomastica, quella fra i due esploratori: Cristoforo Colombo, che si imbatte casualmente nell’America e non si preoccupa di raccontarla, e Amerigo Vespucci, definito come l’esempio da seguire per chi vuole fare il giornalista, che dà il nome al continente, proprio perché comprende di essere approdato in una terra nuova e ne comincia il racconto. E il libro di Telese dedica la sua prima parte al mondo dell’informazione e alla sua evoluzione, dalle rotative a Internet. Anche in questo caso cambia lo scenario dei media, mentre il capitale umano subisce sempre di più il processo della precarizzazione e della mortificazione dei talenti. Ricordi della biografia dell’autore qui si intrecciano con quelli di colleghi precari coraggiosi, come Maria Grazia Cutuli “morta in Afghanistan per affermare il proprio talento”, fino alla recente avventura, esempio di sfida al mondo dell’editoria, del giornale il Fatto Quotidiano. Fra le storie a più alto contenuto di emotività si colloca quella degli operai della Vinyls di Porto Torres e della loro impresa dell’occupazione dell’Asinara; che da quel momento, parafrasando il titolo di un reality show, diventa l’isola dei cassintegrati. E poi un nome, su tutti e per tutti gli operai di Mirafiori, alla vigilia del referendum del gennaio 2011. Quel nome, Maria Epifania, cui Telese dedica un capitolo è davvero il simbolo dell’ indignazione e del coraggio che fanno dire ad un’operaia cassintegrata della Fiat: “Mettilo, il mio nome, nella tua intervista. Scrivilo. Perché dopo anni in cui abbiamo abbassato sempre gli occhi io oggi non voglio farlo più. Voglio entrare in fabbrica a testa alta…” . Sono questi esempi che fanno corto circuito e creano tensione in una narrazione, che non filtra la realtà. E continuano a sfilare,fra le pagine, i cortei del popolo viola e la violenza del popolo black, ma anche un lapsus che crea il gustoso abbinamento fra Berlusconi e lo scrittore russo Gògol, autore de Le anime morte.
Questi alcuni brani di storia, volti e soprattutto nomi che compongono un quadro desolante. Tuttavia se non se ne parlasse sarebbe anche peggio. Se non si fa emergere la rabbia sommersa non si può aprire alla speranza o meglio non si può creare quell’effetto domino fra chi, in trincea ogni giorno, non cede e non offre in ostaggio la propria libertà. E il merito di questo libro è proprio quello di credere fermamente che le parole possano essere pietre ( volendo citare Carlo Levi) e che debbano stimolare il coraggio del cambiamento.

Antonella Lippo