Battisti, sport e diplomazia

30 gen 2009

CESARE BATTISTI, INTERPELLATO DA UNA RIVISTA BRASILIANA SI DIPINGE COME UN PERSEGUITATO E SVELA: “LA MIA FUGA FAVORITA DAGLI 007 FRANCESI” – I MINISTRI DI AN (LA RUSSA E MELONI) PER IL BOICOTTAGGIO: “NIENTE PARTITA FRA LE DUE NAZIONALI”

 

Luca Telese – IL GIORNALE
Boicottare l’amichevole Italia-Brasile del 10 febbraio per dare un segnale al governo Lula. Trasferire sul terreno di gioco la protesta per il modo in cui il nostro paese è stato caricaturalmente rappresentato dai fan di Battisti a Brasilia. Ancora una volta – dopo il dibattito sulle olimpiadi cinesi – lo sport si contamina con le querelle politiche, e addirittura con la memoria rovente degli anni di piombo. Ancora una volta, a trasferire una contesa interlazionale sul terreno dei simboli è l’iniziativa di due ministri di An, Giorgia Meloni e Ignazio La Russa.
Biglietto buttato. Il ministro della Difesa (nonchè reggente di An) inserisce l’evento calcistico nel mirino – anche sul piano perosnale, e chiede di «annullare quell’appuntamento». Spiega: «Non mi pare il caso di fare nulla di amichevole con un Paese che lascia circolare sulla spiaggia di Rio un terrorista: io avevo già i biglietti ma non ci andrò». Gli fa eco la Meloni: «Mi pare sensato annullare l’amichevole, per evitare che l’incontro si trasformi in un momento di tensione con il popolo brasiliano che non c’entra nulla con un governo e un ministro della Giustizia incompetenti e indulgenti».
Listati a lutto.E poi, con un ’altra proposta di forte rottura sul piano dell’immagine.  «C’è il bisogno di rappresentare agli occhi del governo brasiliano il sentimento di amarezza degli  italiani. Da questo punto di vista, l’iniziativa più giusta sarebbe  far indossare ai nostri calciatori il lutto al braccio in ricordo delle vittime di Battisti per solidarietà nei confronti dei loro familiari». Anche il vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino si unisce ai suoi due compagni di partito: «Dopo lo sgarbo diplomatico e l’atto giuridicamente incomprensibile del governo di Lula non è campata in aria la tesi di chi sostiene che la nazionale italiana dovrebbe rifiutare di giocare l’ amichevole con la squadra del Brasile».
«Boicottare la Francia». Nel cortocircuito della polemica è curioso notare come sulla linea del boicottaggio converga con trasversale ironia un deputato di primo piano del Pd come Ermete Realacci. Con una variante: «Ha sbagliato a negare l’estradizione a Battisti ed è giusto che l’Italia metta in atto tutte le azioni necessarie per far sì che questo accada. Ma cosa c’entra mettere in discussione Italia-Brasile? Se questo fosse il criterio – aggiunge – il nostro Paese, in tutti questi anni, avrebbe dovuto rinunciare a tutte le partite che si sono disputate con la nazionale francese».
Il pompiere azzurro». Chi invece getta acqua sul fuoco è il portierone della nazionale Gigi Buffon (ma non era quello di «Boia chi molla» sulla maglia?). Oggi l’azzurro stila un commento che pare dosato con il bilancino: « Non entro nel merito politico della vicenda Battisti, che pure seguo con attenzione – sottolinea Buffon – la vicenda va risolta dai politici, non da noi calciatori: ho letto quel che è successo in questi giorni. È una vicenda da non sottovalutare. Ci deve essere rispetto tra i due paesi, il Brasile dovrebbe ascoltare le ragioni dell’Italia, e viceversa- Ognuno ha le sue». Ma in serata anche il ministro degli Esteri Franco Frattini si mostra cauto: «Noi non ce l’abbiamo con il popolo brasiliano – spiega – abbiamo un problema con le autorità brasiliane che vogliamo risolvere. Ma non si devono penalizzare i tifosi e non si deve mortificare lo sport. Una cosa è fare quello che dobbiamo per riportare in Italia Battisti, altra è non fare la partita. Non c’entra niente».

 

***
L’INTERVISTA
 
«Tutto questo è incredibile. È enorme, è esagerato. Non sono una persona così importante. Sono uno delle migliaia di italiani militanti degli anni ’70. Sono uno delle centinaia di militanti che hanno chiesto rifugio al mondo intero. Perché tutto questo per me?». Comincia così l’intervista rilasciata da Cesare Battisti al periodico brasiliano «Istoe».
Teme che il Brasile torni indietro, a causa della forte reazione dell’Italia?
«No. La decisione del ministro Tarso Genro è fondata. Ha analizzato tutti i documenti. Non è stata una lettura superficiale. La persecuzione è dimostrata nei documenti. Quello del ministro, che mi ha pure concesso lo status di rifugiato politico in Brasile, è stato un gesto di coraggio e di umanità. La decisione è molto importante non solo per me, Cesare Battisti, ma per l’umanità. Stiamo dando alla nazione italiana la possibilità di rileggere la propria storia con serenità, umanamente».
Lei ha mai ucciso qualcuno?
«Non ho mai ucciso. Non sono mai stato un militante armato in nessuna organizzazione, neanche nei Proletari armati per il comunismo a cui ho aderito per due anni, fra il 1976 e il 1978. Ho lasciato i Pac nel maggio 1978, dopo la morte di Aldo Moro. In quel periodo migliaia di militanti abbandonarono il movimento di lotta armata. È stato un momento di dibattito molto importante in Italia».
Se tornasse indietro, rifarebbe ciò che ha fatto?
«Non cambierei le mie idee, cambierei i mezzi per raggiungere i risultati. La lotta armata fu un errore, ora non credo si possa fare una rivoluzione con le armi. Io non ho mai sparato a nessuno, ma ho usato le armi in azione per finanziare le organizzazioni».
In che rapporti è con Alberto Torregiani?
«Quello che sta facendo è triste. Lui sa che non ho niente a che vedere con la morte di suo padre e il suo ferimento. Gli ho scritto molte lettere. Con rispetto e sincerità, una corrispondenza di amicizia. Ma Alberto Torregiani soffre la pressione del governo italiano perché lui, dopo tanti anni di battaglie, ha ottenuto una pensione come vittima del terrorismo. Dal 2004, ha una pensione come vittima degli anni di piombo in Italia. Stanno facendo pressioni perché gli possono togliere la pensione».
Perché ha contattato Alberto Torregiani?
«La situazione di Alberto mi ha sempre colpito. Era un adolescente ai tempi dell’attentato, ed è rimasto paralizzato».
E Pietro Mutti? Come giustifica le sue accuse, dopo anni di silenzio?
«Mutti ha ripetuto, parola per parola, in senso letterale, quello che gli ha detto di dire il procuratore Armando Spataro nel 1981. E, come altri “pentiti”, aveva parlato sotto tortura. Ora, non posso affermare che è stato resuscitato per una macchinazione del governo italiano. Ma una volta riapparso non poteva che riconfermare quanto gli avevano ordinato di dire. A quel tempo la tortura era un sistema quotidiano in Italia. L’Italia deve riconoscere questo. Ma non può. Poiché l’Italia è Europa. L’Italia non può ammettere che durante gli anni Settanta ha vissuto una guerra civile».
Ma era una democrazia, non una dittatura.
«Una democrazia con la mafia al potere. Abbiamo avuto un primo ministro per decenni in carica e poi condannato come mafioso. Sto parlando di Giulio Andreotti. E c’erano i fascisti, che non hanno mai abbandonato le posizioni di dominio. E che oggi, purtroppo, sono tornati».
La settimana scorsa, una donna identificata come sua ex fidanzata, Maria Cecília Barbeta, ha detto ai media italiani che le aveva confessato l’omicidio di un agente penitenziario.
«Maria Cecilia Barbeta, che non è mai stata una mia fidanzata, è un collaboratore di giustizia. Era quello che veniva definito un “collaboratore secondario”, doveva confermare alcuni dettagli per sostenere l’accusa». (…)
Com’è nata la sua adesione all’ultrasinistra?
«Sono figlio e nipote di comunisti. Essere comunista a quel tempo non era così facile. A scuola, quando ero bambino, ho avuto molti problemi per questo, la Chiesa cattolica non era molto tollerante con i comunisti».
Perché ha aspettato 16 anni per dire che non ha ucciso nessuno?
«Difendermi dalle accuse avrebbe provocato una breccia nella dottrina Mitterrand, che imponeva la stessa difesa per tutti. (…) Obbedivo a questa norma di comportamento. In nessuna delle fasi del processo ho rivendicato la mia innocenza. Ma ho redatto una documentazione sugli anni di piombo in Italia ed è questa la causa della vendetta dei politici italiani».
Perché è fuggito in Brasile?
«L’idea della mia fuga in Sud America è stata di un membro dei servizi segreti francesi. Nello studio dei miei avvocati francesi (l’agente dei servizi, ndr) mi disse che l’Italia stava facendo pressioni a causa delle denunce contenute nei miei libri. Mi parlò del Brasile, dove mi disse che si trovavano molti rifugiati italiani. Una settimana dopo mi mandò un’altra persona che mi consegnò un passaporto italiano con la mia foto e i miei dati. Così sono partito. Sono andato in auto dalla Francia alla Spagna e da lì in Portogallo. Una volta a Lisbona ho raggiunto in nave l’isola di Madeira e poi le Canarie. Quindi, in aereo, sono volato prima a Capo Verde e infine a Fortaleza, nel Nordest del Brasile».
Come vive la crisi tra Italia e Brasile?
«Con grande tensione. Ogni volta che ci penso non credo che stia succedendo a me. E poi una cosa mi sorprende: perché i media non si domandano il perché di questa reazione esagerata dell’Italia, di questo isterismo? Perché il presidente del Consiglio e i ministri italiani stanno reagendo in questo modo personale? Per me la pressione è enorme, mi sta lacerando. Al momento ricevo assistenza psichiatrica e sto prendendo un antidepressivo».
Come finirà questa vicenda?
«Credo che verrà confermato il mio status di rifugiato politico. Se verrò scarcerato vorrei andare a vivere a Rio de Janeiro, un paradiso, una meraviglia».
Crede che Carla Bruni si sia battuta per lei?
«È una bugia. Non penso che avesse ragioni per intervenire in mio favore».

12 commenti

  1. Francesco Mancinelli

    Una sua lettera di ieri sera al gruppo di faccia libro “Libertà di parola”

    La lettera di Valerio Morucci sulla sua presenza a Casapound

    VINCITORI E VINTI
    “Senza pietà per i vinti non c’è l’Iliade”, dice Erri de Luca.

    ” …. La guerra civile è finita, ed è finita anche la Guerra Fredda. Forse è il caso di applicare, come passo minimo, non dico il principio basilare di difendere fino alla morte il diritto di parlare anche di chi ci è contrario, cosa che per noi italiani sarebbe troppo, ma soltanto il suo diritto di parlare e, magari, già che sovranamente glielo riconosciamo, di ascoltare. Forse potremmo scoprire che non tutto è come credevamo. Non tutto bloccato nelle immagini dei manifesti di sessant’anni fa. Forse potremmo scoprire che buona parte della reciproca esclusione è dovuto al perpetuarsi di quei vecchi modelli che nessuno è mai più andato a verificare.
    Forse si potrebbe scoprire che c’è disaccordo, ma non per questo bisogno di prendersi a bastonate. C’è altrettanto disaccordo, c’è sempre stato, nell’area della sinistra militante. Si è più volte arrivati a cazzotti e a sediate, a identificare negli avversari dei nemici giurati che andavano ridotti all’impotenza.
    O comunque, seppure fosse che devono esserci cazzotti, dare una spurgata alle valenze religiose dello scontro tra “Bene” e “Male”, e riportarlo sul terreno più concreto del conflitto sulla rappresentanza dell’antagonismo. Perché oggi, a differenza degli anni ’20, il referente sociale delle due radicalità è il medesimo. Il disagio, il degrado sociale, lo smarrimento nei tempi della globalizzazione del mercimonio capitalistico. Non a caso questa destra radicale, all’opposto della destra ‘atlantica’ e ‘padronale’ degli anni ’70, è antimperialista, No Global, no OGM. E, quindi, una realtà con cui fare i conti, senza rifugiarsi nella comodità dell’antifascismo. E – considerato poi che una destra ancora ‘atlantica’, forcaiola, teo e neo-con, nemica della trasformazione e dell’antagonismo esiste – fare un tentativo per verificare quanto e come sia possibile non schiacciare in quel campo chi in realtà gli va contro.
    Animato da questa prossimità con i vinti cui vuole negarsi la parola, andrò a presentare un mio libro in un palazzo che è stato occupato da militanti della destra radicale per ospitare famiglie senza casa e per averne una sede. Non sarà forse una passeggiata, perché ancora è forte l’animosità per i troppi giovani restati sul selciato negli anni ’70. E io nei primi anni di quel decennio di sangue sono stato, seppure non a tempo pieno, un cacciatore di fascisti. Sono però convinto che quell’animosità dipenda di più dal residuo mai sciolto dell’idea cristallizzata, ideologizzata, stereotipata che ci si era reciprocamente fatti del “nemico”. E questo residuo bisogna provare a sciogliere. Per porre tutti quei ragazzi morti dentro un’unica pietà, anche se nella particolarità delle memorie, o nella diversità delle commemorazioni. E finalmente seppellirli. Senza più lasciarli inumati a metà perché il redde rationem è ancora da risolvere. Superare le ragioni ideologico-religiose di quell’odio e riportare i motivi di scontro dentro la concretezza dell’umano contendere per l’affermazione di risposte diverse alle medesime domande.
    Vi ringrazio tutti di cuore per la vostra iscrizione a questo gruppo di ‘libertà’. Devo proseguire.

    Avevo espresso su questo forum verso Valerio Morucci parole pesanti , legandolo alla vicenda di Mario Zicchieri ed alle richieste di informazione e di verità non date alla mamma di Zicchieri.

    So per certo che alcuni chiarimenti sulla vicenda sono avvenuti proprio in previsione di questa iniziativa, e mi rimangio dalla prima all’ultima parola, facendo ammenda dei miei giudizi su questo stesso forum.

    Un muro di “incomprensione” e ” di odio” sta finalmente crollando e rende onore ad entrambe le sponde, ad entrambe i contendenti ( se non li vogliamo chiamare combattenti).

    I nostri figli conosceranno finalmente un’altra storia ….
    Nonostante Meloni e La Russa … Nonostante il vento …

  2. andrea insabato

    Ogni passo verso la fratellanza e l’amicizia fra gli uomini è un passo importante per l’umanità, altro che sbarco sulla luna!

    Oggi pomeriggio ho visto la celebrazione al Senato del sessantesimo anniversario della dichiarazione dei diritti dell’uomo, del 10 dicembre 1948, tante belle e giuste parole,ma quando si arriverà a considerare con la Ragione che ogni vita umana si spegne con l’aborto quando essa ha invece diritto di vivere?

    Stasera mi sento Padre Livio a Radio Maria, catechesi giovanile, troppo forte, naturalmente non verrò compreso ma nom importa, scusate se come al solito non sono in tema.

  3. chissà che succede…

  4. matteo amici

    Cosa vuole che succeda Luca?
    Probabilmente qualcuno parlerà, qualcuno ascolterà, qualcuno s’incazzerà, qualcuno rifletterà.
    Succederanno tutta una serie di eventi e circoleranno emozioni che normalmente circolano là dove le persone si confrontano, dove esiste uno straccio di libertà di espressione e di manifestazione del pensiero.
    Strano che si debbano dire queste cose ad un giornalista.
    Quanto alle iniziative calcio politiche dei ministri non so davvero che dire, facciano pure, io fossi parente di una vittima penso che la solidarietà delle istituzioni l’avrei gradita molto di più a suo tempo (quando ci voleva un po’ più di coraggio per manifestarla), l’avrei gradita assistendo a processi equi, rapidi e condotti sulla base di indagini condotte professionalmente.
    Con meno responsabili ma certi, condannati per fatti inoppugnabili.
    Ma la giustizia in quegli anni ha preferito percorrere altre strade: è stata fatta una scelta e non sarà una partita a calcio a rimettere a posto le cose.
    I colpevoli devono pagare per le loro scelte ma le istituzioni non possono restare impunite…questa sarebbe giustizia…

  5. C’entra niente con Battisti, ma lo dedico a Rao e Telese, sostenitori dello stragimo neofascista.

    Dal Secolo d’Italia di oggi

    AN E I RADICALI: VIA IL SEGRETO SUI PATTI OCCULTI CON LA LIBIA
    Iniziativa parlamentare dopo le rivelazioni di Francesco Pazienza sulla strage di Bologna

    di Roberto Milana

    Rimuovere il segreto di Stato sui rapporti che l’Italia aveva, all’epoca della strage di Bologna, con le fazioni più estreme del terrorismo mediorientale, così da dissolvere le zone d’ombra intorno all’accertamento della verità sull’eccidio del 2 agosto 1980. È quanto chiede una mozione, a prima firma dei deputati del Pdl Francesco Biava ed Enzo Raisi, presentata ieri alla Camera e sottoscritta da 38 parlamentari, tra cui anche alcuni esponenti radicali.
    «Con un’intervista apparsa sul quotidiano la Repubblica di venerdì 30 gennaio – si legge nella mozione – Francesco Pazienza, ex braccio destro del generale Giuseppe Santovito, dichiara che il depistaggio del treno Taranto-Milano del gennaio 1981, fu opera del Sismi per non far emergere la verità della bomba alla stazione di Bologna». Lo stesso Pazienza, prosegue la mozione, afferma che tale depistaggio fu necessario «per non coinvolgere la Libia, cosa che in quel momento storico avrebbe voluto dire tragedia per due delle maggiori aziende italiane, Fiat ed Eni». Pazienza, inoltre, rivela di aver avuto questa notizia «dall’allora prefetto di Bologna, Domenico Sica, già sostituto procuratore della Repubblica di Roma» e segnala «una interrogazione parlamentare, presentata da Giovanni Spadolini il 4 agosto del 1980 – due giorni dopo la strage di Bologna – in cui attribuiva la matrice dell’attentato ad origini straniere mediorientali». Secondo i firmatari della mozione, «quanto emerge dall’intervista dell’ex agente dei servizi coincide inequivocabilmente con i documenti e i fatti riprodotti nella relazione conclusiva della Commissione bicamerale Mitrokhin nel capitolo riguardante la strage del 2 agosto 1980». Pertanto, «le dichiarazioni di Pazienza sono gravissime e meritano un immediato e approfondito riscontro per far luce su uno dei crimini più efferati della storia repubblicana».
    Nei giorni scorsi, era stati Enzo Raisi a firmare l’articolo in prima pagina del Secolo d’Italia per fare il tifo per Milena Gabanelli, all’indomani dell’intervista di Pazienza. «Magari la direttrice di Report si occupasse della strage di Bologna – aveva scritto Raisi – con la stessa competenza e capacità di fare chiarezza dimostrata in tante altre occasioni». Il deputato di An aveva auspicato che la giornalista avesse dedicato una delle sue inchieste di Report per fare luce sulla strage che causò 85 morti e oltre duecento feriti e per la quale sono già stati condannati con sentenza definitiva all’ergastolo Valerio Fioravanti e Francesca Mambro e a trent’anni Luigi Ciavardini. Tuttavia, come emerso dai lavori della commissione Mitrokhin, le verità è un’altra. Raisi ha ricordato i lavori di quella Commissioni rappresentano «uno dei pochi atti parlamentari del nostro Paese che hanno fatto veramente luce sulla strategia che portò a quel drammatico attentato». Gli atti della commissione hanno infatti portato alla luce documenti che documentavano la presenza a Bologna, proprio il giorno della strage, del terrorista tedesco Thomas Kram, membro a pieno titolo del gruppo di Carlos, a sua volta legato ai palestinesi del Fplp, che in quel periodo portarono a termine svariati attentati in Europa. La commissione Mitrokhin, istituita nel corso del precedente governo Berlusconi, continua dunque a produrre a distanza di anni dalla sua conclusione, grazie all’enorme mole di documenti emersi che hanno permesso la rilettura di alcuni episodi oscuri della storia del nostro paese, dal rapimento e omicidio di Aldo Moro all’attentato a Giovanni Paolo II. A questo proposito, è emblematico che la presenza di Kram a Bologna il giorno della strage fosse stata tempestivamente segnalata dal capo della polizia Gianni De Gennaro alla procura di Bologna. Furono invece trascurate piste alternative, quali appunto quella araba che avrebbe fatto emergere la verità sul patto segretissimo, il tacito accordo verbale concordato tra il colonnello Giovannone, per conto di Aldo Moro, e i rappresentanti del Fplp dopo la strage di Fiumicino del 17 dicembre del 1973, che prevedeva il lasciapassare sul territorio italiano del transito di ordigni bellici e materiale esplosivo, purché l’Olp non attacchi l’Italia.
    Il patto, grazie al quale diversi palestinesi, dopo l’arresto per trasporto di armi ed esplosivi, usufruirono di rapide e misteriose scarcerazioni, sarebbe saltato però alla fine del 1979, dunque con sospetta coincidenza con la successiva strage di Bologna. Ci sarebbe anche una data chiave: e cioè dopo il ritrovamento e il relativo sequestro di missili Sam7 Strela a Ortona e l’arresto di Abu Saleh, responsabile del Fplp in Italia. I palestinesi richiesero immediatamente la restituzione degli ordigni di cui rivendicavano la proprietà e la liberazione del proprio rappresentante proprio in virtù del patto, convinti che anche dopo la morte di Moro l’accordo rimanesse in piedi. Ma l’opposizione dell’allora presidente del Consiglio, Francesco Cossiga e lo scontro con i servizi segreti militari, il conseguente processo e la condanna di Abu Saleh furono considerati dai palestinesi atti ostili per i quali minacciarono ritorsioni. Ritorsioni che, se fosse vera la pista araba, sarebbero arrivate il 2 agosto 1980.
    Proprio Cossiga formulò anche l’ipotesi di un incidente: due, tre valigie di esplosivo in mano ai palestinesi in transito sul territorio nazionale che accidentalmente sfuggono di mano e mandano per aria la stazione di Bologna. Un’altra ipotesi, secondo i firmatari della mozione presentata ieri a Montecitorio, sulla quale lavorare per fare chiarezza una volta per tutte.

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    Perché questo Soggetto ci sta prendendo da piú di trent´anni per il CULO tutti,compreso il governo Brasiliano!

  7. supra black[43] Je suis age9 de 19 ans te9traple9gique femelle et dune me8re dune piette fille de deux ans. Je ne suis pas en mesure de travailler e0 cause de mon handicap mais jai un ordinateur e0 commande vocale et je sais beaucoup de choses sur les ordinateurs et lIntern

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