l’anniversario

30 gen 2008

2008, CADE IL SEGRETO DI STATO SUL CASO MORO – PRESTO SARÀ POSSIBILE CONSULTARE TUTTI I DOSSIER DEGLI 007 ITALIANI SUL LEADER DC – IL COPACO LO CHIEDE MA CRITICA LA NUOVA LEGGE (“SCRITTA COI PIEDI”)…

                            
Claudia Morelli
per “Italia Oggi”

Tutto sul sequestro Moro. Entro l’anno si potranno consultare tutti i documenti e i dossier dei servizi segreti senza che la presidenza del consiglio possa più opporre alcun segreto di stato. E’ l’effetto combinato della legge di riforma dei serviti informativi e il segreto di stato, la 124 del 2007 e del decreto del presidente del consiglio dei ministri che Romano Prodi ha inviato in parlamento per il prescritto parere. Il dpcm porta il regolamento che disciplina i criteri per l’individuazione delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato e individua gli uffici competenti a svolgere, nei luoghi coperti da segreto, le funzioni di controllo ordinariamente svolte dalle aziende sanitarie locali e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Il Copaco, la commissione bicamerale sui servizi segreti, ha approvato il parere sullo schema di decreto chiedendo all’unanimità che il governo sia chiaro su un punto, lasciato sia dalla legge che dallo stesso regolamento un po’ evanescente. «Appare opportuno esplicitare», si legge nel parere, «che il diritto di accesso (ai documenti segretati, ndr) si riferisce anche a tutti i casi nei quali attualmente ricorre il segreto di stato, purché siano trascorsi i tempi previsti dalla sua apposizione o dalla conferma della sua apposizione da parte del presidente del consiglio in base alle norme che già disciplinavano i suoi poteri in questa materia». In altre parole, chiosa il relatore Massimo Brutti (Pd) «il termine di quindici anni più altri quindici oltre il quale il segreto non può esser mantenuto deve decorrere dall’apposizione del segreto e non certo dall’entrata in vigore della legge».

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Semplificando ancora: nel 2008 sarà possibile accedere alla documentazione dei servizi che risale al 1978, anno del sequestro Moro. «Per carità, questo effetto era implicito della nuova legge, ma il parlamento ha chiesto alla unanimità di renderlo esplicito, perché non ci siano dubbi». Un assist, insomma, a tutti coloro che chiedono che si faccia compiuta luce su quell’evento drammatico della vita repubblicana, sui quei 55 giorni che segnarono la storia politica del paese. Il parlamento ha avanzato un’altra richiesta all’insegna della maggiore trasparenza possibile: ha chiesto infatti di coordinare la legge sul segreto di stato con quella sulla trasparenza amministrativa per evitare che una volta caduto il segreto di stato per il passaggio del tempo, il presidente del consiglio possa nuovamente opporlo in autonomia.

Questo perché la legge 241 disciplina i casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, giustificati se l’accesso può comportare una lesione alla sicurezza e alla difesa nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e correttezza delle relazioni internazionali. La richiesta è così quella di chiarire che, una volta cessato il vincolo del segreto di stato, in nessun caso può esservi esclusione del diritto di accesso motivato con ragioni di segretezza.

Per il resto, il parere del Copaco presieduto dal forzista Claudio Scajola, non lesina critiche all’iniziativa della presidenza del consiglio responsabile di aver scritto, come si dice, «con i piedi», il testo del regolamento. «Pur apprezzando la solerzia con cui lo schema normativo è stato sottoposto all’esame del Comitato, non si può non rilevare la presenza del testo di alcuni evidenti errori materiali, di palesi difetti di coordinamento e di carenze normative, che si sarebbero potute evitare con una maggiore ponderazione dei suoi contenuti». Certo, non un buon giudizio per palazzo Chigi.

31 commenti

  1. CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    E ora arriva l’esploratore ma per esplorare che cosa?

    Moltissimi parlamentari lo hanno detto, anzi ora ripetuto anche al Capo dello Stato in tutte le salse: o elezioni o elezioni, perché non c’è proprio più tempo per studiare alternative che, alla prova dei fatti, si rivelerebbe solo come inutili escamotage per procrastinare una scelta che ora devono fare ormai soltanto gli elettori.

    Nessuno vuole con questo prevaricare, in alcun modo, quelle che restano le prerogative di un Capo dello Stato che è giusto che eserciti come meglio crede i poteri che la Costituzione gli conferisce. Dovrebbe essere chiaro, però, che il quadro politico, da qualsiasi parte lo si rigiri, è oggi quello che è e, come nella matematica di Averroè, i numeri non possono più essere oggetto di diverse opinioni. Così il mandato esplorativo o non soltanto esplorativo che il Capo dello Stato intenderebbe conferire al Presidente del Senato o ad altri per un nuovo tour di verifiche ci pare, allo stato delle cose, un nonsenso, uno spreco di tempo più che un’opportunità.
    Le opportunità, difatti, per cambiare qualcosa, nel sistema elettorale, sono state già ampiamente, maldestramente e quindi inutilmente verificate da parte della sinistra, al punto che oggi uno si chiede che cosa ci sia ancora da esplorare e da verificare che non sia stato già esplorato, verificato e certificato. Il Presidente della Repubblica ritiene di avere la coscienza più tranquilla apparecchiando un altro, ennesimo giro di tavolo? Nessuno ha ovviamente il diritto di precludergli questa facoltà. Come è anche legittima l’opinione da lui espressa in queste ore che i partiti che oggi chiedono immediate elezioni non farebbero maggioranza in Parlamento. Opinione più che opinabile ma tanto è. Però quanto tempo si perde – e non solo da oggi – in questa Repubblica a mettere a fuoco le cose per quel che veramente sono! E già si immagina questo esploratore costretto ad infilarsi in questo lungo tunnel – 22 partiti in campo – di incontri e di verifiche a tu per tu.

    Per poi tirare quali somme che non siano state già tirate con un tratto di penna, come appunto avrebbe fatto Averroè?

    CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    Via A. Gramsci n. 155 00048 Nettuno (RM)

    ROBERTO MAGRELLI
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    LUCA DI NAPOLI
    VALERIO MARMO
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    STEFANO DRAGONA
    FRANCESCO RANIERO
    GIANCARLO FREZZA
    MAURIZIO MIRENGHI
    LUCIANO ESPOSITO

  2. Giuliano Castellino

    CRISI DI GOVERNO, ROMAGNOLI: ALLE ELEZIONI IL 6 E 7 APRILE CON BERLUSCONI

    “E’ impensabile che il Capo dello Stato, nel giro delle consultazioni, non voglia dare udienza anche a noi del Movimento Sociale Fiamma Tricolore”. Questa la riflessione di Luca Romagnoli, segretario della Fiamma Tricolore. “Eppure rappresentiamo una comunità molto numerosa – ha spiegato Romagnoli – con un parlamentare europeo in carica e che solo per una manciata di voti, alle scorse politiche, non ha mandato in Parlamento un gruppo nutrito di deputati”. “Rappresentiamo un popolo importante – ha poi aggiunto – molto più importante di tante altre forze politiche che siedono, oggi, alla Camera o al Senato”. “Il presidente Giorgio Napolitano dovrebbe darci udienza: A lui diremmo di sciogliere …

    Giuliano castellino

  3. Simona Bossi

    Non c’e’ nessuna sorpresa. Tutti noi ci aspettavamo il mandato a Marini. Credo che pero’ Marini con l’esperienza che ha e il ruolo che svolge rimettera’ il mandato tra 4-5 giorni consapevole di non avere una vera maggioranza il problema non e’ rappresentato solo dai numeri Forse Marini avrebbe anche i numeri, seppur limitati. Il problema e’ avere una maggioranza vera che possa fare le riforme e Marini non ce l’ha.

  4. Gianteo Bordero

    E’ davvero curioso vedere in questi giorni i corifei della democrazia tutti intenti a definire le elezioni anticipate una «sciagura» e chi le chiede un «irresponsabile». Eppure appartiene alla normale dinamica democratica il ricorso alle urne nel momento in cui non esiste più la concreta possibilità di dare vita ad una maggioranza parlamentare che sostenga un governo degno di tal nome. Che c’è di strano, dunque, nel ridare la parola al popolo sovrano? Domanda retorica, se non fossimo in Italia e se non vi fosse, nel nostro Paese, una sinistra sempre pronta a riempirsi la bocca di bei proclami «democratici», ad impartire lezioni di «rispetto della Costituzione», a stracciarsi le vesti in nome degli «equilibri istituzionali» – salvo poi gettare alle ortiche i sacri principii nel momento in cui il loro rispetto risulta scomodo, sconveniente o controproducente.

    Quanta ipocrisia vi sia nella richiesta dei partiti della sinistra di spostare il più possibile in avanti il ritorno alle urne è testimoniato dal fatto che tale richiesta non è accompagnata da una seria presa d’atto del proprio fallimento, della propria profonda crisi politica, dei propri reiterati errori. Come se niente fosse, si continua a rappresentare il fu governo Prodi come il migliore dei mondi possibili, si continua a dipingerne l’azione come il supremo rimedio agli italici mali, si continua a parlarne, insomma, in termini tronfi e trionfalistici. Ma se le cose stessero così, se davvero l’esecutivo prodiano fosse stato quello che si tenta di rappresentare verbalmente, perché tanta paura delle elezioni? Perché il timore di sentire l’opinione dei cittadini? Perché il rifiuto di lasciarli esprimere a breve?

    La verità è che, come sempre, la sinistra italiana (lo osservava anche Luca Ricolfi su La Stampa di domenica) non riesce a fare fino in fondo i conti con se stessa, non riesce a liberarsi da quella patina di saccente superiorità intellettuale e morale con cui guarda la realtà italiana, non riesce a comprendere, tirandone le conseguenze, le ragioni delle sue sconfitte. Nel caso attuale, non riesce ad ammettere quanto improvvido sia stato imporre ad un Paese spaccato in due un governo Prodi pensato solo per cancellare in toto l’operato dell’esecutivo di centrodestra e supportato da una maggioranza tenuta insieme unicamente dall’antiberlusconismo di maniera; quanto avventato fare man bassa di tutte le cariche istituzionali senza tenere conto del risultato delle urne; quanto arrogante rifiutare l’offerta di un governo di larghe intese avanzata dopo le elezioni dal leader della Casa delle Libertà. Sono questi errori (che hanno portato, assieme alla devastante opera di governo di Romano Prodi, alla crisi attuale) che i partiti dell’Unione continuano a non vedere, ad ignorare, a mascherare con pervicacia dietro la volontà di non andare a nuove elezioni, tacciando di «intelligenza col nemico» quei pochi che, nel centrosinistra, hanno il coraggio e l’onestà intellettuale di mostrare che il «re è nudo», che «gl’è tutto da rifare», che la riproposizione di una esperienza come quella dei passati due anni finirebbe col peggiorare una situazione già sull’orlo del collasso.

    Egoisticamente, ci sarebbe da fregarsi le mani di fronte ad una sinistra così debole, ostinatamente cieca e malridotta al punto da presentare l’espressione della volontà popolare come una iattura, se non fosse che in ballo c’è la tenuta complessiva del nostro sistema istituzionale, il quale, per bene funzionare, ha bisogno di due schieramenti forti e coesi al proprio interno, capaci di proporre al Paese programmi di governo chiari e mirati, consapevoli della necessità di una legittimazione reciproca che consenta di affrontare un dialogo costruttivo sui temi di rilevanza costituzionale ed istituzionale.

    Ma la via maestra per raggiungere questo obiettivo, nelle condizioni attuali, non può essere la formazione di un governo che nasca dalle ceneri di una legislatura nata male e finita peggio, con partiti incapaci di produrre maggioranze altre da quella implosa al Senato lo scorso giovedì: ciò, invece che semplificare la situazione, la renderebbe ancor più caotica e incomprensibile agli occhi dei cittadini; sarebbe una pecetta incapace di nascondere la consunzione del quadro politico emerso dalle elezioni dell’aprile 2006. L’unica strada veramente percorribile – anche per la sinistra, checché ne dicano i suoi rappresentanti – è quella di un voto popolare che definisca una maggioranza chiara e consenta la formazione di un governo che governi per (il Paese) e non contro (gli sconfitti), aperto al contributo dell’opposizione sulle grandi questioni di riforma di sistema, oggi non più procrastinabili. Solo allora, nel caso la nuova maggioranza si rivelasse incapace di rispondere al mandato assegnatole dagli elettori, si potrebbe pensare a una responsabilità di governo comune, oggi resa impossibile non da Berlusconi, ma da una sinistra troppo frammentata e anodina per essere politicamente affidabile.

  5. Luca Lorenzi

    O si va al voto o ci rifilano 500 mila clandestini regolarizzati
    Sono queste le alternative rimaste al nostro paese , infatti il Ministro per le Parti Sociali Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista ha ieri scritto all’ex premier Prodi , pregandolo di un ultimo intervento straordinario . Se la cosa andasse a buon fine sarebbe l’ultimo regalo di questo governo che di danni all’ Italia ne ha fatti fin troppi e che per non volersi smentire vorrebbe come ultimo regalarci 500 mila nuovi immigrati regolarizzati .
    Un ultima maxi sanatoria prima della prematura dipartita di una sinistra quanto mai indifferente ai problemi del paese .
    Ad oggi questo paese avrebbe bisogno di riforme radicali dall’emergenza abitativa a quella sociale, per non parlare degli aumenti che in questi anni sono ricaduti nelle tasche delle famiglie italiane , riguardanti i servizi un tempo pubblici e funzionanti e ad oggi sempre più privatizzati e scadenti.
    La realtà è che il potere d’acquisto dei salari dopo l’entrata in vigore dell’ Euro si è dimezzato , e questo governo non ha fatto nulla per arginare questa lenta deriva .
    Noi ci auguriamo di tornare subito al voto e che non possa esserci il tempo tecnico e legale per questa sanatoria di 500 mila clandestini che diventerebbero cittadini regolari e che andrebbero ulteriormente a pesare sulle casse del sistema sociale del nostro paese.

  6. ROBERTO MAGRELLI

    L’invadenza di Montezemolo

    Ma che c’entra Montezemolo con la crisi di Governo? Non manca giorno che il suo Verbo venga offerto alle orecchie vogliose dei giornalisti “dipendenti” (un po’ come Fiat, un po’ come Confindustria, controlla o influisce su tre “testatone”: Corriere, Sole e Stampa; come simpatia politica completa il filotto con Repubblica, Unità e, un po’ meno, Messaggero). Come privato cittadino può dire quel che vuole, ci mancherebbe. Può dire che gli piace l’Inter, la torta di mele e il Pd. Va bene.
    Ma a che titolo dobbiamo sentire che secondo Lcdm (Luca Cordero di Montezemolo) occorre la riforma elettorale prima del voto? A che titolo il presidente di una delle associazioni di imprenditori italiani decide di entrare nello specifico della crisi politica? Ha avuto un mandato esplicito dai suoi soci, in proposito? Non risulta che il Direttivo di Confindustria abbia deliberato alcunché in proposito. Né che sia stato commissionato un referendum sul tema.

    E allora? Esternazioni. Peraltro di un presidente in scadenza, quasi scaduto. Sicuramente precario. Fosse rimasto a guidare la rossa di Maranello saremmo stati tutti più felici. I suoi quattro anni (a maggio verrà nominato il nuovo presidente) al vertice di Confindustria non sono stati memorabili. Tranne che per le sue continue incursioni nell’agone politico. Si dirà: la politica invade l’economia? Ecco la punizione: l’economia invade la politica. Ok, è ritorsione. Con il codazzo di altri presidenti in cerca di visibilità (da Confartigianato a Confcommercio): che brutto spettacolo.

  7. Come al solito i commenti non c’entrano un cazzo con l’articolo!

    Ma saranno accessibili solo i dossier sul 1978? Quando quelli sul 1980????

  8. aggiungo un’altra domanda, nella speranza che qualcuno, magari il dott. Telese stesso, mi dia una risposta.
    Chi garantisce che prima di rendere pubblici i documenti questi non vengano “manomessi” per nascondere qualcosa e non far emergere l’intero segreto?

    Perchè dopo tutti i depistaggi e le manovre dei servizi segreti dovrebbero far venire fuori i documenti che li incastrano?

  9. A parte la morte di Moro, ricordiamoci tutti, che sono mrti anche dei servitori dello Stato in Divisa, forse, per quello che mi riguarda, la loro vita era più importante.

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    Ma siete tutti fissati con i depistaggi da parte dei Servizi.
    Ma è possibile che tutto quello che di male è successo in Italia è sempre colpa dei servizi?????
    Ma di tutto quello che è accaduto o che stà accadendo ma forse, non sarà un colpa di una classe politica inefficente che dal 45 a oggi per parare ai propri errori ha sempre dovuto trovare un colpevole e guarda strano i SERVIZI.. proprio quella parte di Stato che non può difendersi pubblicamente.
    Forse, se in Italia non sono avvenuti attentati.. quelli veri, dobbiamo anche ringraziare l’operato di tanti uomini fantasma che lavorano per la nostra sicurezza.
    E’ ora di basta, alla solita idea sinistroida che tutto il male viene da una parte.

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    Riguardo Napolitano, secondo la mia personale opinione, è logico che vuole un nuovo governo, perchè sa benissimo che se dovesse vincere il Centro Destra, verebbe subito illegittimato.

  10. Emilio Casalini

    Veltroni corre da solo. Ma è meglio che si guardi le spalle
    Riuscirà il nostro eroe ad andare da solo? E’ tutto un rimproverarlo, un trattenerlo, un invitarlo a riflettere, ma lui, risoluto vuol strasene per conto proprio. Sì, Veltroni, per la prima volta nelle sua vita, indossato gli abiti del risoluto e coraggioso innovatore, vuole presentarsi alle elezioni col suo Pd a vocazione maggioritaria. incassare una percentuale sopra il 30 per cento, forse sino al 35, e mandare a picco il resto della sinistra.

    Così facendo si condanna a perdere le elezioni, ma spera di fondare definitivamente, e su basi solide, il partito democratico. La sconfitta annunciata – riflettono i suoi, capeggiati dalla balia Bettini – non deve spaventare: questo giro, comunque, nessuno riuscirà a strappare la vittoria a Berlusconi. A questo punto tanto vale fare di necessità virtù. Se il successo del Cavaliere non sarà un trionfo, è possibile che anche lui non arrivi al termine della legislatura. A quel punto, fra due o tre anni, Walterino sarà pronto, con un forte e sperimentato partito alle spalle, ad approfittarne e ad aggiudicarsi Palazzo Chigi.

    I sostenitori del pupone non vedono alternativa se non quella – per la verità molto improbabile – di riuscire a scongiurare le elezioni. Il piano veltroniano è dunque bello che pronto: o Napolitano riesce a rimandare il voto a data da destinarsi, o il Pd perde con Berlusconi ma sbaraglia gli alleati.

    In questa solitaria marcia, Walter il risoluto ha trovato sulla sua strada parecchi nemici. Pleonastico ricordare Rosy Bindi e tutti i cascami del dossettismo ormai sconfitto che si porta dietro. Ancora una volta il capo dell’opposizione al sindaco di Roma è Massimo D’Alema che tratta le sue scelte in modo sprezzante. “Ci voleva lui – ha confessato ai suoi più stretti collaboratori – per scegliersi come consigliere, Giuliano Ferrara, che di professione fa prima di tutto il consigliere di Berlusconi”. Ma anche il sempre più patibolare Piero Fassino all’eremitismo politico, targato Walter, ci crede poco. “Vedrete – è solito ricordare – alla fine prevarrà il buon senso e si rifarà l’alleanza”.

    Fausto Bertinotti, vista la malaparata, si tiene ben lontano dalla mischia e tende sempre più ad atteggiarsi a padre nobile sul viale del tramonto: a una certa età – ha detto – occorre fare un passo indietro e rientrare in terza e quarta fila: studiare, riflettere, magari scrivere qualche libro e fare il consigliere dei nuovi principi. Per Fausto il rosso la prospettiva a medio termine è quella degli “ozi rossi” in Umbria, in quel pezzo di splendida campagna nei pressi di Massa Martana.

    Il pupone del Campidoglio invece va alla guerra e si prepara, pugnace, a sfidare la cattiva sorte. D’Alema lo aspetta al varco. Già, perché la variabile è questa: se il Pd perde, chi garantisce a Veltroni che il Pd resterà nelle sue mani? Gli avversari interni partiranno al contrattacco e non ci sarà mole, per quanto robusta, di Giuliano Ferrara a ripararlo dagli assalti dalemian-fassinian-rutellian ecc… E Rosy Bindi per quanto spazzata via dal crollo dossettian-prodiano potrebbe riemergere. A volte ritornano.

  11. Forza Nuova: la politica, anziché interrogarsi sulla legge elettorale, farebbe bene a pensare ai reali problemi della gente. I redditi delle famiglie che vivono con una busta paga sono rimasti sostanzialmente bloccati tra il 2000 e il 2006, crescendo meno dell’1%. L’indagine di Bankitalia sui bilanci delle famiglie ha confermato un trend ormai univoco sulla condizione economica degli italiani: sempre più acquisti a debito, sempre più difficoltà ad arrivare a fine mese, divari abissali tra ricchi e poveri e tra Nord e Sud. L’aspetto più allarmante registrato dalla Banca d’Italia è che la ricchezza si stia concentrando nelle mani di pochi: attualmente il 45%, quindi poco meno della metà della stessa, è detenuta da appena il 10% delle famiglie. Il significativo aumento dell’indebitamento da parte delle famiglie è la dimostrazione tangibile che ormai anche per fare la spesa moltissimi ricorrono ai prestiti. Tant’è che l’indebitamento medio si aggira sui 10500 euro. Paolo Caratossidis, coordinatore nazionale di Forza Nuova, afferma che “non c’era certo bisogno dell’indagine di Bankitalia per riportare l’attenzione su di un dramma che sta portando milioni di italiani al collasso. Ma nonostante quello dell’indebitamento e della povertà sia un argomento all’ordine del giorno, i principali partiti politici del nostro paese sembrano non preoccuparsi d’altro che di elezioni e di riforme elettorali. In questo modo non fanno che riconfermare il loro menefreghismo nei confronti del popolo che soffre.” Il potere d’acquisto delle retribuzioni è calato di circa 1.900 euro nel 2007 rispetto al 2002, e per gli operai il calo ammonta addirittura a 2.600 euro circa. Sono oltre 14 milioni i lavoratori che vivono con meno di 1.300 euro al mese e 7,3 milioni quelli che guadagnano meno di 1.000 euro al mese. E prosegue: “quello di cui ha bisogno l’Italia, oggi più che mai, è di serie politiche occupazionali e di concreti provvedimenti a favore della redistribuzione dei redditi. E’ inutile versare lacrime da coccodrillo alla notizia dell’ennesima morte bianca sul lavoro quando milioni di lavoratori dipendenti sono sfruttati in cambio di salari ottocenteschi” Quello che è ridicolo è che anche Montezemolo afferma che in Italia c’è un problema salariale: eppure lui è tra i principali responsabili di questa catastrofe economica.
    http://www.forzanuova.org

  12. CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    Concerto Hispanicus!

    Sabato 2 febbraio ore 20,30 presso la sezione FIAMMA TRICOLORE NETTUNO, via romana n. 95.

    CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    Via A. Gramsci n. 155 00048 Nettuno (RM)

  13. CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    Abbiamo appreso dai giornali alcune dichiarazioni alquanto folcroristiche, ma ciò non ci stupisce, anzi, non avevamo dubbi che qualche esponente politico avrebbe prima o poi cavalcato quella che per i nettunesi sarebbe una vera e propria tragedia. Purtroppo è questo quello che capita quando una classe dirigente è formata da individui tutte chiacchiere e distintivo, che a parole si ergono a paladini della giustizia, ma che poi sottobanco ne combinato di tutti i colori, può questo non essere il caso di Marcello Armocida, ma da qui a quando se ne capirà qualcosa siamo sicuri se ne vedranno delle belle. Fatto sta che ancora oggi continuiamo a pagare e caro prezzo il disastro causato da una classe politica corrotta e inefficiente che ha messo un’intera città in ginocchio e, se adesso ci troviamo in queste condizioni, lo dobbiamo a quei loschi individui che con il loro fare sono riusciti a far commissionare il comune. A differenza di queste persone però il nostro compito non è quello di fare propaganda politica, ma è e resta quello di informare la popolazione senza filtri o censure di tutto ciò che sta realmente accadendo e ce lo possiamo permettere perché non essendo un partito o comitato elettorale non dobbiamo né rastrellare voti né fingere di fare qualcosa. Purtroppo (o per fortuna) non ci sono ancora risconti che possano confermare le voci che girano insistentemente ormai da settimane, e noi non abbiamo alcuna intenzione di spaventare ulteriormente i cittadini, tanto meno quello di rassicurarli senza avere la certezza dello scampato pericolo. Gli unici indizi che abbiamo sono le dichiarazioni Massimo Franceschini e quanto previsto dal “Patto per Roma sicura” e ribadiamo che non vi sono attualmente altre novità. Ricordiamo inoltre che il sig. Franceschini, proprietario del terreno antistante il centro commerciale Le Vele, ha affermato di essere in trattativa per la cessione in locazione del suo terreno ad un ente, ma non ha specificato se si tratti del Comune di Roma o della ditta di giostrai come annunciato dal Comandante della Polizia Municipale di Nettuno Tomassetti. Il presentimento è che il sig. Franceschini abbia approfittato della voce sparsasi rapidamente tra la comunità nettunese per attirare su di se l’attenzione per poter sparare a zero su tutti quei costruttori che approfittando di amici politicanti, hanno fatto il bello e cattivo tempo costruendo di tutto ovunque, mentre lui sono 40 anni che non riesce a monetizzare il terreno in questione. Il “Patto per Roma Sicura” siglato dal Sindaco di Roma Veltroni, dal Presidente delle Provincia di Roma Gasbarra, dal Governatore del Lazio Marrazzo e dall’allora prefetto Serra invece prevede la messa in opera di quattro “villaggi della solidarietà” aldilà del Grande Raccordo Anulare, ma anche qui non si capisce se sempre all’interno del comune capitolino o sull’intero territorio di competenza della prefettura di Roma . Siamo inoltre convinti che non è promettendo di innalzare barricate che possiamo renderci utili, ma è soltanto attraverso una corretta informazione che si può far qualcosa di concreto spiegando per filo e per segno cosa sta realmente accadendo, con onestà e soprattutto senza personalismi. Ricordiamo che potete trovare maggiori informazioni sul sito http://www.avamposto.org.

    CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    Via A. Gramsci n. 155 00048 Nettuno (RM)

    ROBERTO MAGRELLI
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    RICCARDO ARBUSTI
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    VALERIO MARMO
    FABRIZIO MARMO
    RICCARDO DE CONCILIUS
    MARCO MALARBA
    GIULIANO DE SANTIS BUZZONIA
    STEFANO DRAGONA
    FRANCESCO RANIERO
    GIANCARLO FREZZA
    MAURIZIO MIRENGHI
    LUCIANO ESPOSITO

  14. Claudio Antonelli

    Nel paese della “bella figura”, la TV ha una malia cui nessuno sa resistere. La fiction su Riina “Capo dei capi” ha avuto ascolti record. Riina stesso, in cella, non ne ha voluto perdere una sola puntata. Il pezzo da novanta Michele Catalano, latitante, è stato catturato mentre era intento a guardare lo sceneggiato, con gli occhi così fissi sullo schermo che non si era accorto dell’arrivo dei poliziotti. Il senatore Gustavo Selva doveva partecipare ad una trasmissione televisiva, ma quel giorno le strade di Roma erano bloccate per la visita di Bush. Allora Selva, per poter arrivare in tempo alla trasmissione, ha finto un malore e ha fatto venire un’ambulanza. Si è fatto quindi condurre a sirene spiegate presso gli studi televisivi, adducendo che lo studio del suo cardiologo si trovava nelle vicinanze. Neppure il palazzinaro Danilo Coppola, benché agli arresti in un letto d’ospedale, ha saputo resistere alla tentazione d’essere intervistato in TV. Si è liberato di tubi e tubicini, ed ha raggiunto gli studi. “Ero in ospedale – ha raccontato a SkyTG24 – mi avevano attaccato le macchine, io ho staccato tutto. Volevo rilasciare un’intervista.” L’ideale di questo popolo di santi, poeti, navigatori, ma innanzitutto di esibizionisti e di guardoni, è di approdare in TV. A qualunque costo. I politici della Casta affollano ogni sera gli studi televisivi, esibendosi nella sola cosa che sappiano fare: chiacchiere e polemiche. Gli italiani, che pur ripetono “ad nauseam” che provano schifo per i politici e che sognano di poter fuggire all’estero, seguono avidamente queste trasmissioni, per poter fare a loro volta, il giorno dopo, chiacchiere e polemiche con amici e conoscenti. In Italia, in televisione trionfa l’immagine, sì, ma soprattutto dilaga l’oralità incontinente. Ce ne rendiamo conto noi espatriati quando paragoniamo i programmi d’intrattenimento in provenienza dalla penisola con quelli del Nord America: nello Stivalone è tutto un parlare, petulante, ad voce alta. Di vero spettacolo quasi niente. Solo un mare di chiacchiere. Artisti, cantanti, conduttori-imbonitori parlano, parlano, parlano. Lo stesso festival di San Remo, ufficialmente spettacolo canoro, è in realtà una fabbrica di chiacchiere e di pettegolezzi, anzi di “gossip” come ormai dicono tutti in Italia. Di qui la sua straordinaria popolarità. È garantito: chi si mostra in TV assurge alla celebrità. E così, in Italia, anche gli assassini sono contesi, perché famosi grazie alla TV. L’ideale, nello Stivalone, è di essere sospettati di un delitto che non si ha commesso. In questo caso la celebrità è garantita anche senza la galera. Ha scritto Beppe Severgnini, a proposito del delitto di Perugia :
 “Se Amanda uscisse dal carcere prosciolta o rinviata a giudizio: è irrilevante – l’aspetta una carriera da protagonista.” Patrick Lumumba, arrrestato e poi rilasciato a Perugia, ha suscitato l’interesse di Fabrizio Corona, che ha già raggiunto la celebrità grazie alla cronaca nera. Corona ha dichiarato : “Ho preso contatti perché è un personaggio interessante, che può sfondare”. Il Rom che guidando da ubriaco ha causato la morte di quattro ragazzi, ha dovuto assumere un impresario per poter gestire la propria celebrità. Azouz, accusato – erroneamente – di aver ucciso la moglie e la figlia, è divenuto anche lui una vedette, conteso dagli italiani pronti a pagare pur di essere visti in sua compagnia. Berlusconi era riuscito a vincere per merito delle sue TV. Ma i magistrati gliel’hanno fatta pagare cara, accusandolo e riaccusandolo in TV. Grazie allo schermo TV, la monnezza di Napoli è finita in tutte le case. Ma non è la sola monnezza in TV…

  15. Valerio Marmo

    Tv,Corte Ue: in Italia frequenze contrarie diritto Bruxelles

    Il regime italiano di assegnazione delle frequenze per le attivita’ di trasmissione radiotelevisiva ”e’ contrario al diritto comunitario”. Lo affermano i giudici della Corte di giustizia Ue del Lussemburgo, confermando le conclusioni dell’avvocato generale. ”Tale regime – sostiene la Corte – non rispetta il principio della libera prestazione dei servizi e non segue criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”. La sentenza fa riferimento ad una causa intentata da Centro Europa 7, societa’ attiva nel settore delle trasmissioni radiotelevisive che nel 1999 aveva ottenuto dalle competenti autorita’ italiane un’autorizzazione a trasmettere a livello nazionale in tecnica analogica, ma non e’ mai stata in grado di trasmettere, in mancanza di assegnazione di radiofrequenze. Una domanda della Centro Europa 7 diretta all’accertamento del suo diritto ad ottenere l’assegnazione di frequenze, nonche’ il risarcimento del danno subito, e’ stata respinta dal giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato, dinanzi al quale la causa pende attualmente, ha quindi interrogato la Corte di giustizia delle Comunita’ europee sull’interpretazione delle disposizioni di diritto comunitario relative ai criteri di assegnazione di radiofrequenze al fine di operare sul mercato delle trasmissioni radiotelevisive. Il giudice del rinvio ha sottolineato che in Italia il piano nazionale di assegnazione delle frequenze non e’ mai stato attuato per ragioni essenzialmente normative, che hanno consentito agli occupanti di fatto delle frequenze di continuare le loro trasmissioni, nonostante i diritti dei nuovi titolari di concessioni. Le leggi succedutesi, che hanno perpetuato un regime transitorio, hanno avuto l’effetto di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessioni in tecnica analogica e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale. Nella sentenza pronunciata oggi, la Corte rileva che l’applicazione in successione dei regimi transitori strutturati dalla normativa nazionale a favore delle reti esistenti ”ha avuto l’effetto di impedire l’accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze”. Questo effetto restrittivo e’ stato consolidato ”dall’autorizzazione generale, a favore delle sole reti esistenti, ad operare sul mercato dei servizi radiotrasmessi”. Per i giudici della Corte, ”tali regimi hanno avuto l’effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali gia’ attivi su detto mercato”. Il limite al numero degli operatori sul territorio nazionale potrebbe essere giustificato da obiettivi d’interesse generale, ma – contestano i giudici – esso dovrebbe essere organizzato sulla base di ”criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”, cosi’ come stabilisce il nuovo quadro normativo comune per i servizi di comunicazione elettronica. Di conseguenza, la Corte conclude che l’assegnazione in esclusiva e senza limiti di tempo delle frequenze ad un numero limitato di operatori esistenti, senza tener conto dei criteri citati, e’ contraria ai principi del Trattato sulla libera prestazione dei servizi. MEDIASET: NESSUN RISCHIO PER RETEQUATTRO MILANO – Mediaset, in un comunicato in merito alla sentenza della Corte di Giustizia europea, ”riservando ogni commento all’esito della lettura, osserva sin d’ora che, quale che sia il contenuto della sentenza, questa non puo’ comportare alcuna conseguenza sull’utilizzo delle frequenze nella disponibilita’ delle reti Mediaset, inclusa ovviamente Retequattro”. ”Il giudizio cui la sentenza si riferisce riguarda infatti esclusivamente una domanda di risarcimento danni proposta da Europa 7 contro lo Stato italiano e non puo’ concludersi in alcun modo con pronunce relative al futuro uso delle frequenze”. ”Quanto all’insinuazione che Retequattro occuperebbe indebitamente spazi trasmissivi a danno di Europa 7, Mediaset – conclude il comunicato – ribadisce che Retequattro e’ pienamente legittimata all’utilizzo delle frequenze su cui opera.Quindi nessun rischio per Retequattro

  16. Giuliano Castellino

    IL SEGRETARIO DELLA FIAMMA TRICOLORE INCONTRA I CITTADINI OGNI PRIMO VENERDI’ DEL MESE, PRESSO LA SEDE DEL PE, A ROMA
    ‘APPUNTAMENTO CON IL CITTADINO’.
    Il segretario della Fiamma Tricolore Luca Romagnoli riceverà e ascolterà tutti i cittadini che abbiano problemi e proposte da sottoporgli.
    Gli incontri avranno inizio dopodomani, venerdì primo febbraio e proseguiranno ogni primo venerdì del mese, dalle ore 10 alle ore 12,30, nella sede del Parlamento Europeo a Roma, in via Quattro Novembre n. 149.

    Il Movimento Sociale Fiamma Tricolore ha promosso e attivato le seguenti petizioni:
    ABOLIZIONE ICI PRIMA CASA: http://www.firmiamo.it/abolizioneici
    LEGGE REGIONALE PER IL MUTUO SOCIALE: http://www.firmiamo.it/mutuosociale

  17. Assunta Almirante

    Ah Giulia’ manco solo io….

  18. francesco lamendola

    Da anni e anni ci sentiamo ripetere che realizzare la “società multietnica” è il grande obiettivo del terzo millennio, il luminoso futuro che ci attende al di là del post-moderno. D anni ci sentiamo ripetere, come un ritornello, quanto sia bella, desiderabile e felice una società multietnica; dove razze, culture e religioni diverse coesistano armoniosamente e dove le barriere dell’incomprensione, del pregiudizio e dell’intolleranza – residuo di un passato vergognoso e da dimenticare – siano abbattute per sempre. Le autorità politiche ci ripetono che tale è il nostro “destino manifesto”; quelle economiche, che noi abbiamo assoluto bisogno di lavoratori immigrati per tenere alto il nostro tenore di vita e per riempire i vuoti demografici dovuti alla bassa natalità; quelle religiose ci ricordano il dovere cristiano dell’accoglienza; quelle culturali ci assicurano che ciò costituirà un impagabile arricchimento per il pensiero, l’arte e la scienza. Tutti insieme appassionatamente ci rintronano gli orecchi con lo stesso motivo, una mescolanza di utilitarismo esplicito e di umanitarismo e democraticismo zuccherosi. Ma è proprio così? Noi abbiamo molti dubbi in proposito, anche se politicamente assai scorretti. Ci rendiamo perfettamente conto della delicatezza dell’argomento e della facilità con cui, su un tale terreno, possono crearsi equivoci e si può dare esca a bieche strumentalizzazioni; perciò ci sforzeremo di essere chiari, quanto lo si potrebbe essere ragionando con un bambino delle scuole elementari. La necessaria premessa è che la nostra perplessità non nasce in alcun modo da un pregiudizio razzista nei confronti di altri popoli, altre culture e religioni; al contrario, in anni non sospetti (diciamo una trentina d’anni fa), parlavamo di interculturalità quando non esisteva quasi nemmeno la parola, e con saggi e articoli ci sforzavamo di ribadire il concetto che l’egoismo economico e politico del Nord della Terra stava generando situazioni insostenibili nel Sud, e che l’unica soluzione a tale problema era una più larga e generosa comprensione della necessità di elaborare una risposta globale, materiale e morale, alla miseria crescente del Sud e al malessere spirituale crescente del Nord; ad esempio col libro Metafisica del Terzo Mondo, edito nel 1985. Ciò chiarito, vediamo brevemente perché l’obiettivo della costruzione di una società multietnica ci sembra una utopia pericolosissima, foriera di conseguenze che non noi, ma le generazioni future ben difficilmente riusciranno a gestire razionalmente e pacificamente. Il primo motivo di perplessità ci viene dalla storia. Se vogliamo guardare alla natura umana quale essa è e non quale vorremmo che fosse o quale sarebbe auspicabile che fosse, ci accorgeremo che le società multietniche hanno prosperato in pace e in buona armonia solo per brevi periodi e in situazioni favorevoli assolutamente irripetibili, dovute a un concorso di circostanze fortunate. Tale fu il caso dell’India di Akbar (1542-1605), noto in Europa come il “Gran Mogol”, illuminato sultano mongolo-indiano che perseguì con saggezza e lungimiranza un progetto di coesistenza etnica e religiosa. Tuttavia, lo ripetiamo, si tratta di rare eccezioni alla regola. La regola è completamente diversa e ci mostra una serie ininterrotta di conflitti, di odi, di rivincite lungamente attese e di rancori a fatica dissimulati. Possibile che il caso della ex Jugoslavia, senza andare tanto lontano nello spazio e nel tempo, non abbia insegnato niente a nessuno? Eppure, per chi li voleva vedere, i fatti sono lì, sotto i nostri occhi: e dicono chiaramente che nemmeno dopo secoli di convivenza (secoli, non anni!) l’etnia serba, quella croata, quella bosniaco-musulmana, quella albanese, ecc. sono riuscite a convivere in pace; anzi, che si sono sempre odiate e combattute e che ogni tentativo di comporre i loro contrasti è risultato assolutamente vano. Del resto, lo stiamo vedendo anche in questi giorni. Gli Albanesi del Kossovo, spalleggiati fin dall’inizio dal colosso americano, vogliono l’indipendenza: e, dopo aver subito lunghi periodi di “pulizia etnica” da parte dei Serbi, l’hanno fatta subire, con gli interessi, ai loro ex oppressori; tanto che in tutta la regione la presenza serba è scesa sì e no al 10% della popolazione totale. Conclusione (per chi la vuole vedere e non ha la coda di paglia): neppure gli sforzi delle grandi potenze e dell’intera diplomazia europea, neppure gli strumenti democratici del referendum e dell’autodeterminazione sono stati sufficienti a salvare la convivenza fra due stirpi che coesistevano da tempo immemorabile nello stesso territorio. Oppure si pensi all’Irlanda del Nord, ove più di quattro secoli di coesistenza non sono riusciti ad attenuare minimamente l’astio e il disprezzo reciproco fra l’elemento anglo-protestante e quello irlandese-cattolico. Eppure la società multietnica di cui ci parlano gli odierni cantori delle magnifiche sorti e progressive non nascerà da secoli di convivenza, ma verrà improvvisata dall’oggi al domani; e non coinvolgerà due sole etnie, ma decine e decine di etnie provenienti da ogni parte del mondo, con una varietà di lingue, usanze, religioni quali mai vi era vista prima nella storia. Anche l’India di Akbar, in fin dei conti, non doveva far coesistere che due elementi: l’indù e il musulmano. E sappiamo che fine ha fatto il sogno di quella convivenza: neppure il carisma di Gandhi ha potuto impedire la spaccatura dell’India in due Stati ferocemente avversi l’uno all’altro. E questo esperimento pericolosissimo, dal quale non ci sarà più modo di tornare indietro, dove lo si vuole realizzare? In tutta Italia; in tutta Europa. Non in una piccola regione, ma nell’intero continente. Per fare un esempio: quei milioni di Rom che non sono mai riusciti a integrarsi veramente con il popolo romeno, ora dovrebbero farlo negli Stati dell’Europa Occidentale, da un giorno all’altro. È verosimile? La seconda ragione di perplessità è di ordine politico. Nella presente congiuntura politica, con la guerra di civiltà scatenata dall’irresponsabile governo degli Stati Uniti d’America, e nella quale versano benzina sul fuoco gli interessi palesi e concreti del governo israeliano, l’Europa dovrebbe accogliere alcune decine di milioni di immigrati, molti dei quali provenienti da Paesi islamici, i quali non vengono solo in cerca di lavoro, ma con il progetto a lungo termine di islamizzarla. Sia detto per inciso, lo spettacolo politico cui assistiamo da parecchi anni è a dir poco sconcertante: quello di un’Europa, prossimo campo di battaglia tra due opposti integralismi, che continua ad essere subalterna e ossequiente verso i due massimi responsabili di tale situazione: i governi di Washington e di Gerusalemme. Eppure è evidente che i loro interessi non sono i nostri, che i loro obiettivi strategici non hanno nulla a che fare con i nostri; non occorre essere dei geni della geopolitica per capirlo. Si dirà che se non gli immigrati, i figli degli immigrati provenienti da quei Paesi svilupperanno un legame affettivo con la loro nuova patria d’adozione; e che questo renderà possibile non solo la pacifica convivenza, ma addirittura l’integrazione (ciò che non era riuscito al saggio e illuminato Akbar in condizioni tanto più propizie). Non è vero. I cittadini britannici di origine araba che avevano progettato gli attentati all’aeroporto di Londra non erano figli di immigrati, ma figli dei figli dei primi immigrati: immigrati della terza generazione. Non solo non avevano sviluppato alcun legame affettivo con la loro patria d’adozione, ma nutrivano per essa tutto l’odio che è possibile albergare nel cuore umano. Oppure ricordiamo l’insurrezione delle banlieues francesi; o ancora, se si preferisce, le feroci lotte interetniche scoppiate a Los Angeles nei rimi anni Novanta del secolo scorso, quando asiatici, africani ed ispanici si affrontarono a colpi di pistola e di coltello, saccheggiando i negozi, incendiando le abitazioni e così via. Eppure parliamo di etnie che vivevano sullo stesso territorio da molto tempo. Inoltre la Gran Bretagna e la Francia, per via del loro passato coloniale, e gli Stati Uniti, per via della peculiarità del loro popolamento, avevano avuto molto tempo per sviluppare una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione. Ma non vi sono riusciti. Vi riusciranno Paesi come l’Italia, che non hanno una storia del genere dietro le spalle, non hanno sviluppato una cultura del genere; e, anzi, fino a due generazioni fa, erano Paesi di emigranti? La mentalità mercantilista cui l’Occidente si è assuefatto negli ultimi secoli produce una curiosa deformazione percettiva. Ignorando i fatti e mettendo a tacere anche il semplice buon senso, si continua a pensare che, col denaro e i mezzi materiali, si possa fare tutto: anche creare dei legami di appartenenza, dei vincoli di tipo affettivo. Ma non è così. L’amore per il paese in cui si vive non nasce soltanto dal fatto materiale di trovare, bene o male, casa e lavoro; nasce, eventualmente, dal proprio retroterra culturale e dalla disposizione d’animo con cui si è affrontato il duro passo dell’emigrazione. I nostri nonni, che emigravano verso le miniere del Belgio con le loro valigie di cartone legate con lo spago, lo sapevano molto bene. Perfino in un paese relativamente vicino al proprio, ove si parla una lingua della stessa famiglia e si pratica la stessa religione, l’integrazione è stata realizzata solo da pochissimi e solo dopo sforzi disumani. La maggior parte dei nostri nonni, appena potevano, rifacevano la valigia e se ne tornavano a casa. Quanti di loro sono rimasti e hanno finito per amare il paese adottivo? Amare è una parola grossa; andiamoci piano. La terza ragione di perplessità è di ordine economico. Si dice e si ripete che le società a capitalismo avanzato hanno assoluto bisogno di manodopera, non solo e non tanto nelle fabbriche, quanto nei settori ormai abbandonati o semi-abbandonati: di braccianti agricoli, di manovali nei lavori pubblici o di operai non specializzati nell’industria, di infermieri nelle strutture sanitarie, di badanti per gli anziani soli e non autosufficienti. Ma è proprio così? Di fatto, l’aumento dell’immigrazione ha dato il colpo di grazie al piccolo commercio: milioni di botteghe familiari hanno dovuto chiudere, strangolate dalle tasse, mentre le piccole e medie imprese hanno potuto disporre di manodopera a basso costo che, in ultima analisi, ha favorito una ulteriore concentrazione dell’industria e del commercio. E mentre i piccoli negozi chiudono, sempre più numerosi aprono quelli degli immigrati; per non parlare del commercio clandestino di prodotti a costo bassissimo, importati illegalmente o fabbricati in strutture illegali, che creano una concorrenza insostenibile per i nostri commercianti. E si ricordi cosa è successo a Milano quando le autorità comunali hanno tentato di porre un po’ di ordine, non diciamo nel commercio cinese, ma nel semplice utilizzo degli spazi pubblici per il trasporto delle merci: una mezza insurrezione, con tanto di bandiere cinesi sulle barricate e di intervento dell’ambasciatore di Pechino. Altro che immigrati disciplinati e rispettosi della legge, che badano solo al proprio lavoro. Ora, si provi a immaginare cosa sarebbe accaduto se i nostri nonni emigrati in Svizzera, non più tardi di mezzo secolo fa, avessero avuto una reazione del genere, e sia pure di fronte a una supposta ingiustizia o prepotenza delle autorità pubbliche. Il fatto è che non ci pensavano proprio: non erano andati all’estero per far sventolare il tricolore alla prima difficoltà, ma per guadagnare qualcosa da mandare a casa. La quarta ragione di perplessità è di ordine demografico. Si dice che, senza l’apporto di immigrati stranieri, e più precisamente di famiglie straniere o, comunque, di coppie che metteranno al mondo dei figli, il nostro declino demografico, e quindi economico, sarebbe irreversibile. A noi pare che il ragionamento si possa tranquillamente rovesciare e che si possa pronosticare che, con gli attuali, rispettivi indici di natalità degli Europei e degli immigrati, nel giro di poche generazioni i popoli del vecchio continente cominceranno letteralmente a scomparire; e con essi spariranno, poco alla volta, dialetti, lingue, culture, religione: tutto. Già abbiamo visto, in un conteso pre-industriale, quanto rapidamente le culture locali siano state sopraffatte e cancellate dalle culture nazionali. Che fine hanno fatto, per citare un solo esempio, la lingua e la gloriosa letteratura provenzale, quando il francese ha cominciato ad affermarsi? Ora quest’ultima vive quasi solo nei capolavori del grande poeta Frédéric Mistral (1830-1914). E ovunque, nella modernità, si è assistito allo stesso fenomeno: giornali, radio, cinema e televisione hanno dato una mano alle culture nazionali per raggiungere la cosiddetta “unificazione”, cioè per spazzar via le culture vernacolari; e oggi, complice l’informatica, anche le culture nazionali cominciano a scomparire, finché non resterà che la cultura dell’Impero: la lingua inglese, il pensare americano, il vestire, studiare e usare il tempo libero, secondo il modello americano. Quanto al temuto declino economico, è chiaro che si presenta la necessità della manodopera straniera solo se si parte dal presupposto che l’economia debba continuare a basarsi sul concetto della crescita. Ma, ormai, anche gli economisti liberali più tradizionali cominciano ad ammonire che il concetto di crescita illimitata è insostenibile, se non altro per il prossimo, inevitabile esaurimento delle fonti energetiche non rinnovabili e per gli effetti catastrofici dell’inquinamento; e che è tempo – se non è già troppo tardi – di ripensare radicalmente la nostra idea dell’economia e le idee stesse dello sviluppo e del progresso. Si tratta di idee recenti, nate – in pratica – con l’Illuminismo e con la Rivoluzione industriale. L’Europa ha costruito le cattedrali e prodotto gli Elementi di Euclide, la Divina Commedia di Dante e il teatro di Shakespeare facendo benissimo a meno di tali idee. Non è vero che chi si ferma è perduto, che l’economia deve sempre crescere, pena la recessione: questo è il ricatto degli economisti in mala fede, i cui nomi sono scritti sul libro paga di un capitalismo irresponsabile e ormai agonizzante. È incredibile che così poche voci, nel mondo della cultura, si siano levate per denunciare questa menzogna spudorata, nonostante l’evidenza dei fatti e la gravità dei pericoli cui andiamo incontro. La quinta ragione di perplessità è di natura organizzativa. Se anche lo si fosse voluto, non crediamo sarebbe stato possibile gestire il fenomeno dell’immigrazione in maniera peggiore di come si è fatto. L’atteggiamento della classe politica è stato un miscuglio di faciloneria imbecille, di assoluta inefficienza, di miopia che ha dell’inverosimile. Ricorderemo sempre una frase emblematica pronunciata da Massimo D’Alema, che rivestiva la responsabilità di capo del governo italiano all’epoca dei giganteschi sbarchi di clandestini albanesi sulle coste pugliesi, verso la metà degli anni Novanta del Novecento. Di fronte all’ennesimo approdo di una “carretta del mare” con cinquecento albanesi a bordo, molti dei quali si resero subito irreperibili a terra, con la sua abituale aria di superiorità egli disse – citiamo a memoria ma con sostanziale esattezza – ai microfoni del telegiornale: “Mi rifiuto di credere che per un grande Paese come l’Italia possa costituire un problema l’accoglienza di cinquecento poveretti che vengono in cerca di lavoro”. Solo che i cinquecento sono diventati una massa incontrollabile, e non solo di albanesi; al punto che non sappiamo esattamente neppure quanti sono adesso. Dalle frontiere sforacchiate, terrestri e marittime, del nostro Paese si riversano ogni anno decine di migliaia di immigrati clandestini, molti dei quali andranno ad alimentare le attività illegali, se non la malavita vera e propria. Ogni anno, ogni estate i bagnanti di qualche spiaggia del Mezzogiorno assistono allo spettacolo sconvolgente dell’approdo di questi disperati: ci siamo abituati all’incredibile, percepiamo come normale ciò che dovrebbe essere l’eccezione clamorosa. E intanto la mafia, in Sicilia, ha individuato in questo mercato di carne umana una delle sue attività più redditizie, alla faccia degli sforzi disperati di singoli magistrati e di singoli operatori delle forze dell’ordine per combattere questo nostro vecchio (e mai curato) cancro nazionale, cercando di mettere sotto controllo le sue fonti di finanziamento. La stessa cosa avviene in Calabria con la ‘ndrangheta, in Campania con la camorra e in Puglia con la Sacra Corona Unita. I barbari dell’interno fanno commercio di questi immigrati, d’accordo con i criminali dell’altra sponda del Mediterraneo, imbarbarendo sempre più la vita nazionale. Mentre alle unità in servizio per contrastare mafia e immigrazione clandestina scarseggia perfino la benzina per le indispensabili attività di pattugliamento del territorio, aliquote consistenti delle forze dell’ordine sono destinate a compiti di scorta di decine di onorevoli inquisiti per svariati reati del codice penale o per sorvegliare e proteggere le loro ville e i loro yacht. Accoglienza non vuol dire irresponsabilità. In Australia, per esempio, (lo sappiamo per conoscenza diretta), perfino in caso di un matrimonio fra un cittadino italiano e un cittadino australiano – matrimonio autentico, matrimonio d’amore con tanto di figli e non escamotage legale per coprire l’immigrazione di uno straniero – i controlli sono severissimi, puntigliosi, caratterizzati da una estrema diffidenza. E non parliamo delle conseguenze sanitarie della faciloneria con cui si spalancano le porte del nostro Paese a chiunque lo voglia. Poiché viviamo in quella parte d’Italia ove è appena scoppiato il caso della meningite fulminante, originata appunto presso gruppi di immigrati, abbiamo visto coi nostri occhi cosa può accadere quando i controlli sanitari sulle persone immigrate sono pressoché inesistenti: in nome di un buonismo e di un garantismo demenziali, si mette a repentaglio la sicurezza di milioni di cittadini. Prima che la demagogia irresponsabile della nostra classe dirigente (o piuttosto della nostra classe dominante, per usare la terminologia gramsciana) crei situazioni di conflittualità incontrollabile, come sta già avvenendo in alcune zone del Paese – ove la popolazione residente è, in certi casi, semplicemente esasperata – bisogna avere il coraggio di dire che non solo le quote di immigrati dovrebbero essere drasticamente ridotte, ma che si dovrebbe organizzare con maggiore buon senso e con molta maggiore efficienza l’inserimento degli immigrati regolari. Oggi assistiamo alle cose più sconcertanti: che un ragazzo africano, ad esempio, che non sa una parola d’italiano, può e anzi deve essere accolto in terza o quarta superiore della scuola pubblica; che un immigrato, trovato privo del permesso di soggiorno, può eclissarsi tranquillamente, ignorando la notifica di espulsione; che negli asili e nelle scuole pubbliche si evita di fare il presepio o di intonare canti natalizi per non “offendere” i sentimenti religiosi dei bambini di altra religione; e così via. Si aggiunga che gli immigrati, per ovvie ragioni, tendono a concentrarsi nei quartieri più poveri e che la loro presenza, a volte rumorosa e disordinata (come quando più nuclei familiari si stabiliscono in un piccolo appartamento, o come quando essi gestiscono locali pubblici in zone residenziali, restando aperti fino alle tarde ore notturne e disturbando la pace dei vicini) mette gravemente a disagio i cittadini ivi residenti, che già stentano a sbarcare il lunario e che si vedono gradualmente circondati ed “espulsi” dai loro rioni e dalle loro abitazioni. In tutti questi casi – e sono assai numerosi – il pericolo è che si vada verso una guerra tra poveri e verso una cultura dell’incomprensione e della chiusura reciproca. Al tempo stesso, le pubbliche amministrazioni sono vergognosamente carenti nel garantire un minimo di accoglienza e di dignità agli immigrati regolari. Li si espelle con la forza dalle abitazioni abusive, ma non si fa assolutamente nulla per assicurare loro un tetto decente sopra la testa; e, se li ospita provvisoriamente qualche vescovo o qualche prete di buon cuore, si critica quest’ultimo e lo si denigra senza ritegno. È successo e continua a succedere; basta leggere i giornali o ascoltare i notiziari del telegiornale – quando non sono troppo occupati a riferire gli sproloqui dei politici “ufficiali”, di destra e di sinistra, e i loro fioriti discorsi su un Paese che non esiste se non nella loro immaginazione. Insomma si consente l’ingresso di cifre impressionanti di immigrati, ma non si fa nulla per aiutarli ad inserirsi nella società civile: quando il problema dell’inserimento sarebbe già gravissimo (almeno in senso morale ed affettivo, come già detto) anche se fossimo in presenza di strutture idonee e di una politica dell’immigrazione responsabile e ben organizzata. E mentre la disorganizzazione e l’irresponsabilità continuano a imperversare, come se ci trovassimo di fronte a un’emergenza scoppiata ieri e non a un fenomeno ormai in atto da alcuni decenni, il disagio crescente generato da situazioni insostenibili alimenta vieppiù la demagogia forsennata di alcune forze politiche, quelle sì razziste e irresponsabili, che sanno vedere solo gli esiti del fenomeno ma non ne fanno una analisi complessiva; e che agitano con tremenda incoscienza la bandiera dell’intolleranza e perfino della provocazione. Non abbiamo forse visto un importante uomo politico italiano, che oltretutto ricopriva una caria istituzionale, esibire una camicia decorata con vignette che irridevano l’altrui fede religiosa? Paurosi effetti della totale insipienza di una classe dirigente che è venuta meno al suo compito fondamentale: cercare di conciliare il proprio interesse particolare con quello complessivo della società. La sesta ragione di perplessità è di tipo affettivo. Pur con tutti i suoi difetti, noi amiamo l’Europa, amiamo l’Italia, amiamo le nostre regioni, le nostre cittadine, la nostra bellissima natura (là dove si è parzialmente salvata dallo scempio edilizio e industriale degli ultimi decenni). In questo amore non vi è niente di esclusivista, di razzista, di xenofobo. Crediamo, anzi, che l’amore per la propria terra dovrebbe essere un requisito essenziale di qualunque società umana; e che non sia possibile amare il mondo se non si ama, prima, la propria terra; come non è possibile amare l’umanità se non si amano, in concreto, i propri vicini. Questo, ripetiamo, non è nazionalismo né campanilismo. Ora, amare la propria terra e la propria gente significa anche desiderare che esse continuino ad esistere, anche quando noi non ci saremo; e che i nostri figli potranno vivere in pace nei luoghi che abbiamo loro affidato, così come li abbiamo ricevuti dai nostri genitori e dai nostri nonni. È chiaro che dei cambiamenti vi saranno; nulla rimane uguale a se stesso. Tuttavia una cosa è convivere con la necessità di una trasformazione lenta e graduale, che salvi l’essenza della propria terra e della propria gente; e un’altra cosa è auspicare una trasformazione radicale, immediata, traumatica, che cancellerà ogni traccia del passato e farà piazza pulita delle cose più belle che i nostri antenati hanno elaborato nel corso della storia, a cominciare dal dialetto, dalla lingua e dal modo di vedere la vita. Ogni popolo, ogni comunità hanno un proprio modo di vedere la vita; e si tratta di una filosofia intraducibile. Quando si dice casa – anzi, cjase – a un friulano, non si dice la stessa cosa che si direbbe a un inglese, a un russo, a un giapponese, adoperando le parole delle loro lingue; si dice una cosa diversa. Una cosa che non si può spiegare, ma che esiste. È fatta di ricordi, di affetti, di sensibilità; e ciascun gruppo umano possiede la propria, frutto di un lentissimo processo storico e di una costante interazione sia con l’ambiente fisico, sia con gli altri gruppi umani. Un qualche cosa di intimo, di belo, di sacro: che non merita di essere gettato via, come un fardello ingombrante del passato. Noi siamo quello che siamo, perché siamo quello che siamo stati; e saremo quel che saremo, perché ora siamo quello che siamo e perché siamo stati quello che siamo stati. Al di fuori di questa consapevolezza, non vi è che la barbarie dello sradicamento, dell’anonimità, dell’omologazione senz’anima e senza radici.

  19. CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    Ascoltate tutti la mattina dalle 10, la trasmissione “GIORNO PER GIORNO” su RADIO TI RICORDI FM 99.0, condotta da LUCA CASCIANI, uno oltre che dichiaratamente schieratissimo, politicamente scorretto ed orgoglioso di esserlo.
    Come Noi!!!

    CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    Via A. Gramsci n. 155 00048 Nettuno (RM)

    ROBERTO MAGRELLI
    ANDREA MAGRELLI
    MICHELE SACCO
    PIERO SACCO
    CAROLINA DE CESARE
    RICCARDO ARBUSTI
    MARTA ARBUSTI
    LUCA DI NAPOLI
    VALERIO MARMO
    FABRIZIO MARMO
    RICCARDO DE CONCILIUS
    MARCO MALARBA
    GIULIANO DE SANTIS BUZZONIA
    STEFANO DRAGONA
    FRANCESCO RANIERO
    GIANCARLO FREZZA
    MAURIZIO MIRENGHI
    LUCIANO ESPOSITO

  20. I Pistoiesi sono indignati, perchè Romagnoli, parlerà in una sala intitolata a un partigiano……
    E chi se ne frega del partigiano… sai quante sale portano nomi di traditori….

    Questa e’ la democrazia in Toscana..dove tutti possono parlare, l’importante è non essere di Destra.

  21. Non vorrei deludere nessuno, ma io ovviamente considerei la sanatoria di Ferrero un fatto di civiltà e non il contrario. Sono appena reduce di una esperienza indicativa, una giornata passata ad aspettare il figlio di una tata peruviana arrivato in aereo dal perù, ma fermato come un pacco per ben due volte, a Madrid e a Roma, malgrado avesse i permessi di soggiorno in regola e persino un contratto… Solo i fessi posso pensare che questo mondo possa andare avanti con le coglionate del tipo “diamogli un lavoro a casa loro2, con le barriere, con le discriminazioni di chi pretende di fermare gli etracomunitari come gli americani fermavano noi cafoni italiani ad Ellis Island… Solo dei fessi liberisti o ottusamente reazionari possono considerare una cosa civile che una madre debba stare quattro anni senza vedere i suoi figli perchè non ha i olsdi per pagargli o pgarsi i biglietti, siamo andati a prendere Jorge, e ho capito cosa vuol dire la follia, quando lui le ha fatto vedere la fede, si era sposato prima di partire senza nemmeno che lei lo sapesse, perchè non voleva che si dispiacesse di non esserci… Non si capisce proprio perchè doremmo pensare di poter stare sulla fetta imburrata del mondo, senza dividere numma della nostra ricchezza, solo perchè siamo nati qui, e loro in un paese sperduto delle ande o dell’africa. ma non pretendo di convincervi, putroppo, nemmeno la sinistra istituzionale del piffero, ormai, crede più che i debiti dell’ingiustizia, nel mondo, debbano essere saldati. Jorge e sua madre andranno a dormire in un garage al Prenestino, e pagheranno 400 euro al mese per poter mettere due brande, per l’italiano che gli affitta la stanza è sicuramente un bell’affare. Io sono convinto che fra meno di mezzo secolo, l’ottusità dei retrogradi di destra e di sinistra che vogliono mettere le barriere frai poveri e i ricchi saranno ricordate come quella delgi schiavisti del secolo scorso, che quando teorizzavano le catene erano considerati perfettamente al passo con itempi.
    Detto questo vlgio dire a Stefano: sì, molti documenti sono stati già inquinati, alcuni fatti sparire, di altri addirittura – ad esempio i vecchi fascicoli del Sifar di De lorenzo – è stata già documentata la sparizione…. Detto questo c’è sempre qualcosa che salta fuori dagli archivi, perchè la memoria documentale, anche quella involontaria, è sempre un’arma micidiale.
    Luca

  22. Appurato tramite certificato sanitario che i prodotti campani sono sani, comprate i prodotti campani! “Fratelli d’Italia..fratelli de che?” solidarietà ai campani, la loro terra è fatta per l’agricultura non per le discariche. I termovalorizzatori sono altra cosa, se non sono nocivi vanno fatti.
    Il concetto di Nazione, ispirato dai massoni nell’ottocento è in crisi, ferma restando l’identità di un popolo per lingua, religione e cultura, nuove forme vanno cercate per valorizzare le differenze e le autonomie in un contesto europeo identitario.

    Poi, dato che mi prendo troppo sul serio,BASTA CON LE BUFALE ACCATTATEVI I TORI.

  23. Caro Luca Telese,
    si può provvedere a impaginare diversamente il Post e i conseguenti interventi?
    Io vedo un paginone spropositato e devo andare a dx. e a sx. continuamente per leggerlo.
    E’ solo un mio problema?

  24. valerioborghese

    il “bastardo” se la ride!!! a casa…..a casaaaaaaaaaaaaa

    http://fareladestra.blogosfere.it/2006/05/pecoraro-scanio.html

  25. ho anch’io lo stesso problema di PaoloN….sottoscrivo in pieno il post 21 di Luca sull’immigrazione!!!
    Riguardo al tema del forum….chiedo se ci sono altri documenti che potranno essere consultati e quando, sul caso Moro segnalo poi il libro di Bianconi appena uscito (qualcuno l’ha letto?) “eseguendo la sentenza” o un titolo simile, e so che anche Andrea Colombo sta lavorando ad un libro sull’affaire.

  26. Un errore avere concesso la sala Nardi, (partigiano Pistoiese), alla Fiamma Tricolore. (commento di un giovane di 23 ani di Pistoia.

    Un errore involontario, il permesso di concedere la sala, era da evitare; (commento della cgil e rifondazione di Pistoia).

    Un incontro da scongiurare (commento dei consiglieri di sinistra di Pistoia.

    Alla faccia della Democrazia, alla faccia dei soliti e bei discorsi sulla riappacificazione nazionale…da parte dei soliti esponenti della sinistra.

    Chi può, legga cronaca di Pistoia su La Nazione di oggi.

  27. CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    LE SFIDE DELL’IDENTITA’ EUROPA tra globalizzazione, fondamentalismi e cultura del pensiero unico.
    Dibattito organizzato da Azione Giovani venerdi 1 febbraio, ore 17,30, biblioteca comunale di Ostuni.
    “La presenza in Provincia di Brindisi del Console Professor Morganti al dibattito organizzato dalla Federazione di Azione Giovani – ha dichiarato Luca De Netto, Presidente Provinciale di AG – non rappresenta soltanto un’occasione di confronto per i ragazzi e per gli ambienti politici del centrodestra, ma è certamente un importante evento che può consentire al mondo della cultura, alle associazioni operanti nel sociale, al mondo economico e agli amministratori, di discutere e di approntare i giusti strumenti per rispondere alla globalizzazione mercatista, che rischia di soffocare l’Italia, in particolare il meridione, e l’Europa. L’unica risposta culturale forte ai cantori del liberismo globale viene dalla valorizzazione delle identità, percorso che, in ambito economico, si traduce in quelle nuove forme di colbertismo utili alla difesa degli interessi nazionali ed europei, come già sottolineato in più riprese anche da Giulio Tremonti e da Nicolas Sarkozy.” Le sfide dell’identità europea saranno infatti i temi centrali che verranno discussi ed alimentati dagli interventi del pubblico presso la biblioteca comunale di Ostuni venerdì 1 febbraio, a partire dalle ore 17,30, nel dibattito organizzato da AG in collaborazione con l’associazione internazionale “Identità europea”. “L’incontro che abbiamo organizzato con il Console di Romania, Prof. Adolfo Morganti, – ha continuato De Netto – tratterà inoltre dei vari fondamentalismi che minacciano l’Europa e che non sono solo quelli che trasformano le religioni in messaggi deviati e devastanti, ma anche quelli di quei sessantottini, strenui difensori dell’Occidente edonista e progressista, folgorati dalle imprecazioni xenofobe e devianti di Oriana Fallaci, che vorrebbero intraprendere presunte nuove crociate contro la Civiltà Islamica, senza conoscere neanche una parte di quel mondo. Vi sono poi i fondamentalismi laicisti, scientisti, razzisti, relativisti e illuministi, e che nascono da un’unica matrice ideologica che affonda le sue radici nei nuovi dogmi sorti dal 1789. Da qui, la critica al pensiero unico di stampo “liberal-individualista”, che vorrebbe omologare Popoli e Nazioni sotto un’unica bandiera ed un solo modello, critica che la nuova destra politica deve saper intercettare e canalizzare nelle forme delle risposte concrete alle società post-moderne, e tramite la valorizzazione e la promozione delle radici cattoliche, spirituali e greco-romane della nuova Europa.”

    Questo per rispondere a Telese

  28. CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    riguardo al post 21 chiaramente

  29. ROBERTO MAGRELLI

    In politica, come a ruba mazzo, conta la tempistica, perché vince chi mette per primo sul tavolo la carta giusta. Ed eccole qui, in rapida successione, le due scene che meritano di essere ripassate in moviola da chi vuol conoscere in anticipo quale sarà con ogni probabilità l’epilogo dell’esplorazione che ora sta conducendo Franco Marini. Palazzo del Quirinale: il presidente del Senato, preceduto dallo scampanellio delle grandi occasioni, annuncia di aver accettato l’incarico, sia pur “gravoso”, di verificare l’esistenza, in Parlamento, di una maggioranza che voglia insieme con lui fare la riforma elettorale per poi dare subito uno stop alla legislatura. Ad aprile o a giugno non si sa. Ma ecco che, mentre Marini ancora parla solenne, arriva in cuffia ai telecronisti la decisione, in simultanea ed altrettanto solenne, di tutti i senatori dell’Udc di casa Casini di impiombare definitivamente questo tentativo ancor prima che esso veda la luce.

    Il passaparola supera, in un lampo, il muro dei corazzieri, ma è troppo tardi perché come può ormai un Marini già ufficialmente incaricato tirarsi indietro? Del resto, chi fa opera di scavo per conoscere alcuni dei motivi che hanno portato a questo ennesimo, ma quasi certamente inconcludente, giro di tavolo, scopre magari cose che certe cronache di palazzo si guardano bene oggi dal mettere in piazza. E non c’entra nemmeno tanto il Capo dello Stato il quale, per le responsabilità che la Costituzione gli assegna, non poteva forse agire diversamente. I motivi sono altri – due soprattutto – e si intrecciano strettamente con la strategia che Walter Veltroni sta da tempo cercando di attuare e che lo scioglimento immediato delle Camere rischia ora di far saltare. Il primo è che, senza una nuova legge elettorale come quella che aveva all’inizio cominciato a tessere con Silvio Berlusconi, la sua creatura, cioè il Partito democratico, rischia non solo di non avere una sufficiente spinta propulsiva ma di perdere anche, costretto di nuovo ad affondare nei miasmi delle vecchie alleanze con l’estrema sinistra,gran parte di quella autonomia (“vado da solo”) che avrebbe dovuto essere il vero appeal elettorale della nuova formazione politica. E il fatto che almeno un terzo del Pd si sfreghi oggi le mani per questo suo insuccesso, certo non lo rincuora. Ma il secondo motivo vale quanto il primo perché Veltroni non digerisce nemmeno che a condurre la danza elettorale sia, da palazzo Chigi come presidente del Consiglio di un Governo dimissionario ma sempre in carica per gli affari correnti, proprio un personaggio come Romano Prodi, che è la causa prima del tracollo di consensi subito dallo schieramento di tutto il centrosinistra nell’arco dell’ultimo anno. Difatti, è inutile raccontarsi storie: i due ormai si odiano e per giustificabili motivi. Prodi odia Veltroni perché lo considera il vero responsabile dello sfracello della sua coalizione. E Veltroni lo ricambia della stessa moneta perché, a sua volta, lo giudica responsabile di una politica di Governo che ha fatto fuggire a gambe levate una larga fetta di elettori.

    E, in più, dovrebbe fare la campagna elettorale con l’immaginetta prodiana alle spalle? Questo sì che è davvero troppo. Per Veltroni. Ma, visto che questo è lo scenario, c’è o no ancora un barlume di speranza di riformare qualcosina prima del voto? Pare proprio di no. E un diverso ragionamento rischia ormai di sciogliersi in un mare di se. Se Veltroni avesse preso il coraggio a quattro mani e avesse battuto i pugni sul tavolo al momento opportuno, quando, ad esempio, pareva essere arrivata quasi sulla pista di decollo l’intesa bipartisan su un certo progetto di riforma, allora sì che avrebbe avuto qualche chance in più. Ma, ricattato in ogni modo da Prodi, è stato costretto a fermarsi sulla soglia e i suoi tanti avversari non aspettavano proprio altro per spingerlo ancora più indietro. E se Prodi avesse abbandonato il campo un anno fa, tirando le fila della sua devastante politica, allora sì che si sarebbe messo in moto un confronto, in Parlamento, sulla riforma elettorale e forse anche su qualcos’altro. E se poi, come aveva proposto Berlusconi subito dopo questo, per la sinistra, assai claudicante risultato elettorale, Prodi avesse accettato di confrontarsi su un’ipotesi, più che motivata dai numeri, di grande coalizione… Ma Prodi questo è, e lo sa pure Veltroni. Il guaio per la sinistra è che lo sanno anche gli elettori.

    CENTRO STUDI NUOVO RISORGIMENTO

    Via A. Gramsci n. 155 00048 Nettuno (RM)

    ROBERTO MAGRELLI
    ANDREA MAGRELLI
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    PIERO SACCO
    CAROLINA DE CESARE
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    FRANCESCO RANIERO
    GIANCARLO FREZZA
    MAURIZIO MIRENGHI
    LUCIANO ESPOSITO

  30. giuliano de santis buzzonia

    I membri del consiglio direttivo di Cubalibera aderiscono al Popolo della Libertà. Ne ha dato notizia Luciano Serasini, presidente dell’associazione.
    Cubalibera è una associazione italiana da molti anni attiva per sostenere coloro i quali si battono, a Cuba e in Italia, contro la dittatura comunista di Fidel Castro. Nel sito cubalibera.org si possono vedere gli esiti del lavoro di questa associazione, che lotta pacificamente con metodi dettati dalla legalità contro le dittature per il sacrosanto rispetto dei diritti umani e che diffonde la verità odierna e reale sugli intendimenti di chi oggigiorno anche nel nostro paese appoggia, sostiene e sovvenziona queste e altre sanguinarie dittature, che non hanno nessuna ragione di essere.

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