Archive for febbraio, 2009

Beffa FascioFuturista

feb 26 2009 Published by admin under Blog

L’ULTIMA BEFFA FASCIOFUTURISTA MADE IN CASAPOUND: “IL TRANS P.D. VUOLE DIVENTARE SUORA”

Luca Telese, il Giornale

L’ultima beffa «Fasciofuturista», arriva dai Castelli. Sarà che è carnevale, sarà che sono tempi di identità politiche incerte, sta di fatto che quelli di Casapound hanno pensato bene di diffondere un comunicato tarocco, inoculando nella rete dei media una di quelle storie un po’ splatter che di solito suscitano la famelica curiosità dei programmi di intrattenimento leggero: «Un rappresentante di ceramiche di 45 anni, le sue iniziali sono P.D., ha confessato al parroco la sua omosessualità e il desiderio di diventare donna e farsi suora». Meraviglioso, intrigante, morboso al punto giusto, tutti pronti a interpellare il sociologo e il sessuologo. Peccato che non fosse vero nulla.

Così, le tre agenzie che ieri hanno abboccato all’amo (una incredibilmente anche dopo la smentita!), hanno fatto la gioia dei concorrenti che hanno mangiato la foglia. E l’Adn Kronos si è tolta la soddisfazione di svelare l’arcano: «A Carnevale ogni scherzo vale. Una burla, ben riuscita, è quella che ha messo a punto Casapound che ha tratto in inganno anche qualche organo d’informazione». Dobbiamo confessarvi che incredibilmente noi lo avevamo capito. Non perché siamo particolarmente scaltri, ma perché conosciamo bene lo spirito goliardico degli animatori della rete Casapound, il gusto per la truffa mediatica, l’azione spettacolare: a volte ironica, a volte vagamente squadristica, sempre irriverente e trasgressiva.

E ovviamente il nostro smagatissimo capocronaca – uno che la goliardia della destra la conosce bene – aveva sentito puzza di bruciato, quando aveva letto la spiegazione fornita da Massimo Carletti, portavoce dei casapoundisti dei Castelli: «P.D. ha scelto il mese mariano proprio per la profonda fede che lo contraddistingue in un panorama nichilista povero di virtù e avaro di ideali. Lui – continuava ispirato Carletti – ha molte virtù e un forte ideale cristiano che proprio la Chiesa vorrebbe negare. Come tornerà dal Paese europeo dove effettuerà l’intervento, espletate le pratiche anagrafiche e burocratiche del caso, P.D. non dovrà subire alcun ostracismo che lo ostacoli nel suo sogno: entrare in convento». Ennò, era troppo.

Ed infatti, alle 17.27, Carletti spiega a Omniroma l’intento sarcastico della beffa: «Non pensavamo che la vicenda di P.D. suscitasse tanto clamore – rivela il portavoce di Casapound -, eppure la vicenda era già sotto gli occhi di tutti, almeno da sabato, quando alla fiera di Roma P.D. ha maturato la sua scelta: passare dalla parte della Chiesa, senza se e senza ma». I fasciofuturisti attaccavano: «Non sappiamo se la scelta è maturata per una questione di espiazione di peccati del passato, di sincera e assoluta fede, oppure per l’opportunismo di accomodarsi e affiancarsi alla struttura ecclesiale, che trova sempre un posto per tutti. P.D. per noi. Partito Democratico per tutti gli altri. Il partito che cambia pelle ogni due settimane ha scelto la fede. Scelta confermata anche nel nome del nuovo segretario: quel Franceschini che fa tanto ordine monastico».

Così sarà il caso di compilare un piccolo inventario delle scorribande satiriche-e-non all’attivo dei seguaci della testuggine corazzata (il simbolo delle Case d’Italia) per capire cosa si nasconda dietro questa strategia comunicativa: la prima che ha fatto il giro delle televisioni è stata la devastazione della Casa del Grande Fratello. Non attacco simbolico, ma demolizione pezzo a pezzo, con tanto di documentazione video su You Tube. L’assalto, giustificato con la condanna del consumismo televisivo, trovò una ammiratrice insospettabile in Daniela Santanchè, che invitata a dissociarsi ad Annozero gridò: «Sono meglio i ragazzi di Casapound che assaltano la casa, dei clienti del Billionaire!» (Essendo il locale in questione di sua proprietà, l’affermazione aveva un certo costo). Il secondo atto clamoroso fu l’affissione di un manifesto con una foto di avanguardisti del Ventennio in armi, associato, per voluto contrasto, allo slogan para-pubblicitario, «Sostieni la squadra del cuore». Seguì anche la materializzazione della squadraccia, con tanto di camion d’epoca e lancio di volantini, per le vie di Roma. I Casapoundisti furono meno felpati quando dopo una trasmissione di Chi l’ha visto? sui fatti di piazza Navona (che ha onor del vero non li diffamava affatto) assaltarono – anche qui non metaforicamente – i girelli di via Teulada, introducendosi nella fortezza della Rai (la Sciarelli era già fuori, altrimenti chissà che incontro).

Sempre i ragazzi del Blocco studentesco si schierarono armi in pugno a piazza Navona, durante i giorni dell’Onda, ma stavolta non era uno scherzo. E per il trentennale di Acca Larenzia sfilarono con dei tamburi colorati bianchi e rossi che erano una copia esatta (anche questo lo capirono in pochi) di quelli della Hitlerjugend immortalati da Leni Riefensthal. A Casapound è di casa Graziano Cecchini, il fasciofuturista per eccellenza che tinse di rosso la fontana di Trevi (per criticare la Roma veltroniana), scaricò palle colorate su piazza di Spagna, oscurò Castel Sant’Angelo.

Sempre lì raccoglie successi l’unico vero monologhista di area, «il Paolini nero» Miro Renzaglia: militante duro negli anni di piombo, apprezzato performer gaberiano oggi. Nella casa madre di via Napoleone III, a Roma, l’atrio colorato con il Pantheon degli artisti, dei politici e dei pensatori di riferimento (mica quello di An con Pavarotti e Mogol) ha incantato, a sorpresa, persino Giampiero Mughini: «Beh, c’è Evola, c’è Brasillach, io mi sento a casaaaa!». E molti pensarono a uno scherzo quando si diffuse la notizia che l’ospite di un convegno era l’ex brigatista Valerio Morucci. Invece era vero, «Vengo da nemico», esordì, e la sera si chiuse fra applausi scroscianti. Se cerchi un filo conduttore, in tutto questo, lo trovi nello slogan preferito: «Non conformarti». Casapound non ha avuto successi elettorali (per ora), ma nel cadeverificio della politica virtuale, è riuscita a ritagliarsi uno spazio.

Ps. Qualcuno dica all’Ansa, che ancora alle 19.33 ribatteva per la quarta volta (!) la notizia, e alle 20.11 divulgava temerariamente una intervista esclusiva a P.D, di mandare uno stagista a via Napoleone III.

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Morucci a Casapound

feb 07 2009 Published by admin under Blog

VALERIO MORUCCI A CASAPOUND PER PRESENTARE IL SUO ULTIMO LIBRO – FOLLA DA STADIO PER L’EX BRIGATISTA CHE DICE: “SONO VOSTRO NEMICO MA VI RICONOSCO LA DIGNITà DI UOMINI” – BARBARA ZICCHIERI: “MORUCCI DICA LA VERITà SULL’ASSASSINIO DI MIO FRATELLO”

Luca Telese, il Giornale

L’ex brigatista nel centro sociale nero. Valerio Morucci a Casapound. Il dibattito impossibile suscita dibattito prima ancora di celebrarsi. E così, da tre giorni, i giornali pubblicavano articoli su questo evento. Ieri, nel centro sociale di destra più famoso d’Italia, a Roma, c’era una folla maivista. Sala piena, circuito chiuso, persone che s’affollano nei corridoi per carpire qualche frammento del dibattito. A discutere con l’ex telefonista delle Br, un parterre molto assortito: un intellettuale eretico come Giampiero Mughini, uno studioso della destra radicale proveniente da Potere operaio come Ugo Maria Tassinari, un intellettuale di destra della generazione trentenne come Angelo Mellone. Ma la tensione è così alta che appena Morucci prende la parola una ragazza sviene per un calo di zuccheri. Il dibattito, a quel punto della sera, era già iniziato da un’ora. Una lunga attesa che Morucci non delude. Inizia a parlare molto lentamente, dosa le parole, ma arriva subito al nodo: «Io sono qui perché sto combattendo una battaglia per la libertà di parola».

La prima notizia è che il primo intervento dell’ex brigatista viene salutato dalla platea – prevalentemente composta da ragazzi di destra – da tre applausi a scena aperta. Dice Morucci: «Io sono qui, e devo spiegare perché. Io sono un uomo, ma anche un ex terrorista. Per la società non conta il mio presente, ma conta il mio passato». Un’altra pausa, più lunga: «Sono qui come nemico perché le vostre proposte per cambiare la società sono opposte alle mie idee. Io sono qui e rappresento solo me stesso. E un’altra cosa: la mia storia, che però su questo argomento ha un certo peso». Morucci racconta che cosa è successo dopo che è stato contattato dai ragazzi di Casapound: «La decisione è stata facile, la scelta un po’ tribolata. Ci sono stati degli ostracismi…». Poi, con un cambio di passo, una battuta: «Non ne ho tenuto conto. So che qui si usano altre locuzioni storicamente più note, ma io non le uso». È un riferimento al me ne frego, la platea coglie l’ironia e parte il primo applauso. Il ghiaccio è rotto, ma Morucci torna al registro serio: «È un discorso difficile quello di stasera. Ci sono troppe tragedie, troppi morti, non si possono usare parole fuori luogo. La mia è una testimonianza, non mi pongo sopra gli eventi, serve ad offrire delle interpretazioni degli eventi a cui ho preso parte». Poi, un passaggio autocritico che riscuote un altro applauso: «Non ho mai avuto remore. Quando la mia libertà di pensiero e di critica è entrata in conflitto con la mia fede, io ho rotto con la mia fede». Tutti capiscono che Morucci parla del suo abbandono delle Brigate rosse, la rottura sulla scelta di uccidere Moro. E lui ricorre a un piccolo colpo di teatro. Solleva la fotocopia di un vecchio giornale, Il Messaggero del ’79: «Io, in un volantino firmato Brigate rosse, criticavo l’omicidio di Guido Rossa: questa è la pagina, guardate». Poi una polemica con lo storico Miguel Gotor che sulla Stampa, il giorno prima dell’incontro, aveva detto che quello di Morucci era il ritorno a casa di un dannunziano: «Andatelo a dire a quello storico…».

Poi, un altro passaggio pronunciato con tono di voce basso, con grande lentezza: «Io che ho discriminato e che ho ostracizzato sono venuto a dire che nessuno deve essere ostracizzato e discriminato». E, quindi, una personale spiegazione sulle ragioni del conflitto degli anni di piombo: «La discriminazione arriva a cancellare l’identità dell’altro fino al punto di annullare la dignità del nemico. A quel punto la sua dignità non è più nulla, è una sottospecie umana e porta alla soppressione del nemico». Un’altra pausa: «Io ho aderito a questo schiacciamento nel nulla dell’identità del nemico. Sono qui per dolermi di avervi aderito e ovviamente per lanciare un guanto di sfida». Poi, un altro strappo: «Era una guerra? Io credo di no. Era – rincara la dose Morucci – una pratica di pulizia etnica. Non si è ucciso solo il nemico che si aveva di fronte, ma si è andati a cercarlo nelle case».

La fine di questa riflessione viene salutata da un altro applauso. Ed anche gli altri relatori portano provocazioni e spunti diversi per il dibattito. Mughini: «Non ci penso neppure a dirmi antifascista, non so nemmeno cosa significhi. Ma se l’antifascismo oggi è l’idea che bisogna togliere la parola a qualcuno, mi chiedo, allora che cazzo di antifascismo è?! È solo cretineria». Mughini interloquisce senza peli sulla lingua: «Noi siamo qui anche per dire che Valerio nel ’72 era un cazzone sesquipedale. Ma che oggi nel duemila punto nove è una persona diversa, che ha pagato un prezzo per le sue scelte». Il polemista più noto della tv italiana dice che si sente a casa fra i poster di Brasillach, di Evola, di Berto Ricci e di Luciano Bianciardi che decorano la sala del dibattito. E aggiunge: «Non ha senso chiedere di mettere gli ex brigatisti sulla sedia elettrica, ma bisogna ascoltare la loro testimonianza. Superare la tragedia degli anni di piombo – continua – significa superare l’idea della violenza». Provoca Mellone: «Per me gli anni ’70, sono stati anni brutti, anni in bianco e nero. L’incontro di oggi dovrebbe essere salutato come un gesto di liberazione». Tassinari: «La ferocia della violenza politica degli anni di piombo aveva un senso, tutti si assumevano il dolore delle proprie cattiverie. Quella del branco di oggi no». Mughini insorge, Morucci scuote la testa. Il dibattito è iniziato da appena un’ora, c’è tutta una notte per discutere.

*****

«Io a Casapound non ci sono andata. E se ci fossi andata… mi sarei avvelenata». Barbara Zicchieri, sorella di Mario, un ragazzo missino ucciso nel 1975 a Roma, spiega perché lei e sua madre, Maria Lidia sono scandalizzate per l’incontro fra l’ex brigatista e i giovani del centro sociale della destra romana. Ieri Barbara ha scritto una mail molto appassionata per spiegare il suo disagio: l’ha inviata alle agenzie, ai Tg e diversi giornalisti, fra cui chi scrive.
Perché condanna quel dibattito?
«Vede, mio fratello è stato ucciso da un gruppetto che ha fatto la sua prova del fuoco su due ragazzini, sparando con un fucile a pompa. È morto dissanguato. Per quel delitto sono stati processati un gruppo di militanti del cosiddetto Co.co.ce, una formazione extraparlamentare che agiva nelle periferie romane. Il principale imputato era Valerio Morucci».
Che però fu assolto.
«Condannato in primo grado, assolto in secondo. Ma tra i due processi, precipitò il caso Moro».
Perché lo vuole ricordare?
«Ai magistrati Morucci serviva – e infatti lo fece – per ricostruire la dinamica del sequestro Moro. Visto che i giudici ignorarono i testimoni oculari che lo avevano riconosciuto, ci siamo convinte, io, mia sorella e mia madre, che, data la sua dissociazione dalle Br e la sua collaborazione, lo abbiano giudicato con un occhio più benevolo».
Quindi volete perseguitare Morucci?
«Al contrario. Vorremmo solo verità da lui. Pensi che mia madre gli fece un’offerta pubblica: se avesse detto tutto quello che sapeva sulla morte di Mario, si sarebbe battuta per la sua riabilitazione, fino a mettersi in strada con i cartelli».
E come andò a finire?
«Con una gelida dichiarazione di Morucci all’Adn Kronos contro mia madre: “Dicesse, dicesse…”. Sembrava una presa in giro, non ce lo siamo dimenticate».
Perché secondo voi Morucci non ha detto tutto?
«Quando una volta lo sentii dire di mio fratello: “Zicchieri? Non mi ricordo questo ragazzo, ne sono morti tanti…”, mi vennero i brividi. Ma come, era stato processato per quel delitto e non se lo ricordava? Sono convinta che protegga qualcuno, qualcosa, forse se stesso, forse dei suoi ex compagni».
E non comprende un atteggiamento come questo?
«No. Credo che sia omertoso. E che sia un ostacolo alla risoluzione del problema che questo Paese ha, con la memoria degli anni di piombo».
Lei cosa ha fatto?
«Ho scritto persino a Fini. Ma solo per un bisogno simbolico: Mario era sua amico».
Che cosa chiedete ai ragazzi di destra?
«Di non celebrare la memoria di nostro fratello e degli altri ragazzi caduti solo negli anniversari. Di non mettere anche loro le vittime nel dimenticatoio, e i carnefici sugli altari».
Ma ha provato a spiegarglielo?
«Ho scritto ai dirigenti di Casapound una mail. Mi hanno risposto: “Ci abbiamo parlato noi, Morucci è sincero”».
Ne sono convinti, evidentemente.
«Temo che in questo modo non si faccia giustizia. Noi non vogliamo vendette. Ma nemmeno una amnistia maldestra in cui ci si lava le mani fra ex nemici, con un gesto che non è coraggioso né nobile: perché trascura ciò che ci sta più a cuore: la verità».

LuTel

Foto | repubblica.it

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