Archive for luglio, 2008

Anarchici vs Autonomi

lug 30 2008 Published by admin under Blog

BOLOGNA DEI DINOSAURI – PESTAGGI TRA ANARCHICI E AUTONOMI, CON VAGO RETROGUSTO DA FAIDA CALABRESE – L’INSULTO RECIPROCO: “SIETE DEI RIFORMISTI VENDUTI ALLO SCERIFFO COFFERATI E ALLA POLIZIA”…

DAL NOSTRO INVIATO
BOLOGNA — «Compagni, qui un limite è stato superato, che traslittera in assoluto il piano da quello della, seppur aspra, dialettica politica, all’estraneità ad un futuribile percorso di movimento condiviso».
Anche se lo scorrevole eloquio potrebbe trarre in inganno, non si tratta di una mozione di minoranza presentata al congresso di Rifondazione, ma di un comunicato messo in rete a fine maggio dal centro sociale Crash. Qui si va ancora più a sinistra, dentro a una rissa tutta bolognese tra autonomi e anarchici che fa molto anni Settanta, ma fuori tempo massimo, con l’aggiunta di un vago retrogusto da faida calabrese. I duellanti sono quelli di Crash, presidio ultra antagonista dell’Emilia alternativa, e il centinaio di giovani anarchici che si sono riuniti intorno al collettivo Fuoriluogo. L’accusa reciproca è di essersi venduti al sistema, venendo a patti con il bieco sindaco sceriffo (Sergio Cofferati) oppure intrattenendo rapporti con la Polizia durante le manifestazioni. L’ambito titolo di «duro e puro» viene conteso a forza di agguati con mazzate, e ogni tanto capita che tra i danni collaterali vada inserito qualche civile di passaggio, ancora pervicacemente ancorato all’idea di vivere nel 2008.
Nell’ultima informativa inoltrata in Procura, oltre ad identificare una dozzina di «combattenti» equamente distribuiti tra le due fazioni, la Digos parla di «probabile escalation destinata ad innescare una ulteriore spirale di atti violenti», e paventa «l’alto rischio» che la contesa «non rimanga limitata al solo territorio bolognese». C’è molta preoccupazione, anche perché alcuni militanti, intercettati nell’ambito di altri procedimenti, al telefono fanno presente la necessità di armi da fuoco per dirimere la contesa. «Clima davvero pessimo» dice Valerio Monteventi, consigliere comunale e «garante» del movimento bolognese, uno che gli anni ’70 li ha vissuti.
«Crash piange perché papà Coffy gli ruba il giochino». La scritta sul muro, apparsa lo scorso ottobre durante un corteo, segna l’inizio ufficiale della resa dei conti, almeno secondo il dossier della questura. Al Crash sapevano bene che lo sfottò, accompagnato da qualche coro di «riformisti di m…», arrivava dagli anarchici, ma diedero la colpa alla Lega Nord, aspettando di lavare i panni sporchi in famiglia. Da allora, è stato tutto un crescendo. Ogni manifestazione, e a Bologna ce n’è praticamente una al giorno, diventa un patema d’animo per poliziotti e partecipanti neutrali. Ma anche una quindicina di pestaggi notturni rimasti senza autore sono attribuibili direttamente alla faida.
Per stare agli ultimi due mesi, il 18 maggio un ragazzo di Fuoriluogo viene aggredito con tirapugni e spranga. Finisce al Pronto soccorso con la testa aperta, ma non sporge denuncia. Il 26 maggio una trentina di persone entrano al centro Fuoriluogo, nel quartiere San Vitale, e picchiano a sangue cinque ragazzi, tra le quali due donne, entrambe con il setto nasale fratturato. In mezzo a queste due date alcuni militanti di Crash subiscono agguati sotto casa. Il 9 giugno, durante la diretta di Italia-Francia, si fanno le cose in grande. Due pullman Mercedes si fermano davanti alla sede di Crash, in fondo a via Zanardi. Scendono una ventina di persone, tutte vestite di nero, con il volto coperto, armate di bastoni e bombe carta. Quelli del centro sociale si chiudono dentro. Parte l’assalto, e — tra gli altri — ne fanno le spese due «civili» che stavano visitando un laboratorio fotografico all’interno dell’edificio, rispettivamente 20 e 30 giorni di prognosi, fratture di naso, zigomo e braccia. Lo scorso 5 luglio, al pacifico corteo per i diritti dei migranti, le due fazioni si presentano equipaggiate di catene e spranghe. Vetrine infrante, una dozzina di auto danneggiate, altrettanti contusi. Il resto del movimento bolognese si premura di annullare un paio di manifestazioni previste a metà mese.
Il «limite della dialettica politica» citato nel documento di Crash è stato ampiamente superato anche per la Procura, che ha aperto un fascicolo con ipotesi di reato che vanno dal danneggiamento alla violenza privata passando per le lesioni gravi. C’è anche il favoreggiamento, perché in certi ambienti ci si spacca la testa, si finisce all’ospedale, magari dopo aver devastato il locale di qualche poveraccio che non c’entra nulla, ma con gli «sbirri» non si parla. «Omertà totale» dicono alla Digos. Siccome la sede di Fuoriluogo è in una casa privata, dopo l’ennesima rissa gli agenti hanno bussato alla porta. Ha aperto l’intestatario del contratto di affitto. Naso rotto, occhi neri, braccio al collo. «Sono caduto mentre facevo le pulizie di casa». Più che nei «favolosi» anni Settanta, sembra di stare nell’Aspromonte di due secoli fa.
Marco Imarisio (Corriere della Sera)

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Marina Petrella

lug 25 2008 Published by admin under Blog





La necessità del carcere

(fc) Al marito che le fa visita nell’ospedale psichiatrico Sainte-Anne a Parigi, Marina Petrella confida: “Solo il mio cadavere tornerà in Italia” alludendo alla possibilità di non arrivare viva in Italia a causa delle sue controverse condizioni di salute.
Per la figlia Elisa la donna “è malata: soffre di depressione e tendenze suicide”. Per i medici francesi, invece, l’ex Br “non è in fin di vita: la sua prognosi è buona, ed è ben curata”. Eppure, secondo Hamed Merakchi, la moglie è “molto, molto indebolita”: “Assomiglia ai detenuti dei campi di concentramento. È debole – ha riferito ieri al termine della visita – come una vecchietta ha provato ad alzarsi in piedi, ma non c’è riuscita e l’ho dovuta aiutare a risedersi”.
Al momento lo status giuridico della Petrella è “detenzione sotto decreto di estradizione”. Il decreto contro l’ex militante delle Br è stato firmato, infatti, dal Primo ministro Francois Fillon lo scorso 3 giugno ma, l’attuazione, sembra essere ritardata dalla deposizione di un ricorso alla Corte d’appello da parte dell’avvocato della donna Irene Terrel.
In Italia, l’aspetta il carcere a vita secondo quanto deciso dalla magistratura che, nel 1988, al termine del processo Moro ter, la condannò per il coinvolgimento nel caso Moro e le addebitò tutti gli attentati compiuti dalle Brigate rosse a Roma dal 1977 al 1982. Nel 1992, poi,  l’ergastolo per l’omicidio di un agente di polizia, per tentato sequestro e tentato omicidio, per sequestro di un magistrato, per rapina a mano armata e vari attentati.
E’ ciò che merita, d’altronde, chi si è reso protagonista di simili vicende e simili delitti. Non ci piange il cuore, quindi, nel sostenere che il carcere resta l’unica soluzione per “Virginia”. Certo, vanno verificate le sue condizioni di salute. E’ il caso, infatti, che, come proposto dai parenti delle vittime, una commissione medica valuti attentamente la sua reale situazione psico-fisica. L’ipotesi di una sofferenza strumentale che annulli la giustizia è inaccettabile. Chiamateci pure giustizialisti ma un’ex terrorista non può essere considerata un’eroina o una martire degna di compassione e pietà se la sua depressione diventa una farsa, un escamotage per sfuggire alla pena che giustamente le è stata inferta per le sue scelte e le sue azioni seppur compiute durante quella stagione buia degli anni di piombo.

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