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Il sol dell’avvenire / 2

ago 08 2008 Published by admin under Blog

Bondi: “Quel film è filo-Br”.
Scontro sui fondi di Rutelli

LUCA TELESE, IL GIORNALE

Verrà proiettato al Festival di Locarno solo domani. Ma già da ieri, intorno a Il sol dell’avvenire, film del regista Gianfranco Pannone sugli anni di piombo e sulla nascita delle Brigate rosse, tratto da un libro del giornalista e saggista Giovanni Fasanella, si è accesa la polemica. A innescarla è una dichiarazione infuocata del ministro della Cultura Sandro Bondi che, dopo una visione serale e privata, sceglie di attaccare la pellicola per il suo contenuto: «Ho provato un senso di amarezza e di sconcerto – dice il ministro – per una ricostruzione che dà voce esclusivamente ai protagonisti di un’ideologia criminale che tante sofferenze ha provocato a tante famiglie».

Le parole di Bondi, dunque, pesano doppiamente, sia perché pronunciate alla vigilia della proiezione al festival. Sia perché il ministero dei Beni culturali appare come patrocinatore e finanziatore del documentario, al pari della «Emilia Romagna Film commission». Il ministero è intervenuto con un fondo di circa 250mila euro, approvati – come tiene a precisare Bondi – durante il mandato del precedente ministro, Francesco Rutelli.

Eppure, la storia e la genesi di libro e film sono molto complicate. Il realtà, il documentario di Pannone (apprezzato per il suo precedente Latina/Littoria) e Fasanella, è la trasposizione sul grande schermo della prima parte di un saggio-intervista uscito per la Rizzoli tre anni fa, Che cosa sono le Br. Un testo che all’epoca aveva suscitato molte critiche, ma di parte brigatista, diventando il pilastro bibliografico della teoria secondo cui, la più importante formazione della lotta armata in Italia, sarebbe stata «manipolata» ed «eterodiretta». Una tesi avvalorata dalla testimonianza di Franceschini (uno dei fondatori) e molto contestata da tanti ex terroristi che vedevano in questo «offesa» la reputazione della loro ex organizzazione. Il secondo punto forte del libro è la tesi dell’«album di famiglia» che unisce il Pci emiliano, la memoria resistenziale e le formazioni armate degli anni settanta, cuore del documentario.

Per questo gli autori scelgono di far incontrare a pranzo cinque ex militanti della Fgci di Reggio Emilia, per cercare di far emergere, come in un pranzo di autocoscienza, le ragioni che avevano portato alcuni (Roberto Ognibene, Tonino Paroli e lo stesso Franceschini) alla scelta del terrorismo. Altri (Paolo Rozzi e Annibale Viappiani) alla militanza politica e sindacale. Una scelta che era parsa opportuna, ai primi critici che hanno avuto modo di visionare la pellicola, a partire da Il Secolo d’Italia, organo di An, che metteva in risalto – in un fondo della corsivista Annalisa Terranova – la sottolineatura del legame fra ex partigiani e i futuri brigatisti. E che invece pare inaccettabile all’ex presidente dell’associazione delle vittime Berardi. È lui a segnalare la pellicola a Bondi. Ieri il direttore generale per il Cinema, Gaetano Blandini, diffondeva in una nota parole che spiegavano la genesi del finanziamento e recepivano una critica di Bondi: «Sulla base delle direttive ricevute dal ministro Bondi, per il futuro chiederemo anche alle associazioni dei familiari delle vittime del terrorismo di aiutarci nella valutazione di progetti riguardanti analoghe tematiche».

Adesso non è chiaro cosa accadrà del film dopo il passaggio a Locarno. La casa di produzione, infatti, aveva preso un accordo di massima con l’istituto Luce, che avrebbe dovuto distribuire il film nelle sale. Ma gli stessi autori (vedi Fasanella) temono che le polemiche possano far saltare l’accordo. In questo caso il destino de Il sol dell’avvenire sarebbe segnato: uscirebbe (in tempi molto rapidi) nella versione home video in libreria, per la casa editrice Chiare lettere, che ne ne ha già comprato i diritti. Il che vuol dire che Il Sol dell’avvenire potrebbe sorgere in libreria. Ma non in sala.

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Petrella story

ago 06 2008 Published by admin under Blog

La Francia libera Marina Petrella brigatista condannata per omicidio

Così ha deciso la Corte d’appello di Versailles sulla richiesta di scarcerazione dell’ex brigatista, ieri ricoverata all’ospedale Saint-Anne di Parigi per problemi di depressione e tendenze suicide.
A motivare questa scelta le numerose perizie mediche e psichiatriche, l’ultima di appena quattro giorni fa, in cui le condizioni di salute della Petrella erano definite «incompatibili con il suo stato di detenuta», perchè necessitavano di cure costanti in una struttura specializzata. Nella situazione attuale, invece, pur essendo ricoverata in un ospedale psichiatrico l’ex brigatista non può essere sottoposta a terapie, ma solo ricevere le cure d’urgenza. Petrella, condannata in Italia all’ergastolo in contumacia per l’assassinio di un commissario e altri reati, rischia comunque l’estradizione verso la Penisola. Nelle scorse settimana il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto al suo omologo italiano Giorgio Napolitano di concedere, in caso di estradizione, la grazia alla donna a causa delle sue condizioni di salute.
La decisione rasserena la famiglia e i membri del comitato di sostegno agli ex-terroristi italiani rifugiati in Francia, presenti in gran numero nella piccola aula in cui la sentenza è pronunciata, ma non interrompe l’iter dell’estradizione.
«Sono molto emozionata e felice – ha dichiarato all’uscita dal tribunale la figlia maggiore della Petrella, Elisa Novelli, nata in un carcere italiano 25 anni fa – per la decisione del tribunale, che consente a mia madre di ritrovare il gusto della libertà. La nostra battaglia però prosegue, perchè il procedimento di estradizione sia interrotto e la nostra vita francese possa ricominciare».
Il timore principale, spiega, è che in caso di ritorno in Italia Marina Petrella rimanga in carcere per tutto il resto della vita: «Fine pena mai, è così che lì definiscono l’ergastolo».

(da "Il Tempo")


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L’esilio parigino dei brigatisti

E ieri con la sentenza a favore di Marina Petrella questi reduci delle Brigate Rosse mai pentiti e dissociati sperano nel ritorno in Francia della «dottrina Mitterrand».

Tra i «rifugiati» nomi di spicco degli Anni di piombo. Sulla loro testa condanne da oltre vent’anni all’ergastolo. Nel 2002 l’allora ministro di Giustizia del governo Berlusconi, Roberto Castelli aveva annunciato una «linea di rigore» per «riportarli nel nostro Paese». Ma sono circa 200 i terroristi italiani (170 di sinistra, il resto di destra) latitanti all’estero. Ferite aperte, quelle degli anni di piombo, che periodicamente tornano a sanguinare.

E proprio la Francia, tra il 1978 ed il 1982, diventò meta di una vera e propria migrazione: 4-500 esponenti della composita galassia eversiva italiana (alla fine degli anni ’70 si contavano oltre 200 sigle) si riversarono Oltralpe confidando nella dottrina Mitterrand. Il presidente francese aveva infatti promesso che «nessuno sarebbe mai stato estradato, qualunque fosse stata la decisione dei tribunali francesi». Sulle rive della Senna si è così formata una vera e propria comunità di latitanti, provenienti dall’estrema di sinistra. Il personaggio più rappresentativo, vero e proprio punto di riferimento per gli altri compagni, è stato l’ex leader di Potere Operaio, Oreste Scalzone.

In terra francese ci sono personaggi come Simonetta Giorgieri e Carla Vendetti, sospettate di contatti con le nuove Brigate Rosse. Vivono dalle parti di Lione.; Sergio Tornaghi, legato alla colonna milanese delle Br; Roberta Cappelli, della colonna romana; Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi; Enrico Villimburgo, altro brigatista condannato all’ergastolo nel processo Moro ter. E ancora, Giovanni Alimonti, Enzo Calvitti, Maurizio Di Marzio, Vincenzo Spanò, Massimo Carfora, Walter Grecchi, Giovanni Vegliacasa, Francesco Nuzzolo, Giancarlo Santilli, Gianfranco Pancino.

Di molti di loro si conoscono residenze e abitudini. Qualcuno vive a Parigi, altri nella campagne del Sud. Ma dopo l’arresto di Cesare Battisti in molti hanno scelto destinazioni meno comode ma più sicure. Così i «rifugiati» sono partiti per mete esotiche in Sud e Centro America. I residenti più illustri, sono Alessio Casimirri e Manlio Grillo in Nicaragua e Achille Lollo in Brasile. Anche nel campo del terrorismo nero, il latitante più illustre è sicuramente Delfo Zorzi, militante di Ordine Nuovo, condannato all’ergastolo per la strage di Piazza Fontana è diventato cittadino giapponese, con il nome di Roi Hagen, bloccando così i tentativi di estradizione.

Maurizio Piccirilli – Il Tempo

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