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Brescia, foto choc della strage

set 02 2008 Published by admin under Blog

Brescia, foto choc della strage

Brescia – Una foto ingiallita rivela che in piazza della Loggia a Brescia probabilmente c’ era anche uno dei principali sospettati, Maurizio Tramonte: assistette da vicino allo strazio dei familiari degli otto morti. Aveva appena smesso di piovere dopo lo scoppio della bomba, alle 10.12 del 28 maggio 1974. S’ era formato un cordone a protezione di un uomo, inginocchiato accanto al cadavere di Alberto Trebeschi, 36 anni, insegnante, militante del Pci. L’ uomo che lo piange è il fratello, Arnaldo. Ha saputo che anche la cognata, Clementina Calzari, 32 anni, è morta. Un fotografo dello studio Eden fa clic. Dietro al cordone, tra una donna e una pertica posta di spalle, il sindacalista Fiom Piero Faverzan, s’ intravede un tizio minuto, i capelli a caschetto. La foto ne immortala il lato destro del viso. Si nota male ad occhio nudo, ma più di trent’ anni dopo una perizia antropologica, ordinata dalla Procura di Brescia, e redatta dal professor Luigi Capasso, è giunta alla conclusione che si tratta di Tramonte, "la fonte Tritone" infiltrata dal Sid in Ordine Nuovo. Uno degli organizzatori dell’ eccidio, secondo i magistrati. Il 25 novembre inizia il terzo processo per la strage di piazza della Loggia, uno dei buchi neri della strategia della tensione. è l’ ultima chance per accertare la verità. Otto croci, decine di feriti, tre precedenti dibattimenti finiti con un nulla di fatto, cinque istruttorie, l’ ultima durata tredici anni e aperta nel 1993 dalle dichiarazioni di Donatella di Rosa, Lady Golpe. Solo per cristallizzare la testimonianza dell’ accusatore principale, Carlo Digilio, "Zio Otto", ci sono voluti diciotto mesi. Gli atti d’ indagine sono un Everest di 750 mila documenti. Fotocopiarli è costato 45 mila euro all’ Associazione delle vittime, operazione finanziata con somme uguali da Comune e Provincia di Brescia e Regione Lombardia. Tuttavia, a complicare il tutto è la natura indiziaria del dibattimento, che durerà due anni almeno: non sarà facile giungere ad una condanna. Lo "Zio Otto", ritenuto credibile dalla Cassazione, nel frattempo è morto. Tramonte, nativo di Camposampiero (Padova), è uno dei sei imputati, insieme a facce note dell’ eversione nera come Delfo Zorzi (prima condannato e poi assolto per piazza Fontana), Carlo Maria Maggi, Giovanni Maifredi, il fondatore di Ordine Nuovo Pino Rauti, l’ ex generale dei carabinieri Francesco Delfino. Quando partì l’ ultima inchiesta fece ammissioni importanti, ricostruì lo scenario, illustrò i preparativi messi a punto in un’ abitazione di Abano Terme, e fu perciò ammesso ad un programma di protezione. Ma nel maggio 2002 ritrattò tutto con un memoriale, scagionando Zorzi, (da tempo riparato in Giappone, dove fa l’ industriale tessile). Per la Cassazione la ritrattazione non è credibile, così Tramonte si ritrova imputato di concorso morale in strage. Una figura obliqua. Pare abbia iniziato a fare la spia a 15 anni. Ne aveva 21 il giorno della bomba. Oggi fa immobiliarista a Brescia, dove convive con una donna polacca e prende il caffè in un bar di via Cavour, lo stesso frequentato da Manlio Milani, che in piazza della Loggia perse la moglie, Livia Bottardi. I due si squadrano, ma non si salutano. E’ davvero l’ uomo della foto? «Tramonte lo smentisce categoricamente» fa sapere il suo avvocato, Mita Mascialino. Scrivono di lui i pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni: «Partecipò alle riunioni in cui l’ attentato veniva organizzato, offrendo la sua disponibilità a collocare l’ ordigno». S’ accollò l’ incombenza un ordinovista di Ferrara, Giovanni Melioli. Anche lui è morto, nel ’91. La perizia del professor Capasso consta di 98 pagine. Ha più volte sovrapposto una vecchia fototessera in bianco e nero di Tramonte con la foto della piazza, sezionando come un entemologo ogni ruga, gli zigomi, il naso, le labbra, la fronte, fino a giungere a «un positivo giudizio d’ identità». Anche se il professor precisa che «pesano alcune carenze informative, che impongono prudenza». Manlio Milani conserva la foto con Tramonte in una vecchia busta. La estrae e la guarda. Non dice niente. Ha 70 anni, ben portati. La storia della strage l’ ha raccontata decine di volte. Era un martedì. Manifestazione indetta dai sindacati e dal comitato permanente antifascista per protestare contro una serie di attentati avvenuti in città. La sinistra è reduce da due conquiste storiche: la vittoria al referendum per il divorzio e i decreti delegati, che allargano la democrazia nella scuola. Milani e i suoi amici fanno parte di un gruppo di insegnanti impegnati nella Cgil. La sera prima si sono visti a cena, a casa di un amico, Piero Bontempi, reduce dal congresso della Cgil scuola. E’ una cerchia cementata dalla comune consonanza politica: Milani e Trebeschi sono del Pci. Giulia Banzi milita in Avanguardia operaia. Il marito, Luigi, fratello del banchiere Giovanni Bazoli, invece è assessore comunale dc. Hanno condotto insieme la battaglia per il divorzio. «La prima volta che ci siamo trovati d’ accordo in politica». Hanno tre figli di otto, sei e quattro anni. Un figlioletto i Trebeschi, Giorgio, di un anno e mezzo. La manifestazione inizia alle 10 in punto. La bomba è celata in un cestino, sotto i portici. Alle 10,12 il boato. Alla fine si conteranno cinque insegnanti morti, di cui tre donne. Giorgio Trebeschi è cresciuto con lo zio Arnaldo. E’ un dirigente della Banca d’ Italia, lavora in Brasile.
Concetto Vecchio

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Le disavventure della moglie di Almirante

ago 28 2008 Published by admin under Blog

La Versiliana lascia a casa Donna Assunta.

E lei: disordini? Non ho paura

ROMA – Le sarebbe piaciuto salire sul palco e discutere di ‘ 68 e dintorni, nell’ incontro del 30 agosto per il quale aveva ricevuto – dice il presidente della Fondazione Versiliana Massimiliano Simoni – un invito informale. Ma niente da fare: viste le contestazioni del 19 – quando tra un gruppo di militanti di sinistra e alcune persone del pubblico erano scoppiati tafferugli alla presentazione di un libro di Franco Servello su Almirante – Donna Assunta è diventata ospite poco gradita. O meglio, Simoni si è visto «costretto» a ritirare l’ invito: «Sarebbe stato un incontro interessante, niente affatto celebrativo. Ma ne ho parlato con questore, autorità, e mi hanno spiegato che avrebbero dovuto inviare almeno 50 poliziotti per garantire la sicurezza, e non si può trasformare un evento che è anche per le famiglie in un fortino…». Dunque, niente da fare: «Ho chiamato Donna Assunta, le ho detto che l’ invito è ritirato. Ed è un gran peccato: lei doveva venire per il libro di Servello, ma per impegni personali non ha potuto, e adesso finisce così…». Lei però, l’ agguerritissima vedova Almirante, dal Trentino dove è in villeggiatura, ha l’ aria di chi, più che sentirsi offesa, si sente pronta a sfidare il mondo: «Se non vado, è perché questo invito non l’ ho mai ricevuto, checché ne dica Simoni, altrimenti sarei andata anche a piedi ad affrontare questi "contestatori"… Ma figuriamoci se mi mettono paura quattro ragazzotti, o quattro vecchiotti che siano, con tante che ne ho passate nella vita. Io non ho paura di niente e di nessuno, e chi mi tocca a me? Se volava qualche pugno, sarebbe stato tra i contestatori, a me nemmeno servivano 50 poliziotti a protezione: io non sono mai stata contestata, tantomeno aggredita, ma sempre rispettata da tutto il popolo italiano. La gente è più avanti di queste beghe, e l’ avrei detto anche agli eventuali contestatori: "Ma vi pare che possiamo stare a litigare sul ‘ 68 oggi, con tutti i problemi che ha l’ Italia? Qui c’ è da discutere su come arrivare a fine del mese, altro che di storia. Storia che conta, certo, e che va ricordata con rispetto. Ma oggi, è tempo di pacificazione, lo dicono tutti». Tanto che, Donna Assunta, andrebbe senza tentennamenti «ovunque, dalla Festa dell’ Unità a quella di Bertinotti, magari mi chiamassero!». Ma la Versiliana… «Non vado dove sono sgradita, altrimenti mi sarei precipitata: per dire a quei "nemici" che mi aspettavano che è giunto il tempo in cui ci si può tranquillamente stringere la mano».

Paola Di Caro, Corriere della Sera

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