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29 Maggio 2009
Qualcuno era comunista

“Povero Achille, che notte dura. Ci sono le stelle, tante da far paura. Ah Tortorella! Raccontami ancora la favola bella. Ah, Ingrao! Raccontami ancora dello Zio Mao”. È nei versi di un anonimo pasquino, distribuiti di notte sulle sedie dei delegati al XIX e ultimo congresso del PCI, che ritroviamo la cifra del libro bello e alluvionale che Luca Telese ha dedicato alla svolta del 1989-1991. Da oggi in libreria con un titolo preso a prestito da Gaber (“Qualcuno era comunista”, Sperling & Kupfer, 22€) il giovane notista del Giornale e conduttore di Tetris dedica quasi ottocento pagine a raccontare la commedia umana, prima che politica, che travolse il comunismo italiano sotto la frana del muro di Berlino. Lo psicodramma che definì i binari comportamentali lungo i quali si sarebbe mossa la sinistra italiana nei vent’anni successivi. Sì, fino ad oggi. Perché anche se molti dei protagonisti di queste pagine sono ormai scomparsi o da tempo in silenzio, è impossibile non riconoscere in quel passaggio la fucina di molti dei modelli antropologici con i quali siamo alle prese ancora ai nostri giorni.

Tra gli elementi minori ma sempreverdi c’è ad esempio il protagonismo del “partito della satira che fa da pesce pilota al partito della politica”, come scrive Telese, con Michele Serra che assume dalla tribuna di Cuore il ruolo di guardiano ondivago della purezza morale insieme comunista e postcomunista. E quindi di colui che sfoggia disprezzo rituale per il riformismo migliorista a pochi mesi dalla svolta (“Se questa epoca storica pretende la scomparsa del comunismo, benissimo. Ci sono tante cose che possiamo fare, possiamo andare a pescare. Non possiamo però diventare quello che vuole Giorgio Napolitano, una sorta di partito repubblicano camuffato”, dirà nel marzo 1989 intervistato da Beppe Severgnini) ma che si precipita subito dopo a rassicurare il suo mondo  sull’opportunità della mossa di Occhetto (“Credetemi, compagni, è meglio così”, il titolo di un suo celebre editoriale dell’Unità). Ci sono poi i prodromi di quello che avremmo chiamato girotondismo, in quei mesi incarnati dall’ala più intollerante della Sinistra dei Club che con Paolo Flores d’Arcais vede nella svolta l’occasione per liberarsi sulla sinistra di ogni partito quale che fosse. Lo stesso Flores che già in quei mesi diffonde liste di proscrizione abbondanti ancorché ecumeniche: “Vorrei un partito in cui non ci fossero Chiarante, Borghini, Corbani, Michelangelo Russo, Lama e Ranieri, Ingrao, Tortorella e Magri”, avrebbe detto al Corriere della Sera nel luglio 1990 pensando forse di accelerare il rinnovamento ma finendo per calcificare la contrapposizione tra Sinistra dei Club e il nuovo partito che andava nascendo.

Ma tra i comportamenti di allora che suonano ancora familiari c’è naturalmente molto di più classicamente politico. Quel politico che Telese fotografa con la lente del collezionista dei piccoli gesti che parlano più dei migliori discorsi, e dunque con un metodo giornalistico che nel suo caso è figlio tanto del leggendario cannocchiale di Giampaolo Pansa quanto della spietata microveggenza di Francesco Merlo. Per centinaia di pagine seguiamo quindi le orme di coloro che Luciano Lama chiamava nel 1990 “i dorotei comunisti, quelli che danno poca importanza ai contenuti e pensano soltanto al potere”, capitanati da un D’Alema già in pista per il comando e impegnato a ricucire sempre e comunque tra le varie anime di un PCI in via di inevitabile frantumazione. O anche la fissità della pregiudiziale antisocialdemocratica che accompagnò tutto il corso della trasformazione dal PCI in PDS, la stessa che impedì al nuovo partito di scegliere la strada allora ancora vitale del socialismo europeo e che oggi Livia Turco ricorda con disarmante franchezza: “Io non avrei mai accettato una Svolta che fosse semplicemente socialdemocratica. Non avrei potuto accettare di abbandonare il comunismo per… così poco”. Così come nasce in quel frangente la frenesia con cui si scelse e si sceglierà di fondare nuovi partiti invece di dedicarsi al ben più difficile mestiere di elaborare nuove proposte politiche, mentre ritroviamo in queste pagine il ritornello “Questo non è un nuovo partito, ma un partito nuovo” che ha accompagnato fino alla noia la nascita del PD.

L’apocalisse comunista, raccontata da Telese con la stessa capacità ossessiva che ha fatto del suo precedente “Cuori Neri” un libro di culto per un pezzo negletto d’Italia, è dunque una galleria di grandi velleità e piccoli fallimenti. Sullo sfondo di uno psicodramma che avrebbe rappresentato l’ultimo grande spartiacque della storia della sinistra italiana, dopo il quale niente sarebbe più stato uguale a prima ma che ci avrebbe consegnato un dopo destinato a rimanere sempre uguale a se stesso. Un libro costruito sulla premessa sentimentale di una superiorità berlingueriana che non fa i conti con le tare precisamente berlingueriane di cui questa classe dirigente non si è mai liberata. Ma anche per questo un libro-miniera che non si può evitare di leggere, come la migliore introduzione al ventennale del 1989.

Andrea Romano – il Riformista

 

Luca Telese
QUALCUNO ERA COMUNISTA
pp. 756 – € 22,00
Sperling & Kupfer
www.qualcunoeracomunista.it

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34 commenti »

  1. Non mancherò di leggerlo. Ti do una dritta per un prossimo eventuale libro: che ne dici dei morti “rossi” degli anni di piombo?

  2. Maro Matte, ne sono già usciti tre, di libri su quel tema, e fra l’altro fatti male.
    Luca

  3. Bene! Allora adesso si può attivare la macchina delle presentazioni a raffica? :)

    Ciao Luca!

  4. caro luca, complimenti per il libro davvero ben fatto, completo e corretto nel descrivere l’aria c’era nel PCI nel 1899. (io ero iscritto a Campitelli a roma e il congreso di sezione fu drammatico)
    L’ho trovato sabato al libraccio a Milano (dove vivo) e l’ho letto d’un fiato! Ho solo un appunto da farti; non era TRESSO il collaboratore di Gramsci, ma un’altro dei 3 espulsi nel 1930; Leonetti che in effetti lavoro’ all’ ORDINE NUOVO con sua moglie Pia Carena e comunque era un giornalista quindi mi sembra un po azzardatro definirlo collaboratore di Gramsci.
    Detto questo volevo complimentarmi per 2 cose innanzititto per il lavoro editorialie che stai sviluppando con la collana della memoria , tirando fiuori libri belllissimi e ormai introvabili libri e al tempo stesso per la tua attività di libraio; ogni volta che scendo a Roma non mi perdo mai una visitina alla tua libreria “il corsaro” (lhai chiamata cosi per l’episodio che citi nel libro?) sempore fornita di materiale introvabile e speciale.

    Un solo appunto che ci fa uno icosi al Giornale?
    Complimeti e in bocca al lupo!

    stefano

  5. Caro Stefano,
    grazie mille per la tua mail, ma metto subito su QUalcunoeracomunista.it. Ho una proposta. Perchè questo ricordo del congresso Campitelli non me lo metti nero su bianco così ne facciamo un post su quel sito? Mi piacerebbe raccogliere decine di memorie personali della Svolta.
    Luca

  6. Ciao Luca…finalmente un nuovo libro…non vedo l’ora di leggerlo….
    baci

    ps: chissà se ti ricordi di me…

  7. Ammetto che sono alla fase “sfogliamento a scrocco” in libreria, ma mi sembra molto interessante. Però vorrei fare una precisazione. Quando ho letto che “L’attimo fuggente” uscì in Italia all’inizio del 1990 ho fatto un salto, perché questa notizia mi faceva crollare un mito personale. Classe 1970, ho fatto la maturità durante piazza Tienanmen, e ho iniziato l’università a Bologna 4 giorni dopo il crollo del Muro (poche ore dopo la Bolognina, la mattina del 13 novembre, assistevo alla mia prima lezione, in piedi, in un’affollata aula di via Centotrecento). Ma sto divagando. Tornando al film, mi ero sempre ricordato di essere andato vederlo il sabato 4 novembre, il giorno della grande manifestazione di Berlino: quei ragazzi che salivano sui banchi, erano i nostri coetanei che pochi giorni dopo salivano sul Muro. Possibile che mi fossi sbagliato? Così ieri sono andato in biblioteca e ho controllato: “L’attimo fuggente” era nelle sale di Ravenna da metà ottobre a metà novembre 1989. Sono salvo! Ciao

  8. Di questi tempi sono impegnato in diverse cosette, ma appena avrò un po’ di spazio correrò ad acquistare il tuo ultimo libro per leggerlo tutto d’un fiato, anche se temo che mi deprimerà oltremodo quando verrò a conoscenza di ulteriori fatti negativi di certi personaggi politici in cui nel tempo riposi la mia fiducia. Anche se qualche volta non sono in completa sintonia con te e non mi è chiaro il tuo ruolo di giornalista in determinate collocazioni, ti saluto con stima. Elio, detto Manico d’ombrello.

  9. Cara Monia.
    sei Monia Novelli?

  10. Caro Elio-Manico, la frase “GIornalsita in determinate collocazioni non mi è chiara.
    Luca

  11. l’amico si vede nel momento del bisogno, il pd in quello dei bisogni…

  12. momento di crisi generale, Berlusconi fronteggia le emergenze ma il pd non ci sta e fa una richiesta “mostruosa” con Franceschin junior: il governo risolvi ora pure la crisi del pd…

  13. Non c’entra nulla ma ecco la risposta fresca fresca di Rupert Murdoch a Berlusconi…

    http://www.youtube.com/watch?v=8gECek5ygRw

  14. La verità, vi prego, sulla Sinistra:

    Ci sono due ragioni per le quali non ho votato a Sinistra, differentemente dal mio colore politico, la prima è personale, la seconda è generale:

    1) giovane pubblicista, fui contattata da alcuni del Partito (si era sotto le politiche del 2008) per la presentazione di un libro.
    All’ epoca ero in rotta con quel satiro del mio settantenne direttore (non lavoro per Mediaset, ma la cosa ultimamente è una tendenza che va consolidandosi) per cui il mio posto era più che traballante.
    Ero competente in materia, anche troppo – avendo lavorato per diverso tempo per la Commissione UE, al fianco della allora Eurocommissaria Ferrero-Waldner (Relazioni internazionali, in particolar modo coi paesi terzi).

    Bene, dopo un primo avvicinamento, il Partito mi propose di presentare un libro trattante l’argomento immigrazione.
    Accolta la proposta, ringraziai, mi preparai, etc.
    Dopo una settimana, l’ “e-mail”: “cara compagna, per motivi di visibilità, abbiamo deciso di affidare la presentazione del libro al giornalista XY” (maschio, barone figlio di barone, con tanto di SOLIDISSIMO impiego in RAI, versus femmina, precaria, in mobilità a vita seppur con 100 specializzazioni al riguardo, chi poteva vincere, secondo voi?)
    Non li ho votati. manco per sogno.
    Chissà se il baronetto ha fatto altrettanto…

    2) Governo Prodi, interventi pro-impiego-precario da parte della Sinistra massimalista? Nessuno.

    Voti? Nessuno.

    E arrivederci e grazie.

    Cosa ci chiedono, al netto dello zero assoluto prodotto per noi precari in anni e anni di amministrazione, persone come Vendola, Fava, Bertinotti etc?
    Ci chiedono FEDE, non fiducia, non rappresentanza, ma un atto di assoluta e cieca FEDE.

    Fortunatamente sono ATEA.
    Chi ho votato?
    Emma Bonino e un’altra donna candidata da noi nelle isole.
    Ehh.. vabbè, peccato non siano uscite !!!
    Eppure la mia partecipazione politica non si ferma qua.

  15. Caro Telese, un grande libro davvero e non solo per le dimensioni, le centinaia di pagine si leggono tutte d’un fiato con grande leggerezza, come se ci si trovasse di fronte ad una pellicola di storia. Io nel ’89 avevo 18 anni e dopo Dp ho scelto Rifondazione, con la “famosa” assemblea del Brancaccio del febbraio 1991, a cui ho partecipato dalla provincia dopo ore di treno. Ho avuto modo e tempo per non votare e anzi rifiutare il Pci: cosa di cui vado fiero, molto piú di avere creato Rifondazione comunista, devo dire. A quella epoca non avevo certo seguito nel dettaglio la Svolta occhettiana,e il suo libro è davvero una miniera. La cosa che più risalta sono i protagonisti di oggi della sinistra visti all’opera lì: niente di nuovo. I compagni di scuola di Romano mettono tristezza anche allora, il loro nichilismo di dorotei comunisti è impressionante. Il D’Alema della riunione di Ariccia che intrallazza con il No, dicendo che la Svolta è da correggere perchè é stata fatta malino, è la fotocopia del D’Alema della amalgama non riuscita del Pd, che strizza l’occhio a sinistra perchè tutti gli altri fanno un altro gioco. La cultura del Pci, politica ma anche dei singoli dirigenti, sembra davvero roba di gente che guardava Happy days. Che dire, grazie di averci dato questo spaccato, forse allora qualcuno avrebbe dovuto gridare “con questi qui non vinceremo mai”, dopo era già tardi. (carlo, Pesaro).

  16. Complimenti Luca Telese, un altro libro che aiuta i più giovani a conoscere la storia della politica recente…le bussole possono aiutare, nel momento di una nuova, auspicata, Svolta.

  17. Lei vota PRC e scrive sul Giornale? Mah. Personalmente non sono mai stato comunista e sono rimasto fermo al socialismo dei Pertini, ma se facessi il suo mestiere, con le idee che ho sulla destra e su Berlusconi, troverei molto difficile trovar posto in testate come quelle… Capisco che mestiere e idee politiche dovrebbero restar separati ,ma francamente a tutto c’è un limite. Ma forse il motivo per cui Belpietro la digerisce senza problemi, a parte la sua indiscutibile bravura, è perchè lei, prima ancora che simpatizzante di PRC, è rimasto un figlio degli anni ottanta, spensierati e disimpegnati, che al resoconto del comizio preferisce quello del concerto di Simon Le Bon (faccio per dire) .Non è una critica la mia, attenzione, è solo un’impressione, sicuramente sbagliata. In fondo non è che ci sia poi qualcosa di male a vivere la politica come mero divertissement, osservando in tv con l’occhietto corrivo i politici di opposti schieramenti che se ne dicono di tutti i colori :-)

  18. Caro francesco, il mio “occhietto” non é mai corrivo, esterrefatto, semmai. Il mio presidente era pertini. E non avrei mai sposato simon le bon, perché a 14 anni mi commuovevo ascoltando hacia la libertad degli inti-illimani. Se vuole avere un saggio della mia leggerezza si legga le 700 pagine di qualcuno era comunista, poi ne riparliamo.
    Luca

  19. Mi è già capitato di commentare sul blog di A Romano il libro. Sono grato a Telese per avere riempito il buco nero dei miei 3 anni (87-90) vissuti per lavoro in California. Ho trovato il libro (semplicemente bevuto in 4 giorni, già molto pieni di altre attività) di un ritmo trascinante. L’ho confrontato con i 2 migliori libri di Le Carrè (La spia che venne dal freddo e La Talpa) e con i migliori libri di spy story di Erica Ambler, per me un gigante del genere. Mi sono trovato alla fine delle quasi 750 pagine con lo stesso senso di: “Già finito? E quando ancora?” che mi aveva lasciato il primo libro della trilogia (svedese) di Millennium. “Quando ancora un’avventura con Lisbeth Salander?”. Chissà perchè leggendo oggi le mosse di Dalema, la prima impressione che ne ho è: “L’ha già detto, l’ha già fatto, ha già fallito, ma perchè non si suicida?”. E pensare che il “Velista” a me sta simpatico, perchè almeno c’ha un po’ di spina dorsale, in mezzo a tante simpatiche “amebe”. Così svampite e così pleonastiche. E io li ad aspettare, dopo i tempi dei Socialisti; e dovere finire con Berlusconi, come tanti simpatizzanti Socialisti, può magari non essere sempre il Massimo (no Dalema non ce l’ho con te).

  20. Ciao caro Luca. Tu non mi conosci. Ma mi fa’ piacere riferirti che qualche anno prima che tu frequentassi la Sezione del Pci e della F.G.C.I. di Cinecitta’ est, io per un lungo periodo ne sono stato il segretario. Segretario di uno dei piu’ numerosi circoli della FGCI di Roma (nel 1976-77 quasi 450 iscritti di cui piu della meta’ donne). Nilde Jotti mi fece i complimenti come pure Giorgio Amendola quando accetto un invito partecipando ad una iniziativa al Giovanni Da Verrazzano (scuola secondaria superiore) dove ero segretario di una cellula composta da 30 iscritti e 200 simpatizzanti.
    ….oggi ho acquistato il tuo libro e lo leggero’ con molta attenzione.
    ….cio’ che penso della disastrosa situaziuone politica italiana e’ che la cosa piu’ grave e’ rappresentata dal fatto che gli eredi (molti di essi) di Enrico Berlinguer hanno tradito grandi e nobili idee alimentando quella che lo stesso Berlinguer definiva la degenerazione della politica……e lo hanno fatto per “conquistare” qualche miserabile poltrona…….
    ……Proprio in quella Sezione riconsegnaia da segretario la mia ultima tessera nel 1981 in occasione di una riunione con la presenza del vicesegretario del PCI romano Piero Salvagni dove denucia l’inizio della fine del PCI e della sinistra……
    ………….ho molte cose da dire e se vuoi mi puoi contattare tramite posta elettronica………
    Un forte abbraccio
    Pietro Iazzetta

  21. Bene, ne prendo atto con piacere.. Ma coerenza vorrebbe che le sue idee orientate a sx trovassero riscontro in ciò che scrive sul Giornale o dice in tv, mentre lei mi pare che si guardi molto bene dal farle trapelare. Francamente non credo che ormai abbia bisogno del Giornale per vivere. Mi perdoni, Telese, ma Lei è quel che una volta si chiamava “una bella penna” ed è un peccato che debba esser costretto a fare il pesce in barile per rispetto alla linea editoriale del suo datore di lavoro..

  22. Caro Francesco,

    evidentemente lei non ha un’idea chiara di quello che fa un giornalista, e delel divisioni di ruoli che esistono nel nostro mestiere. Io faccio il cronista, e non l’editorialista. Quindi le mie “idee, orientate a sinistra”, non devono trovare nessun riscontro al giornale, ma nemmeno a l’unità (se ci scrivessi), almeno in quanto “orientate”. Chi fa il cronista racconta quello che vede: può essere divertito, ironico, glaciale, o partecipe, ma le sue idee non influenzano il modo in cui racconta.
    Esempio: non è che se sono di sinistra faccio sconti a quelli che voto, va bene? Se poi mi chiedono una mia opinione, da libero cittadino, la esprimo. Quando me la chiedono (e me la chiedono spesso) io la esprimo in piena libertà, senza nessuna reverenza sulla destra, sulla sinistra e sul centro. Non trova?
    Luca

  23. Caro Telese,
    ho finito ieri il tuo libro QeC e devo scriverti!
    Parto dall’inizio: ho visto il volume alla fnac e immediatamente sono stata attirata dal titolo (fino a poco tempo fa nel mio soggiorno era appesa una cornice con il testo integrale della canzone di Gaber e sono stata tra i fortunati che l’hanno ascoltata cantare da lui in teatro anni fa); dunque lo prendo, leggo l’aletta della sovracoperta e poi leggo la frase in quarta di Gianni Marchetto, uno di quelli che ho considerato e considero un mio maestro e quindi – senza indugi – compro il libro. L’ho letto d’un fiato in tre giorni. Adesso che l’ho finito sono doppiamente orfana. del PCI e del tuo libro…ma ti racconto qualcosa di me affinché tu mi possa collocare.
    Sono di Torino, ho 47 anni e sono stata iscritta al PCI fino al suo scioglimento, prima alla FGCI, prima ancora ai Pionieri: la fortuna di avere avuto dei genitori comunisti e anche dei nonni comunisti, anche un bisnonno per la verità.
    La vicenda che racconti con sapienza, acume, intelligenza, giusti approfondimenti e un po’ d’ironia fa parte della mia vita, anzi è stata la mia vita. Nel 1989 facevo parte della direzione provinciale torinese del PCI e al congresso di Bologna era una giovane delegata della mozione n. 2 del NO; non parlai in quell’occasione perché – per quanto avessi dalla mia alcuni atout (giovane, donna, del NO), un’altra compagna con le stesse caratteristiche ma pure valdese risultò ancora più rappresentativa e parlò un po’ anche per me. Il ricordo di quel Congresso, malgrado siano passati 20 anni, è nitido; le cronache dell’epoca che hai rispolverato, unitamente alle testimonianze dei protagonisti uno squarcio nella memoria.
    Come puoi immaginare dalla Bolognina in avanti ho partecipato alle giornate di Passione (sia maiuscolo che minuscolo) che hanno caratterizzato quei mesi, i lunghissimi dibattiti nelle sezioni, le riprese di Nanni Moretti, i Congressi di sezione, ho visto compagni – amici fraterni per una vita – che non si parlavano più e in quei giorni ho conosciuto Marchetto: anch’io come lui, dopo il PCI non ho più preso nessuna tessera. Ho sempre votato Rifondazione, poi l’Arcobaleno, poi Sinistra e Libertà….ma non ero una giovane burocrate, ero una di quelle che si arrabbiava, che si appassionava ai temi “nuovi”, una che stava gìà con Vendola allora (ai tempi della FGCI l’ho persino ospitato a casa mia per una notte, tanto eravamo poveri per le spese di rappresentanza..)
    Ma per tornare a tutto ciò che tu descrivi ottimamente anche grazie al continuo alternarsi dei resoconti avanti e indietro dal dopoguerra alla fine del PCI, quello che voglio dirti è che hai interpretato davvero un sentimento, anche una posizione politica che credo non sia solo mia, ma di tanti che quel periodo hanno vissuto! Telese hai ragione! È andata così
    C’ero alle feste di Tango prima e di Cuore poi a Montecchio, c’ero ai funerali di Berlinguer, c’ero alla manifestazione contro il taglio alla scala mobile del 1983, ma c’ero anche alla grande manifestazione contro i missili a Comiso, come ai cortei studenteschi del 1977 e successivi a Torino, c’ero in quei giorni a Bologna quando per la prima volta si vide un politico piangere su un palco, c’ero ad applaudire Ingrao (sono tra quelle che ha letto le sue poesie, prima che i suoi saggi), c’ero e con me tanti che adesso non ci sono più, in nessuna delle diaspore del PCI: Sergio Garavini era un amico di mio padre, mia mamma da ragazza nel primo dopoguerra ha fatto delle vacanze “eroiche” con Ugo Pecchioli…io stessa sono andata al Liceo al D’azeglio, come tanti padri illustri della mia città e non solo. Ho discusso Ferrara e con Novelli quando giovane figiciotta avevo idee mie su droga e repressione. C’ero ancora nell’entusiasmante campagna congressuale quando come giovane, donna e pure del NO, ho parlato ovunque, anche prima di Bertinotti in un affollatissimo Teatro Alfieri a Torino…
    Tuttavia la mia non è una storia speciale: conosco decine di persone che ne hanno avute di simili e che adesso sono solo più incazzate, più sole, più deboli, più tristi. Non siamo e non eravamo intellettuali, ma siamo persone che mettono la cultura più in alto del denaro, la solidarietà prima del profitto. Siamo cresciuti sapendo di essere diversi e con la convinzione di dover dare un valore a quella diversità: i concetti base del marxismo, di Gramsci fanno parte del nostro DNA; siamo quelli a cui i nostri genitori dicevano che tutto è politica (che voleva dire che tutto discende da una scelta di campo) e che la politica NON è una cosa sporca, ma è lo strumento attraverso cui passa la liberazione e la libertà. Siamo quelli che le storie della Resistenza le hanno sentite prima raccontare in famiglia, poi in sezione o al circolo e poi magari sul libro di storia del liceo hanno messo insieme un po’ di date, ma la sostanza la sapevano già.
    Siamo l’ultima generazione a cui il partito ha dato qualcosa: abbiamo studiato in quei seminari a Frattocchie, che erano sì teatro di amori clandestini o di nottate a piedi sulle colline che l’ultimo bus per Castelgandolfo lo si perdeva sempre, ma dove studiavamo, discutevamo, imparavamo.
    Ecco io sono una che vorrebbe sempre imparare qualcosa e finchè c’è stato quel PCI mi sembrava di imparare.
    Perchè quella roba là, con tutti i limiti che aveva, era avanti, quanto era avanti! Come direbbe un ragazzo di oggi.
    Era avanti nei mezzi di comunicazione, nell’approfondimento, nella lotta, nella difesa dei deboli, nella tutela dei diversi, delle minoranze, nella laicità (che capolavoro d’attualità l’appello di Berlinguer per il NO al referendum sul divorzio del 1974); e poi Telese, hai citato e raccontato tutti i capisaldi della mia educazione politica che poi è stata anche sentimentale (il Cile di Allende, i concerti degli Inti Illimani nel 1973 in giro per l’Italia – anche se avevo solo 11 anni me li ricordo come ieri, con i compagni, quelli grandi, adulti che piangevano.., Berlinguer, il XVIII congresso, piazza Tien An Men, il muro di Berlino, Pietro Ingrao).

    Potrei scrivere ancora, raccontare di quel cortocircuito che si è creato allora, quello stallo sul quale hanno galleggiato i post finora e più niente per cui mi sia sentita di spendermi, non più un riferimento, una Weltanschauung. Come diceva Gaber “Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri. Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
    Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita.”
    Per questo e per altri mille sogni ancora io ero comunista e non me ne vergogno.

    Grazie per il tuo libro. Mi piacerebbe proseguire il discorso.

    laura tori

  24. complimenti per il libro, una testimonianza importante per chi come me, è nato meno di un anno dopo la bolognina.

  25. Caro Telese,

    ho appena finito di leggere con interesse e passione il suo libro e le faccio i complimenti per la sua dettagliata ricerca e per la trama stilistica.
    In quanto ventenne, non ho assistito personalmente alla Svolta e posso giudicare con i soli occhi di un militante dei DS e del PD bolognesi (e lei sa quanto conti questa connotazione geografica per un partito ex-comunista). Alla luce delle grandi trasformazioni di questi ultimi venti anni, non posso essere del tutto d’accordo con il suo giudizio finale, ma sarebbe una discussione che ruberebbe troppo spazio per questo blog. Le faccio solo alcuni commenti, che magari un giorno potrebbero diventare spunti per altri lavori:

    1) Il suo giudizio impietoso sulla classe dirigente dei Quarantenni nel 1990 è (purtroppo) facile da condividere, ma lei lascia poco spazio alle motivazioni ideologiche che hanno mosso D’Alema, Veltroni o Fassino riguardo a quella svolta. Possibile che il loro sia stato un atteggiamento del tutto strumentale alla scalata dei vertici di un partito, con l’obbiettivo della conquista del governo? Mi pare un po’ riduttivo, anche se sicuramente i fatti sembrano darle ragione rispetto ai risultati.

    2) Il clima nell’organizzazione del partito tra PCI, DS e PD non sembra molto mutato: diciamo che una lunga tradizione di faide intestine, rese dei conti e drammatiche marginalizzazioni degli sconfitti si somma alle parole dei padri nobili (Berlinguer) che lei ricorda. Mi interesserebbe molto sapere se proprio questo clima ha causato il passaggio di un numero così eclatante di giovani comunisti verso l’area Berlusconiana: insomma dietro le conversioni personali di Ferrara, Bondi, Adornato, De Angelis, Giuliano Cazzola – persino Bossi, imparo ora – quanto conta il confronto con questa identità comunista così pervasiva? Esistono anche dei lati ‘oscuri’ nella glorificazione del PCI? Anche qui, si tratta di ambizioni di conquista del potere sotto il Re o anche di pensieri e motivazioni più profondi nel giudizio verso il comunismo italiano, prima ancora che internazionale?

    3) Poco dopo la Svolta del PCI arrivò lo scioglimento del MSI e la fondazione di Alleanza Nazionale: i due processi appaiono fortemente speculari sotto tanti aspetti, pensando per esempio al ruolo dell’identità e delle classi dirigenti di Quarantenni che hanno promosso il cambiamento. Non pensa che un’analisi parallela delle due aree politiche metterebbe in luce una profonda trasformazione della realtà politica internazionale e Italiana, precondizione fondamentale anche per il mutamento delle tradizionali identità politiche del Novecento per cui un diverso “apriscatole” doveva essere in qualche modo trovato?

    Mi scusi per la lunghezza, e le faccio ancora i complimenti per il libro che ho pubblicizzato ad amici, parenti e compagn…ehm “amici di partito”.

    Federico Pancaldi

  26. Mi è piaciuto molto. E’ stato come fare un viaggio nella memoria. Ero negli anni della svolta all’organizzazione del PCI ed ho vissuto in diretta tutto. Francamente però alcuni passi li avevo dimenticati o rimossi. Ad esempio la isnistra dei Club.
    Mi piace la conclusione e la condivido in parte. Credo anch’io che i guai che abbiamo siano il frutto di un percorso mai compiuto interamente, anche nella memoria. La giraffa non ha mai deciso in quale giraffa trasformarsi. Toccava dire con chiarezza: abbiamo sbagliato nella scelta di campo internazionale. Ma eravamo un buon partito nazionale.
    A proposito ho notato un errore . Non c’era scriotto nel manifesto storico vota P.C.I. , ma vota comunista. E questo era quello che non mi piaceva. Il proporre un partito nazionale che invece chiamava ad un voto comunista, ideologico ed ambiguo rispetto alla natura del partito che lo proponeva.
    E credo che il limite fondamentale della svolta sia stato nell’averla compiuta un attimo prima che crollasse il mondo di appartenenza, sopratutto per necessità. E che siamo passati per quattro partiti senza una vera trasformazione, lasciando non solo gli stessi dirigenti ma anche la stessa organizzazione.
    In periferia siamo sempre il solito PCI, a volta con le stesse sedi e gli stessi militanti, ma siamo una cosa diversa che ha lasciato indietro anche il suo colore tradizionale, il rosso, senza proporre qualcosa in cambio di preciso. Cambiar pelle senza pensare troppo al corpo. Effettivamente rispetto alla serietà, alla compostezza, alla unità del vecchio PCI ha ben diverso peso o caratura. Non parliamo poi del difetto di personalizzazione. Rancori, abbandoni, liste civiche, sono ormai lo spettacolo consueto anche della periferia.
    ma non dimentichiamo che nella storia c’è anche l’imprevisto. la personalità di Berlusconi che ha ha camnbiato i tempi della politica. Anche della nascita del PD. Coi se non si fa nessuna analisi, ma se non ci fosse stato forse avremmo davvero avuto tempo per una evoluzione diversa. Ma anche non averlo saputo combattere è il sintomo di una debolezza intrinseca della politica italiana ed anche dell’ex PCI. Ma Berlusconi è anche figlio della inavmovibilità e della crisi della prima repubblica, che è figlia anche della tardiva trasformazione del PCI in un progetto più condivisibile. ecc. ecc.

  27. Prendo spunto da questa frase di Laura Tori ,

    ” Non siamo e non eravamo intellettuali, ma siamo persone che mettono la cultura più in alto del denaro, la solidarietà prima del profitto ” .

    Spero che ciò che afferma Laura , almeno per ciò che la riguarda , corrisponda alla realtà .

    Io sono fuggito dalle fila delle sinistre proprio perchè troppe persone ” non intellettuali ” trattavano gli altri con snobismo , troppe presone alla fine avevano messo il denaro più in alto della cultura e culturalmente oggi più che mai ritengono sia giusto fare il nero ed evadere le tasse , troppe persone abusavano della sacra parola ” SOLIDARIETA’ ” esattamente per trarne le più svariate forme di profitto .

    Ciò detto non riguarda in alcun modo Laura ma la sua frase era , per me , la pietra miliare , e solo per la passione con cui l’ha scritta mi ha indotto a citarla .

  28. Caro Telese,

    l’ho sempre apprezzata quando scriveva per “il Giornale” ed ora la apprezzo quando scrive su “Il Fatto Quotidiano”.
    Prima di comprare il suo libro ho voluto leggere alcune recensioni anche se ero già stato convinto dalla “trama” del libro, che penso tutti coloro che sono appassionati di storia politica dovrebbero leggere, indipendentemente dalla loro militanza o simpatia di schieramento.
    Dopo aver letto con attenzione il suo lavoro spero di poter approfondire il discorso.

    Davide Burani

  29. Per Luca Telese
    Stamattina 31 Luglio ho lasciato sulla tomba di Enrico 5 rose rosse e la canzone di Vecchioni : Il Libraio di Selinunte CON 5 o 6 PAROLE CAMBIATE PER ADATTARLA A ENRICO. Dalla prima volta che ho ascoltata questa canzone l’ho sempre associato a Enrico. E’ un mio omaggio ai suoi familiari. Se puoi mandarla a recuperare da qualcuno e farla vedere ai familiari ti sarei grato. Non vorrei che la prendesse qualcuno. E’ plastificata e l’ho messa sotto il vaso di fiori. Volevo mandarti questo messaggio su Facebook e chiedere contemporaneamente la tua amicizia, ma ho visto che non si accettano più richieste. Ciao.

  30. Caro Telese
    Lei forse non si ricorda di me, ci siamo conosciuti a Genova quando lei ha presentato “qualcuno era comunista” all’incontro organizzato dalla Senatrice Pinotti, Le ho rivolto quella domanda sulla stranezza dell’assenza della televisione nel suo racconto. Volevo ringraziarla perche il suo è un libro fantastico che mi ha fatto molto pensare ad un mondo alla quale sarei potuto appartenere ma che purtroppo non ho avuto il tempo di vivere.
    Grazie mille

  31. Ho avuto il libro in regalo da mia zia, che è venuta alla presentazione a Pistoia. Voleva regalarmelo in tutti i modi, e quindi ho aspettato a comprarlo. Letto tutto d’un fiato… chiuso e riaperto per ricomiciare a leggerlo di nuovo, per memorizzare fatti e eventi. Assolutamente imperdibile! E’ entrato nella top ten dei libri migliori della mia libreria. Complimenti davvero alla tua capacità di cronista e alla tua penna!

  32. Caro Luca, ci siamo già scritti in passato. Ricordi? 10 pagine, una sigaretta, pensieri, e da capo con le 10 pagine. Non ho smesso di fumare, ovvio, però ora una sigaretta ogni 20 pagine, e la sesta lettura del libro. Ho vissuto tutto quel tempo, ho 71 anni, e mi fa risentire giovane, anche se sempre più incazzato. Grazie del libro. Peccato che il sito non ci sia più; avrei voluto scaricare (oh me infame) la foto del manifesto sull’uccisione del poliziotto. Ne avrei fatto un articolo sul blog visto quanto accaduto.
    Ora vado a vederti in TV. Ciao.

  33. Caro Telese, non hò letto il libro mi propongo di farlo al più presto..Ti seguo sulla / e a volte ti incontro a Porta Portese,.voglio essere sincero in tv non mi sembri un uomo di sinistra (hò detto non mi sembri). Non vedo in te niente di sinistra anzi.. Forse è perché fai un lavoro.. e ti pagano…Io non avrei mai accettato il ruolo che tu esplichi insieme al sig. Porro..PS – ma la signora Costamagna?…Comunque auguri per il tuo lavoro..Forse sono io non in linea con i tempi..Distinti saluti

  34. Carissimo Luca, innanzitutto, ti seguo in ogni tua trasmissione o quando sei ospite in altra. Vedere il tuo libro “Qualcuno era comunista” e comprarlo è stato un attimo. Sono rimasto entusiasta, l’ho letto con molto piacere, l’ho gustato (si fà per dire), l’ho commentato con mia moglie, è stato molto istruttivo. Sono venuto a conoscenza di tanti fatti che non conoscevo. Provengo da una famiglia di comunisti (tutti) e leggere il tuo libro mi ha fatto ritornare alla mente il maledetto 1989! Hai ragione, non parlarne, diventa rimozione,amnesia e questo non doveva accadere.La svolta, tra mille difficoltà e tradimenti avvenne, ma almeno bisognava lasciare il simbolo della quercia con falce e martello. Si è rimosso tutto,cambiato tante volte simbolo e nome ma almeno un pò di rosso poteva rimanere. Abbiamo perso la nostra identità e questo ci ha portato allo sfacio e a tutto quello che tu elenchi nel tuo bellissimo libro.Da parte mia , l’identità politica non l’ho rinnegata ed espongo sia in casa che fuori, con orgoglio, i simboli del nostro glorioso PARTITO! Partito e non movimenti o altro. Spero che il PD si svegli e costruisca un vero Partito Progressista ,con il colore più bello, il ROSSO e che sappia unire tutte le forze progressiste. Vedere una manifestazione di operai senza la bandiera del Partito Comunista, mi si stringe il cuore.Quando verrò a Roma andrò nella tua libreria. Prima di salutarti, vorrei chiederti un grande favore. Siccome ti stimo, desidererei avere una tua foto o una tua lettera, o un messaggio con dedica , ne sarei lieto. In attesa ,ti abbraccio, alzando il pugno! Costantino
    p.s. Mi permetto di suggerirti una trasmissione. Riunire i comunisti di allora e spiegare al loro popolo come si è arrivati al decadimento attuale. (credo che non si potrà attuare, ma è una speranza per risvegliare questa sinistra. C’è un popolo enorme che aspetta il suo risveglio. Credo che tu sia della mia stessa opinione.)

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