Interviste

24 Ottobre 2008
Marco Perego

Il padre, Ezio, gestiva un bar. La madre lo aiutava. Lui è nato a Salò: da ragazzo aveva pochissimi soldi e tantissimi sogni. Per anni ha fatto il calciatore. Un giorno ha appeso gli scarpini al chiodo ed è volato in Brasile. Poi America, due anni di gavetta terrificante, all’ombra della Grande Mela. Dopodichè Marco Perego, – come se fosse in  protagonista di uno dei suoi quadri feroci e fiabeschi – si è inventato una vita dal nulla: artista, pittore, performer, geniale uomo di relazioni sociali, gran seduttore latino d’oltreoceano, eroe romantico e maudit. A soli 28 anni, oggi, i suoi quadri stanno raggiungendo quotazioni da artista contemporaneo di prima fama. In una parola: ha sfondato.
Lo incontro a Milano, durante un viaggio in Italia in cui fa conoscere la sua ragazza (la splendida modella americana Jane) a sua madre. Marco ha capelli biondi e lunghissimi, barba rada nera, gilè da pirata, catenine, ciondoli, bracciali, anelli.
Pare uscito da un film di Tim Burton. Glielo faccio notare e subito si esalta: “Il mio eroe è Jack Sparrow!” (ovvero il pirata dei caraibi di Johnny Deep). Perego piace a tutti. E’ amico di Lapo Elkann, pupillo di Dolce e Gabbana, è stato
adottato dalla direttrice di Vogue Francia, Carine Roitfeld. E’ il miglior promotore di se stesso: iperentusiasta, ipercinetico,  uno che ti investe con flussi di parole inarrestabili. Sembra semplice diretto (e lo è) ma assomiglia anche ai suo quadri, pieni di messaggi criptati: Biancaneve con la maschera da strega, nani voyeuristici, giocattoli da bambino fusi, distributore di gomme da masticare ripieni di teschi. Ah, un’altra cosa: è così solare che ride praticamente sempre.

Da dove salta fuori uno come te?
(Prima risata). “Io vengo dal nulla”.
Cominciamo bene.
“Cosa ti devo dire? E’ vero. Sono cresciuto in provincia, ho fatto diverse scuole, poi scienze della comunicazione allo Iulm. da ragazzo pensavo che avrei fatto il chitarrista perché impazzivo per mio padre che mi faceva sentire il blues, e me lo suonava, e…”.
Un momento! Hai calcato i campi da calcio.
“Oh sì, ma questo è quasi irrilevante nella mia vita”.
Beh, insomma: giocavi da mezzapunta: Monza, Inter, Spezia, eri a un passo dalla serie A, un talento.
(Ride amaro) “No, guarda, non era la mia vita, ma quella di un altro. Ho giocato dai 13 ai 18 anni: quando per fortuna una peritonite acuta mi ha steso, ho ringraziato il destino”.
Infanzia felice?
(Sorride) “Non avevamo soldi, eravamo pieni di sogni. Quindi sì”.
Non sarà una ricostruzione un po’ romantica?
(Ride di me) “Scherzi? Non sarei arrivato dove sono se i miei – persone splendide – non mi avessero messo in testa una sola cosa: tutto quello che vuoi si avvera”.
Un giorno molli tutto e vai in Brasile, perché proprio lì?
(Risatona) “La verità o una balla?”.
La prima che hai detto.
(Adesso ride di sé) “Ho mollato tutto per una ragazza”.
Due anni lì, e poi in America.
“A New York. All’inizio è durissima. Faccio di tutto, fatichiamo a pagare l’affitto. Per mesi dormo sul pavimento
della casa di alcuni miei amici, nel Bronx”.
E poi?
“Prendiamo una casetta a Spanish Harem. Faccio il cameriere, ma siccome non parlo una parola di inglese, l’unica cosa che posso fare è pulire i tavoli in un ristorante, Brio Forno”.
E poi?
“In un altro locale trovo un impiego come bus boy, prima e come delivery boy dopo”.
Ovvero?
(Sorriso di nostalgia) “Scorrazzavo in bicicletta per il locale e mi guadagnavo 70 dollari al giorno”.
Le cose quando migliorano?
“Imparo a farmi capire. A central park e faccio il super soccer team,  l’allenatore per i bambini fra i 4 e i 6 anni. Altri
soldi”.
Ha detto che la tua carriera artistica inizia da un film…
(Sorriso di protesta) “Ma è vero! Ho visto Basquiat, e ho capito che quello dovevo fare”.
Uno dei primi quadri è un collage criptato stile Basquiat…
“Dipingevo fin da bambino. Ma adesso sentivo di avere cose da raccontare, una vita e un immaginario”.
Primo passo?
“Ritratti alle persone per strada, con un blocco e una matita”.
Secondo passo?
“Frequentavamo un mucchio di persone fichissime. E ogni volta, che mi facevano quella terrificante domanda – cosa fai? – rispondevo: il ‘delivery boy’, e guardavo facce impietosite”.
Finchè?
 “Un giorno, a una ragazza, ho risposto: “Dipingo””.
E lei?
“Wow, ma è fantastico! Io lavoro in una galleria”.
Risultato?
“La mia prima mostra”.
Così sembra troppo una fiaba.
(Ride di nuovo).“Potete non crederci, ma New York è davvero così: tutti ti danno tutto, e tutti ti tolgono tutto”.
Così sembra troppo letterario.
“Sai quale è la massima di mio padre? Il sole negli occhi. Il vento sulla pelle. Il resto ci pensa il destino per far ballare le stelle”.
Stefano Gabbana vede i tuoi quadri e ti commissiona un ritratto… e poi te ne compra due.
“Lo avevo interpretato in due modi. Uno in bianco e nero, e uno coloratissimo. Gli sono piaciuti entrambi”.
Fai le vacanze con Lapo Elkann…
“Che c’entra? Non voglio mettere in mezzo i miei amici…”.
Su un settimanale foto di voi a passeggio per New York, mica faccio rivelazioni.
“E’ una persona dolcissima, gli voglio un bene dell’anima”.
Sei amico di Julian Roitfeld, figlio di Catrine, la direttrice di Vogue, una dei tuoi grandi sponsor artistici.
“Uno dei giovani con cui sono più in sintonia. Ma, ripeto, non c’entra nulla”.
La tua arte è fatta di paradossi.
(Ride di nuovo). “Anche la vita”.
Perché il tuo Paperino porta la maschera di Paperone?
“Perché è come vedo questi tempi: gli sfigati si mettono la maschera da ricchi”.
Disegni una Biancaneve di spalle, a gambe larghe davanti ai nani, e il copriletto è un quadro di Henry Darger, perché?
“Perché ti faccia questa domanda. Darger era un genio assoluto”.
Il tuo eroe è capitan Uncino. Lo dipingi in tutte le salse.
“Mi affascina. Come Campanellino, che per me rappresenta la sensualità. Peter Pan è una noia mortale”.
 Una delle tue prime performance: hai costruito un I-Pod gigantesco, e lo hai portato davanti all’Apple store.
“Sì, e c’erano anche 40 figuranti con la maschera da scimmia, e io in tait. L’ho potuto fare grazie a due mecenati Gualtiero Giori e Giannandrea Ferrajoli del 2G group”.
Un’altra scultura iperrealistica: William Burroughs con un winchester fumante,  ha appena ucciso Betty Page.
“Betty è la fidanzatina d’america. E’ la bellezza e la fragilità del sogno americano. Burroughs è il mio mito”.
E la macchina delle gomme da masticare piena di teschi?
“Meravigliosa, vero? L’ho intitolata my soul. L’idea è che la gente mette i soldi e si prende l’anima”.
Cosa fai quando hai tempo per te?
(Risata spensierata) “Posso passare una giornata intera a sentire la stessa canzone di Robert Johnson, talento assoluto del blues, morto a soli 27 anni. Oppure Lou Reed. O un disco di Keith Richard…”.
A proposito. A New York hai conosciuto pure lui: hai avuto una storia con sua figlia Alexandra.
“Però questo non c’entra nulla”.
E già che ci siamo un sito internet dice che hai avuto un flirt con Scarlett Johansson.
(Non ride). “Questo è personale, direi”.
La biografia di un artista è la sua arte, diceva Warhol
(Sorriso imbarazzato). “Lasciamo perdere. Adesso voglio allestire una mostra unica: porto 2mila persone in una stanza di due metri per due”.
E dentro cosa c’è?
“Una sorpresa”.
Sei di destra o di sinistra?
“Ha importanza?”
Ho capito, sei di sinistra.
“Semmai è il contrario! Uno che si è fatto da solo, che ha il mito dell’America e dell’individuo come me, non è certo di sinistra. Però…”.
Però?
“Voterei sicuramente Obama: il cambiamento è lui”.
Com’è l’Italia vista da New York?
“Semplice. Qui, se un giovane talento va sopra la linea del successo non va mai bene. In America è l’esatto contrario”.
 Cos’è il successo per te oggi?
“Poter passare da un sogno all’altro. Avere centomila dollari per costruire una scultura che mi piace, alta dieci metri, e con quattromila teschi neri dentro… se mi va”.
Sei ricco?
“Non ho problemi. Posso prendere un aereo a settimana senza preoccuparmi dei costi. Ma i soldi per i sogni li trovi sempre, anche quando non ne hai per mangiare”.
Sei un ottimista…
“No. Sono uno che è partito con una valigia piena di nulla e l’ha riempita di sogni. Ho trovato Neverland in America”.

Luca Telese

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7 commenti »

  1. Mi piace e molto Marco Perego e mi piacerebbe avere tanti dipinti suoi……… sopratutto Gun

  2. scritto e sottoscritto

  3. …..allora adesso mi potresti pagare la macchina e le multe…grazie

  4. Dipingo da 20 anni ho una formazione artistica ( Istituto statale d’arte, Accademia di belle
    arti) ho molti amici artisti alcuni docenti di accademie, ebbene non ce ne uno che abbia
    avuto conoscenze così importanti . Il mondo dell’arte così come quello dello spettacolo
    ecc… è fatto sì di incontri ma per farli bisogna che qualcuno te li organizzi, altrimenti
    crediamo alla alla storia che Onassis vendeva noccioline e che Berlusconi ristrutturava
    appartamenti.
    “Tutto quello che vuoi si avvera” lo andasse a dire ai lavoratori del Sulcis o ai
    cassaintegrati.
    La verità è che Marco Perego è un’artista così come Valeria Marini è un’attrice.
    Caro Luca, mi permetto di darti del tu essendo uno che ti segue da tempo, l’arte è una
    cosa seria, quella fatta nei salotti un pò meno.

  5. Io non lo conosco…ma non capisco perchè non può esserci la sacrosanta libertà di essere se stessi senza l’obbligo di essere oppressi dalla “realtà” che ci tiene ancorati ai pavimenti instabili su cui tutti vorremmo costruire i nostri castelli .
    La sua vita è cosi surreale? a trovarne di persone cosi che il solo respirare la loro presenza accanto a noi fanno si che cuore e anima vanno a braccetto ..
    Sognavo anche io di fare l’artista ^.^

  6. Una volta visto basquiat un po’ a tutti scatta il sogno dell’America

  7. Caro Marco sono Marina di Milano amica anche di Lapo venivi da me X consigli ricordi ? Quante conversazioni ? So che ti sei sposato con una bellina donna è che siete genitori di due gemelli , ti ho scritto più volte ma no risposta hai cambiato n Cell ? Mi farà piacere se mi darai tue notizie come vorrai hai mia email ..
    Grazie ße avrò tue comunicazioni
    Un caro saluto alla tua signora e bacetti ai gemelli
    Un caro abbraccio Marina Riboli via Nino Bixio Milano

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