Il processo a Bossetti

7 Novembre 2015
Caos sul Dna: bloccate le testimonianze dei Ris

Bergamo, ore 16.10, nuovo, ennesimo, incredibile colpo di scena sul Dna al processo per Yara: seduta sospesa, corte riunita per decidere se, e come, il processo può riprendere. Ore 16.20, tutti col fiato sospeso mentre sul banco dei testimoni i due supertesti dei Ris, Nicola Staiti e Fabiano Gentile invocano una sorta di tregua dicendo: “Presidente, la risposta alle domande della difesa non possiamo darle, perché… in questo momento, per noi comporta un incredibile sforzo mnemonico”.
Incredibile sforzo mnemonico sui due reperti più importanti del processo, sulle domande a cui, in teoria, si erano preparati da un anno, addirittura su dati presentati da loro stessi. Possibile? Sì, perché si parla proprio della famosa traccia di Ignoto uno sullo slip, e della traccia di Silvia Brena (l’ ex insegnante di Yara) sulla manica.
Una traccia che ieri – stando alle parole dei due ufficiali – è risultata appartenere a un fluido biologico: una macchia lasciata da un fluido che, o è sangue, o contiene sangue. Ma quando, come e perché la Brena avrebbe dovuto avere un contatto di questa natura con Yara?
Bel dilemma. Dopo alcuni minuti di raccoglimento la risposta arriva dalla presidente Bertoja che concede ai due una delazione, dettando, però, delle condizioni: “La difesa presenterà le domande che vuole fare, poi i Ris risponderanno in tempi brevi”. Un esito imprevedibile. Come se nella finale di coppa Roma o Juve, dopo aver giocato i primi venti minuti (e incassato due goal) chiedessero la sospensione della partita perché i giocatori dicono che devono migliorare la loro condizione atletica. Eppure è quello che è accaduto ieri.
Per capire questa conclusione (una mediazione dopo l’ ennesimo duello a muso duro Accusa-Difesa) bisogna ripercorrere la cronaca di una giornata convulsa in cui non doveva accadere nulla, ed è successo tutto. La partita degli esami del Dna è decisiva, in particolare di quelli del cosiddetto “Reperto G20”, la famosa porzione di mutandina di Yara (dov’ è la traccia di Bossetti), e il cosiddetto “Reperto 27-62” (la manica del giubbotto dove è rimasta il Dna di un’ altra persona: la sua ex istruttrice). Questa traccia, hanno ammesso i due Ris (a denti stretti) rivelava una intensità di reazione agli esami e una quantità addirittura superiore a quello di Ignoto uno.
Così durante il punto più bello del controinterrogatorio, sul banco sedevano i due supercarabinieri che hanno materialmente eseguito gli esami che erano considerati prova regina. Gli avvocati Claudio Salvagni e Claudio Camporini, coadiuvati da un consulente tecnico che in quel laboratorio dei Ris ci ha lavorato una vita, Marzio Capra, hanno tempestato i due di domande su una materia che in teoria avrebbero dovuto padroneggiare: i cosiddetti “Raw data”, ovvero “la brutta copia” degli esami con cui hanno inchiodato il muratore di Mapello. Erano stati loro stessi (due settimane fa, dopo un tira e molla durato dieci udienze) a consegnare questi “dati grezzi” che nel processo sono diventati cruciali: “Perché esaminare quei numeri? L’ analisi – diceva la Pm Ruggeri ha già prodotto risultati!”. Ma poichè l’ esame sul Dna è irripetibile per esaurimento del campione, la “brutta copia” era stata riconosciuta dalla presidente Bertoja,nella prima udienza, un dato da far vagliare alla difesa.
Inizia la seduta. Guardo Staiti e Gentile, che chiedono di sedere vicini per una testimonianza congiunta: “Abbiamo lavorato spalla a spalla”, spiega Gentile. Non hanno divisa, giacca e cravatta: fanno a tutti una ottima impressione. Sono calmi, parlano chiaro, si concentrano – nella loro esposizione – sulla gerarchia delle cose importanti. Gentile, ha un filo di barba e baffi folti, spiega che hanno lavorato all’ inchiesta fin dal primo giorno. Spiega la metodologia che hanno adottato.
Spiega con molta linearità una cosa importante: “La traccia di ignoto uno sullo slip non è e non può contenere sperma”.
Spiega come hanno lavorato sui reperti, con grande scrupolo investigativo. Mentre racconta pare di vederli, i due, chini su quei poveri stracci con la lampada a lunghezza d’ onda varabile (l’ abbiamo imparata a conoscere nelle serie Crime) che battono il tessuto millimetro per millimetro. Gentile dice che quel Dna è lì “Senza margine di errore”. Aggiunge che Ignoto uno è anche su un altro lembo di mutandina, quello laterale (in codice si chiama “31 G1 ext”). Staiti è esperto di violenza sessuali: racconta che alla luce della sua lunga esperienza, la presenza del Dna senza sperma, in quella posizione, è strano: “Io, in tanti anni questa cosa non l’ avevo mai rilevata”.
Gentile, dice ancora che su quegli indumenti ci sono almeno tre tracce di altri Dna non ricostruibili. E da una misura alla traccia di ignoto uno sullo slip: “Un nanogrammo e due”.
Poi i due ilustrano un dato da capogiro. “La possibilità che quella traccia sia di un uomo con Dna simile è un numero enorme: “3700 miliardi di miliardi di miliardi, di miliardi”.
Bene, penso, mentre scrivo sul taccuino: partita chiusa, ce ne torniamo a casa. E invece. Salvagni inizia a controinterrogare con pacata e cortese fermezza (ma la tensione si taglia con il coltello) e subito le certezze vacillano. Per esempio, quando fa una domanda semplice semplice, e cioè “Ricorda se la traccia Brena fosse visibile a occhio nudo?”, Stati mi pare subito nervoso, fa lunghe perifrasi per non dare una risposta netta. Capisco perché poco dopo: “C’ era una alone”, dice. E qui entra in un tunnel che cambia la sua espressione della mattina pietrificandogli il volto: -Salvagni: “Avete fatto una indagine su quel fluido biologico che era sulla manica?”.
-(Silenzio).
-Salvagni: “Fatta o no?”.
-Gentile: “Non mi risulta sia stata fatta” (brusio).
-Salvagni: “E perché?”.
-Gentile: “Perché… gli esami sono distruttivi…. E prima non era stata fatta”. Eppure, spiega il carabiniere, di questa traccia distrutta negli esami del Dna, c’ è una misura indiretta: la risposta di fluorescenza: “Da Mille a diecimila”, sulla scala di misurazione del picco. E’ molto. Salvagni un po’ si arrabbia: “Ma scusate, avevate una traccia di una persona nota, era in una quantità che definite copiosa, e non verificate con gli esami del caso di che fluido corporeo si tratti?”. Staiti è in imbarazzo. Si regge il mento con la mano, terreo: “Non aveva cromaticità”. Cioè colore: dice proprio così. Direbbe George Orwell: “Tutti i Dna sono uguali, alcuni più uguali”.
Ma il ritmo in aula accelera ancora. Da dove sono vedo di profilo il sorriso raggiante di Capra, che dà indicazioni all’ avvocato mentre i suoi ex colleghi rispondono. Corpo a corpo: -Salvagni: “Non è curioso non aver fatto questi test?”.
– Staiti (seccato): “Non si fanno tutti i test su tutti i reperti!”.
– Salvagni: “Su quello forse sì, che dice?”.
-Staiti: “E’ la mia risposta”.
-Salvagni: “Accetto risposte che hanno logica! Qui non c’ è”.
– Staiti: “No! Non è così…!”. Salvagni: “Ma quanti Dna completi avete trovato?”.
Staiti (incerto): “Devo andare a leggere il rapporto…”. Qui, forse, il nervosismo tradisce l’ uomo dei Ris che incalzato sulla traccia della Brena ad un tratto esclama: “Era, per quanto circoscritta, di un fluido corposo”. Ipotizza: “Noi sapevamo che la manica era un punto sensibile: si può trasportare un corpo, o sotto le ascelle, o per i polsi”. L’ avvocato chiede all’ esperto: “Non le pare incredibile questo? Interessante per l’ indagine?”. Sulla suggestione del carabiniere, immagino una mano che stringe un polso per tirare un braccio: non vola una mosca.
Salvagni: “Con la sua esperienza come si spiega la mancanza di tracce dei familiari di Yara sul suo corpo?”.
Staiti: (…)”Non si spiega”.
Salvagni: “Quella traccia può imprimersi per contatto?”.
Staiti: “Lo escluderei”.
Salvagni? “E allora?”.
Staiti: “Penso che fosse qualcosa di più corposo che conteneva sangue. Forse… muco?”. Forse vomito? E qui si arriva alla domanda apparentemente astratta che crea il putiferio. Si parla dei kit che servono per fare le “estrazioni” del Dna. All’ epoca, per capire il sesso, l’ aplotipo distintivo della madre, e le caratteristiche basiche, bisognava usarne almeno tre, con tre esami. Per questo il campione si è consumato nei ripetuti passaggi in laboratorio. Chiede l’ avvocato: “Secondo lei, per essere scientifico, come dev’ essere un esame?”. Il supercarabiniere: “Ripetibile”. L’ avvocato: “In astratto o in concreto?”.
L’ uomo dei Ris: “in concreto”.
Il problema è qui: se a Capra risultano solo quattro “amplificazioni” (ovvero esami) del più importante dei reperti (ignoto uno sullo slip) è evidente che non può essere stato ripetuto: Salvagni: “Le risulta che abbiate fatto solo quattro amplificazioni del G20?”.
Staiti: “Non ho modo”.
La Pm Ruggeri: “Mi oppongo! Non può dire ‘solo’!!!!”.
Salvagni: “Io sono la difesa, dico quel che voglio! Mi risponda, se può”.
Staiti: “Non ricordo!
” Salvagni: “Può controllare sulla sua relazione?”.
Staiti: “Non ricordo!”.
Salvagni: “Guardi le carte!”.
Staiti: “L’ operazione è complessa, va letta una mole esorbitante di dati”.
Qui, come un deus ex machina – ultimo colpo di scena – si alza Marzio Capra con un dischetto: “Per aiutarla a trovare questo dato essenziale le posso dare la date degli esami. Io le ho trovate”. Domanda: “Dove?”. Sorriso: “Nei raw data che mi avete dato voi!”. Il perito ora è davvero è in difficoltà: “Sì, ma anche con la data io non posso… Quei dati sono misti ad altre pratiche” Salvagni: “Che pratiche?”.
Staiti: “Quelle di altri esami di altri casi…”. La sala rumoreggia di sconcerto (anche io). La Ruggeri ruggisce girandosi verso il pubblico: “Silenzio! Vi faccio identificare dai carabinieri ed espellere dall’ aula!!”. I due esperti gettano la spugna: chiedono un’ ora per trovare le cifre. Questo particolare può invaldare l’ esame e quindi il processo? La Bertoja ha polso e pragmatismo: “Va bene, La pausa pranzo è di un’ ora: diamoci un’ ora e mezza”. Ma non basta nemmeno quello: alla ripresa i due ufficiali sembrano le ombre degli uomini che erano entrati in aula.
Le domande ripartono, e loro: “Lo sforzo è enorme, il tema delicato, serve più tempo”. La Pm: “Aggiorniamo”. Camporini: “No, questo è il nodo decisivo di tutto il processo. E’ interesse di tutti!”. Così si arriva a quella seconda, surreale, interminabile pausa. Sangue, giacche, mutande, fluidi corporei: giunto al giorno decisivo il processo si incaglia. Adesso la difesa ha sette giorni per mettere nero su bianco le domande. Guardo ancora una volta Massimo Bossetti. Una sfinge. Scruta Staiti e Gentile come fossero due fantasmi. Mastica chewingum lento. Darei qualsiasi cosa per capire se dietro quella maschera di impassibilità ha capito che per la prima volta, nella sua cella, avrà sette giorni di speranza da vivere.

Luca Telese

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