Pubblico

18 Dicembre 2012
Avanti Pubblico!

di LUCA TELESE

Lo so, qui in mezzo non ci sono santi, cardinali o Papi: vanno di moda, ma la costellazione di copertine che vedete intorno a questo articolo è il nostro piccolo Pantheon. Ovvero la carta di identità di Pubblico: quello che abbiamo fatto, dopo quello che avevamo detto di voler fare.
Sono volti, titoli, storie e anche piccole battaglie civili. È il racconto di questa crisi politica come passaggio cruciale per decidere il nostro futuro. È quello che questa redazione ha fatto fino ad oggi, ed è quello che vogliamo continuare a fare.
Perché inizio dicendovi questo? Perché lunedì scorso una pietra ci è caduta sulla testa quando l’amministratore delegato di questa società ci ha comunicato che potevamo chiudere a fine mese: un conto è sapere che non stai bene, un conto è se ti dicono «Scusi, lo sa che lei potrebbe morire?».
In un giornale che non ha finanziamenti pubblici le vendite sono tutto. I giornali di opinione hanno poca pubblicità. Il nostro ha raccolto, anche grazie ad una agenzia che si è prodigata (parlo dei nostri amici della «Poster») tutto quello che la promessa dei bilanci recitava.
Quello che è mancato, in questi ultimi giorni, è l’obiettivo di copie che servivano al nostro pareggio di bilancio. Avevamo un pareggio dei conti a 9.600 copie medie, e avevamo spiegato che questo solo ci avrebbe dato la tranquillità di stare in piedi senza dover chiedere nulla a nessuno. Nei primi numeri la risposta dei lettori è stata straordinaria, commovente. Ci siamo detti: «Ci siamo».
Poi, di pari passo con la crisi economica del paese, anche le vendite dei quotidiani hanno iniziato a risentire, con una crisi della stampa che riguarda quasi tutte le testate. Ma che ha picchiato sulla nostra. Abbiamo notato fenomeni incredibili, come il calo dei lettori nell’ultima settimana del mese. La nostra prima media di 12.862 copie vendute nei primi giorni è calata a 7.200, per la prima volta, alla fine di novembre.
Siamo entrati in allarme, ma non ci siamo spaccati la testa. Ricevevamo ogni giorno lettere, esortazioni, tanti complimenti, qualche critica, ma – soprattutto – tantissime grida di allarme. Andavamo, raccontavamo. Avevamo detto che volevamo provare a mettere nell’agenda altre priorità che qui giornali si vedevano di rado. Abbiamo titolato, con quel putto celestiale che ritrovate qui, del diritto alla fecondazione delle donne di cui scriveva Stefania Podda. Abbiamo detto «Questa è una famiglia!» di quella con due papà e tre figli (quanti insulti bacchettoni! Ma era quello che avevamo promesso). Tre copertine più una che è qui sono state dedicate alla beffa di Marchionne, vicenda simbolo di questo paese. Tre prime pagine agli «scongiunti», martirizzati delle ricongiunzioni onerose che in questo paese sono finiti persino sotto gli esodati nella scala dei nuovi paria previdenziali. Che gioia in redazione quando quell’inchiesta di Mariagrazia Gerina è diventato un seme che ha fruttificato anche altrove! Abbiamo sostenuto gli studenti – condannando le violenze della polizia e gli estetismi degli incappucciati – festeggiando quando il nostro auspicio (geniale «Ribelli come il sole» di Lia Celi) è diventato realtà.
I titoli nascono da un brain storming (a volte tra gli insulti, a volte tra le risa), uno mette l’idea, uno l’immagine, l’altro la battuta. Eravamo partiti dai precari – nel numero uno – con quell’«Obtorto call» che per noi era il racconto di un cappio generazionale. Quanti soloni hanno detto dell’articolo di Paola Natalicchio: vi sembra una notizia da prima? Caspita, se lo era.
Ripercorrendo questo album vedo che abbiamo preso tante posizioni, mai scontate, spesso spiazzanti. Perché nascono dalla discussione di un direttore con una redazione piena di anime diverse, assortite solo con il talento, e rappresentanti di sensibilità diversissime. Oggi è il caso di rispondere ad una domanda che ci ha inseguito come un anatema e di farvene a nostra volta una: a chi serve un quotidiano così? Che bandiere difende nella battaglia politica? Perché deve esistere un giornale che per statuto non vuole stare in una curva sud? Io credo che l’informazione (soprattutto quella della carta stampata) oggi sia un un bene pubblico. E che sia un bene a rischio.
Se mi guardo intorno, intanto, vedo che i giornali superstiti dell’area progressista si dibattono tutti in difficoltà più o meno gravi. Soffre il manifesto, che ha sulla testa la spada di Damocle dei commissari. Soffre l’Unità (i suoi redattori hanno scioperato sabato scorso) gravata da debiti antichi. Hanno già lasciato l’edicola – come quotidiani – Liberazione, Europa, Il Riformista, Gli Altri.
Sono tutte storie diverse, ma tutte ci devono far pensare ad un racconto comune. I lettori fuggono perché insoddisfatti? Per colpa della crisi? Per motivi politici? Forse. Sta di fatto che stare sul mercato è sempre più difficile. Soprattutto per chi, come noi, non ha contributi pubblici. In questi giorni concitati, mentre cercavo 100 o 200 mila euro (anche di pubblicità), ho sentito tanti colleghi che dicevano: «Ma come? Tutto qui il problema?». Sì, è questo l’ordine di grandezza che decide se saremo vivi o morti, in edicola. Se da domani i 4mila lettori saltuari che abbiamo, ma che ci comprano a salti, a staffetta, un giorno sì ed uno no (magari perché non ce la fanno) andassero tutti i giorni in edicola a chiedere Pubblico passeremmo dall’inferno al paradiso. Perché ogni mille copie vendute medie, per noi, arrivano quasi 400mila euro in più nel bilancio.
Però noi dall’amico dell’industria delle quattro ruote non possiamo andare, perché ci siamo presi la libertà di scrivere quello che pensavamo di lui. E siccome il gioco è duro, ma trasparente, sapevamo già che da quella industria non avremmo avuto un francobollo di pubblicità.
Noi non possiamo maledire il cielo, inveire contro il destino cinico e baro, non chiediamo sovvenzioni lacrimevoli. Noi vi diciamo: se ci volete comprateci. Così come se volete ancora avere le opinioni di tutti i giornali, anche quelli che sono distanti da voi, dovete comprarli. Perché il futuro dell’informazione che vende idee, e non fustini, è in questa scelta. La gratuità non esiste, e quando esiste vi deve dire che i soldi ci sono, ma arrivano da un’altra parte.
Lo so che molti sogghignano. E che qualcuno già gode: «Illusi», «Presuntuosi!», «Ben vi sta!». Quel lord di Flavio Briatore ha twittato: «Fare l’imprenditore non è così semplice». Possiamo perdere, certo.
Ma una cosa che noi non possiamo fare è imparare a rubare.
 

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12 commenti »

  1. faro’ il lord anch’io : benvenuti nel mondo dell’impresa, dove il rischio e’ sempre in agguato, la pagnotta va guadagnata tutti i giorni e dove prima di parlare dei propri “diritti”, tutte le sere ti chiedi se hai espletato bene i toui “doveri”….
    ……..ma in fondo e’ normale, dove si guadagna si chiama LAVORO, LE PASSIONI sono un costo………………….IN QUESTO PAESE SEMBRA UNA ANOMALIA

  2. il punto, forse, uno tra i tanti fattori, è che in questa nazione quelli che leggono sono troppo pochi in relazione all’offerta. Ciò non vuole essere una dichiarazione snob in nome di una presunta superiorità antropologica dei pochi contro i molti, vuole essere una constatazione, che poi è anche amara.

  3. Fine del mondo? Anche i maya hanno perso le loro primarie

  4. Hahahaha

  5. Monti troppo diplomatico..poteva sbottonar si un po’ di più come fa vendola con il suo amante

  6. PUBBLICO .. GAME OVER

    GAME OVER .. era ora .. il giornalaio Telese (salsicciotto dell’informazione) NON è in grado nè di fare giornalismo nè di gestire/amministrare una impresa (della comunicazione) .. ora attendiamo che gli tolgano pure quella BUFFONATA che conduce con Porro su LA7 (anche se dubito che gli “amici” lo lascieranno col culo a terra del tutto) .. e un rapido ritorno all’oblio che gli compete .. BYE BYE salsicciotto ..

  7. bit.ly/Wdr21O Buon Anno Ciccio Baffo e complimentoni per la tua “impresa”.

  8. Dal sito http://www.pubblicogiornale.it/
    “Il direttore del giornale è tra i principali fondatori e promotori di questa azienda, così come l’amministratore delegato. Eppure né l’uno né l’altro hanno saputo arginare le scelte strategiche che hanno portato al disastro.”

  9. Quando si è dei perdenti NATI si accampano scuse . E’ IL MERCATO BELLEZZA !! Potete sempre andare a fare il giornale A Cuba . Li il mercato non esiste . Andate li’

  10. Luca Telese in Berlinguer da ateo materialista non poteva avere ideali.Si è scagliato fin dal primo numero non solo contro Grillo ma anche contro Cristo e la sua Chiesa. Un miserabile.Ha fatto la giusta fine.

  11. Quante scempiaggini Telese. Fallisci perchè fai un giornale che non interessa a nessuno. Punto. Cosa vuoi che gliene freghi a Marchionne se hai scritto della Fiat. Sei stato un presuntuoso, hai lasciato il Fatto perchè volevi una linea editoriale diversa (o più probabilmente perchè il tuo ego smisurato ti impediva di sottostare alle decisioni di gente più brava di te) e hai fallito. Ad ogni modo, se non facessi quella bella trasmissione con il porro, il giornale non l’avresti neanche aperto.

  12. Ragazzi, non vendete, facciamo crowd funding e salviamo l’anima del giornale, non é il momento di “scendere”a destra. Abbiamo bisogno di altre voci e di qualcuno che ci spieghi la realta’. Non vendete. Io sono disposta a collaborazioni gratuite se puo’aiutare – ma non credo. Salvatevi, salvateci, non abbandonateci.
    Melodramma a parte, cé’ bisogno di un giornale nato libero.
    A presto, spero.

    Matilde

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