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4 Marzo 2010
Un politico diverso

Quando si dice… un politico diverso per capire come un militante gay di rifondazione comunista sia stato incoronato candidato governatore della puglia, bisogna partire dalla sua cucina in quel di Terlizzi. Dove la mamma lavava i piatti (e lui pure). e dove comincia la storia che ha sorpreso l’italia della politica. e un po’ anche noi!
Ma come? Lei davvero non sa giocare a Burraco? Oh Gesù! Allora le spiego qualcosa, sennò non capisce». Serve il Burraco per capire i Vendola: i lettori che – come chi scrive − sono all’oscuro, si preparino al peggio. E la signora Antonetta Vendola, ottant’anni meno qualche giorno (dissimulati dietro una carica di vitalismo e di energia che fa pensare indifferentemente a Dorian Gray, alla fonte della giovinezza o a certi film di fantascienza), è una specie di ciclone: ride, interroga, racconta la sua storia e quella di suo figlio con il sapore epico di un romanzo di Thomas Mann e la leggerezza di un Bollywood indiano.
Il fatto è che suo figlio Nichi − deputato di Rifondazione, leader omosessuale, a tempo perso poeta − da due settimane ha smesso di essere un nome per diventare un simbolo. Di più, una risorsa per la satira, che tramuta in vignetta il suo cognome per raccontare il terremoto nel centrosinistra: “Nichi Svendola” e la caricatura di Piero Fassino, Massimo D’Alema e Romano Prodi attoniti. La storia è tutta qui: per la prima volta in Italia si sceglieva un candidato (quello del centrosinistra per la presidenza della Puglia) con il voto degli elettori. E Vendola ha vinto una sfida che sembrava impossibile: proprio lui, così diverso, grazie al suo radicamento e alla sua diversità, ha sconfitto il candidato di tutto il resto della coalizione, il giovane e brillante bocconiano Francesco Boccia. Quello partiva dall’83 per cento e lui dal 17. Ha vinto Vendola, con il 51 per cento.
Vanity Fair è andato a Terlizzi, il comune vicino a Bari dove Vendola vive, per capire. L’intervista in cui per la prima volta madre e figlio ripercorrono la loro storia avviene nella cucina di casa. Ci sono il padre, Francesco, i due fratelli del deputato, Gianni ed Enzo, la sorella minore, Patrizia. Nichi, che s’è laureato con una tesi su Pasolini, associa alla signora Antonetta i versi che il poeta aveva dedicato a sua madre: «…Tu sei la sola al mondo che sa del mio cuore / ciò che è stato sempre prima d’ogni altro amore…».
Il dialogo a più voci inizia mentre i due sono sotto l’obiettivo del fotografo.

Nichi: «Mamma, non metterti in posa! Lo vedete com’è? È pazzesca».
Mamma Antonetta (orientando il busto): «Ma di che ti preoccupi? Tu, piuttosto: sorridi, che poi vieni triste».
Nichi racconta, con orgoglio, che dopo ogni comizio la chiama per dirle com’è andata.
Mamma Antonetta: «Vorrei vedere se non lo facesse!».
Perché il vostro legame è così forte?
La sorella Patrizia (cantilenando): «Perché Nichi è il coc-co di mam-ma…».
Mamma Antonetta: «Per carità! Non iniziamo con la storia dei cocchi di mamma, per me sono tutti uguali. A me piace pensare a come siamo cresciuti insieme. Io ero arrivata al matrimonio senza sapere fare nulla in casa…».
Perché lo racconta?
Mamma Antonetta: «Perché se Nichi è quel che è, e perché qui, proprio in questa cucina, i tre figli lavavano i piatti…».
Patrizia: «Bisognava fare la catena di montaggio!».
Mamma Antonetta: «Lavavano come se fosse un gioco e a volte ci mettevamo a ballare, proprio qui! A me piaceva fare scherzi alle persone…».
Nichi (tra il divertito e il preoccupato): «Preferirei che mamma non raccontassi di questo, perché qui ogni parola e ogni nome che fai perdo dieci voti… È già un miracolo che ci siamo scordati!».
Di che cosa?
Mamma Antonetta: «Ma perché Nichi? Ricordi quando tirai la noce di pesca sulla testa dell’avvocato… Diciamo il nome?».
Diciamolo.
Nichi (meno divertito, più preoccupato): «Non lo diciamo, invece! Per carità, mamma, non fare così».
Mamma Antonetta (molto divertita): «Mi piaceva anche fare i gavettoni ai ragazzi, quando erano al mare. A me piaceva dar loro l’idea che il gioco mette in discussione le regole».
Nichi (sospirando): «Mia madre è una grande anarchica».
Mamma Antonetta: «Ci sedevamo a questo tavolo, io e loro, i miei figli. Loro leggevano, perché il padre, grazie a Dio, gli ha trasmesso questa passione».
Papà Vendola: «Cronin! Hemingway! E Il tallone di ferro, di London! Per non dire del neorealismo italiano: De Sica e Zavattini… I libri li compravo da marinaio sulla corazzata Littorio, e costavano 5 lire. Sa come faceva il nostro inno? Petti di ferro/ più forti del ferro/ che cinge le nostre navi!/…».
Nichi (divertito): «Papà, adesso non raccontare tutta la storia della Seconda guerra mondiale. Capisce? Noi figli dentro queste storie di mare e di guerra ci siamo cresciuti, le sappiamo a memoria».
Papà Vendola (spianando commosso La Gazzetta del Mezzogiorno): «Vede questo titolo su mio figlio? Io forse non ho avuto un’istruzione adeguata, sono del ’21. Ma capisco che oggi è accaduto qualcosa di importante: oggi Nichi, dopo Dorso e Salvemini, è un continuatore del grande filo rosso della questione meridionale».
Nichi: «Papà, non pazziare!».
E quando non si leggeva?
Mamma Antonetta: «Giocavamo a carte, anche per ore. Ecco, se lei non conosce il gioco, non può capire quante cose si imparano sugli altri. Come si dice dalle nostre parti: un uomo lo conosci in due luoghi: alla tavola… e al tavolo».
Cioè?
Gianni, il fratello:«La tavola da pranzo e il tavolo da gioco! Cioè, se ci hai mangiato insieme, o se ci hai giocato a carte».
Che educazione è stata, signora?
«Ehhh… Dovevano rigare dritto».
Nichi (sospirando): «Alle nove a casa, sennò scattava la carcerazione preventiva».
Mamma Antonetta: «Ah, ma qui entravano tutti, una casa aperta: siamo gente del Sud. Nichi, racconta quella volta che venne il cantante come-si-chiama, quello romano che lo imitano in tv ed è buffo».
E chi è?
Nichi: «Ah già! Me ne ero scordato. Antonello Venditti».
Mamma Vendola: «Tanto simpatico».
Antonello Venditti? A Terlizzi?
Nichi: «Sì. Era il 1975: venne per la festa dell’Unità e sa chi gli montava il palco? Sa chi? Pino Daniele. Mamma gli fece fare una scorpacciata dei suoi famosi prodotti sottolio…».
Mamma Antonetta: «Nichi, non immiserire. La bellezza delle cose che faccio è che sono in agrodolce. È un’altra cosa!».
Signora, posso chiedere al figlio di descrivere sua madre?
Mamma Antonetta: «No!».
Nichi: «Mamma è stata due cose, contemporaneamente: una donna diversa da tutte le altre, ma molto radicata nel suo mondo. E poi una madre. Severa, sì, ma con un rapporto vero, forte, di confronto».
Mamma Antonetta: «Quando lui divenne deputato per la prima volta…».
Nichi (giocando d’anticipo): «Mamma, non dire della giacca ora!».
Mamma Antonetta: «E perché no? Nichi non aveva niente di presentabile. Aveva vissuto con uno stipendietto da funzionario, non si era mai comprato nulla. Allora io, che avevo due soldini da parte, gli comprai la sua prima vera giacca. Con quella è entrato a Montecitorio!».
Signora, le posso chiedere come ha vissuto l’omosessualità di suo figlio?
(Il telefono di Vendola suona, lui esce dalla stanza. La signora Antonetta si fa seria, parla piano): «Senta, le dirò la verità. Io per molto tempo non ho capito nulla. Le cose mi avvenivano sotto il naso, ma io non le vedevo, capisce?».
E quando se ne accorse?
«Tardi. Probabilmente fui l’ultima. Nichi aveva portato anche delle ragazze, molto carine e io pensavo… Una volta venne con un ragazzo che stette da noi una settimana. E dormì qui».
Nessuno in paese la prese mai in giro per l’omosessualità di suo figlio?
Mamma Antonetta, quasi scandalizzata: «Mannò! Non ci hanno nemmeno provato, sennò…».
Patrizia: «Io ero piccolissima. A scuola mi dicevano: “Lo sai che non hai tre fratelli? Hai due fratelli e una sorella”».
Mamma Antonetta: «Comunque è vero. Per noi non è stato facile. Anche per suo padre. Ma poi abbiamo capito, la diversità di Nichi è una cosa che si accetta. Per me è libero di fare quello che vuole».
Come di indossare il suo orecchino?
Mamma Antonetta (ridendo): «Ma quello gli sta bene!».
Rientra Nichi, guarda Patrizia: «Che sta dicendo la mamma?».
Mamma Antonetta: «Nulla, Nichi. Dico che non ti abbiamo mai fatto problemi. E che io non mi ero mai accorta di nulla».
È vero?
Nichi si siede. Fa una pausa. La madre e il padre sono dietro di lui: «No, non è vero».
Mamma Antonetta: «Nichi…».
Nichi: «Una madre non vede quello che non vuol vedere…».
Mamma Antonetta (seria): «È un modo di amare».
Nichi: «E quando non si è potuto più non vedere è stato difficilissimo per tutti. Non è facile per nessuno: ma immaginatevi cosa erano gli anni Sessanta, in un paese del Sud. È stato un difficilissimo tirocinio di compromessi e verità, fra noi».
Mamma Antonetta: «Per te e per noi».
Nichi (affettuoso, il padre è commosso): «Sì, per tutti. Adesso posso dire cosa ci ha salvato. Il meccanismo delle parole. Le parole che hanno invaso questa casa. Ci sono state parole durissime, ma nessuno ha mai chiuso la saracinesca verso l’altro, mai».
Nichi, posso chiederle…
Nichi: «No. Basta così, per oggi. Abbiamo detto più che in una vita…».
Mamma Antonetta: «Tutto, tranne del motivo per cui Nichi perde a Burraco».
Il fratello: «È il classico genio che si perde in un bicchier d’acqua. Perché a Burraco conta la strategia, ma poi ci vuole…».
Mamma Antonetta: «Il culo. Il cu-lo! Non le dico le mie nuore. Sono pazzesche!».
Nichi e Patrizia, esterrefatti: «Mamma!».
Il fratello Gianni: «Ha ragione mamma: come quella volta che perdevano 2.200 a 2.900 e mia moglie ha fatto ruspate pazzesche: tre Burrachi puliti e due sporchi, si rende conto?».
Veramente no, non conosco le regole.
Mamma Antonetta (recuperando tutto il suo buonumore): «Eh, eh: se le dico che hanno una fortuna schifosa, è schifosa, può scommetterci. Ma lei torni a giocare qui. Così le insegniamo. E lo spiega ai suoi lettori».

Luca Telese per Vanity Fair

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4 commenti »

  1. Scusa se vado fuori tema, ma vedo che il Giornale ti dedica un migliaio di righe per paragonarti a Santoro. Forse i lettori si erano rotti le balle di Travaglio e adesso cercano qualcuno su cui spostare il mirin…, ehm, l’obiettivo.
    Volevo comunque sottolineare la disonestà di chi ha scritto l’articolessa perchè sostiene che gli ospiti erano squlibrati, sommando furbescamente i membri della giuria (ma si sono dimenticati, guarda un pò, del giornalista russo) l’intervista registrata a Venditti, una clip su Travaglio (tutta roba di pochi minuti), oltre al breve intervento di Mello e la lettura finale delle battute di Spinoza.
    Sorvolo per carità di patria sulla citazione molto elegante su tua moglie e sul fatto che tu, per aver lavorato al Giornale per 10 anni, adesso saresti addirittura in “sindrome da rigetto”.
    Quando si dice il giornalismo anglosassone.

  2. Caro Antonio,
    leggiti in anteprima la risposta.

  3. la padania spinge Balotelli in nazionale…
    Balotelli “spinge” la “pudania” sulla nazionale…

  4. Ho sempre seguito Tetris perchè è interessante.Ho rivalutato il conduttore del programma da quando è venuto a Sassari per presentare il suo libro.Ammetto che prima ,per quanto lo apprezzassi come giornalista ,non sopportavo che lavorasse per una testata filoberlusconiana(così pure mi rammaricai quando Santoro passò a Mediaset)Ora,finalmente ,mi sono liberata da questa sorta di Purismo a tutti i costi, e ho riflettuto anche sul fatto che un mio idolo, Saviano, ed altri non disdegnano Mondadori e non posso ritenerlo/li meno bravo/vi solo per questo.Insomma è come se pretendessi che un professore di Sinistra non accettasse di lavorare in una scuola il cui dirigente fosse destroide.Detto ciò mi complimento con Luca Telese per la risposta data a Feltri e per gli articoli del Fatto Quotidiano.

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