di LUCA TELESE
"Arrendetevi, siete circondati!". Non molti lo sanno, ma il più noto degli slogan portati al successo da Beppe Grillo, il versetto-simbolo della più moderna stagione populista, non é stato inventato in questa campagna elettorale dal Movimento 5stelle, ma nel lontano 1993 da Teodoro Buontempo detto "er pecora". Nel giorno in cui si celebrano le esequie del suo ideatore, vale la pena di ricordare perché.
La frase era stata stampata su una maglietta, per una manifestazione missina nel pieno di Tangentopoli, e il parlamento circondato da un assedio capitanato dallo stesso Buontempo: volarono ceffoni, urla, manganellate, persino una biglia di ferro che infranse, nello scandalo generale, la vetrata satinata e ottocentesca dell'ingresso principale di Montecitorio. Il deputato venne sospeso, ma tra gli applausi dei suoi: era nata – da destra – la prima campagna anti-Casta che segnava la fine della prima repubblica, quest'anno la nuova campagna iniziata da Grillo ha messo fine alla seconda. Era stato lo stesso Buontempo a ricordarlo, pochi giorni fa, a metá strada fra il divertito e il compiaciuto: "Ehh in politica non si inventa mai nulla… Ma non ce l'ho con i Grillini: in Italia c'é qualcuno che vorrebbe demonizzare qualsiasi protesta, invece sono curioso di vedere dove arriveranno". Non ne ha avuto il tempo.
Basso, fisico tarchiato, raucedine perenne inconfondibile da accanito consumatore di sigarette e da arrembante insufflatore di megafoni, emigrato a Roma da sottoproletario abruzzese, poi consigliere comunale, poi deputato, quindi dissidente strenuo di Gianfranco Fini (ma dopo esserne stato il maestro politico), infine fondatore de la Destra con Francesco Storace, se n'è andato a 67 anni, per un tumore dopo venti giorni in attesa di un trapianto.
Quel nomignolo, "Er pecora" era diventato un marchio di fabbrica, lo aveva reso famoso e non poteva rinunciarci, ma gli dispiaceva: "Quando era arrivato a Roma da Carunchio, orfano di un padre muratore che era morto cadendo da un ponteggio – raccontava – per qualche tempo avevo dormito in una Cinquecento amaranto. A quei tempi non odoravo certo di colonia – protestava – ma non è vero che i camerati mi chiamavano così. È una invenzione giornalistica!". E infatti era stato un titolo di la Repubblica a farlo passare alla storia: "La pecora nera in mezzo ai lupi della politica". Un articolo di Aldo Fontanarosa, tutt'altro che ostile, che su un giornale teoricamente "nemico"
rappresentava (soprattutto negli anni novanta) un tributo sorprendente: Buontempo era nero, nerissimo, e per lungo tempo considerato "un picchiatore", altro epiteto a cui non si sottraeva dicendo: "Qui tutti fanno le verginelle: io negli anni di piombo le ho date e le ho prese, non mi sono mai tirato indietro, e non mi vergogno di ammetterlo". La cinquecento amaranto, per la cronaca, era finita rottamata – così aveva raccontato in una memorabile intervista a Gian Antonio Stella, sul Corriere della sera – dopo essere fatta saltare per aria con una molotov. Diceva di averci vissuto tre anni, possibile?
Un giorno, mentre scrivevo Cuori neri avevo trovato nell'archivio del Messaggero un articolo del 4 marzo 1975 dove si raccontava di un corteo culminato con dei tafferugli davanti alla sede del Pdup, in cui Buontempo impugnava una enorme sega da falegname. C'era davvero, gli avevo chiesto intervistandolo, quella sega?: "C'era, c'era. E per fortuna. Altrimenti – aveva risposto – non sarei qui. Quel giorno la impugnai gridando Ahhhh!! E solo così riuscii a portare a casa la pelle".
Questo per dire come la morte dell'ex presidente della Destra, ieri, e il suo funerale, oggi, siano un piccolo spartiacque epocale. Con Teodoro Buontempo scompare un personaggio politico di quelli che riempiono gli archivi dei giornalisti, tra realtà, aneddotica sterminata e mitografia fantastica. Ma scompare, soprattutto, l'uomo simbolo di una destra sociale che ha segnato un pezzo della storia d'Italia e un frammento della sua classe dirigente, una destra che in Buontempo aveva trovato il suo ultimo simbolo e che oggi chiude insieme a lui la sua storia politica.
Avevo conosciuto Buontempo da cronista, nel lontano 1990, con lo stesso umore con cui lo ricorda Giuseppe Cruciani : "Io ero pieno di pregiudizi su di lui, lui non ne aveva per nessuno". In quel periodo era "il federale" di Roma della Fiamma, un personaggio locale, che si era fatto conoscere per una campagna di affissione capillare in occasione delle elezioni comunali: "Ai semafori vogliamo essere lasciati in pace", recitavano i suoi manifesti contro i lavavetri. Sembrava un ennesimo epigono del lepenismo che già allora andava di moda in Francia. Gli avevo quasi dato del "razzista", e lui per tutta risposta mi aveva invitato a passare una giornata al suo seguito. Impresa ardua: iniziava a bordo di una Mercedes alle prime ore del mattino, finiva regolarmente alle due di notte con l'acquisto dei giornali all'edicola di largo Chigi e successiva spaghettata: qualunque cosa si pensasse di lui, era una macchina da guerra, che alzava gli ascolti delle tv private con memorabili dirette, in cui calamitava anche il pubblico degli avversari: "A Teodó – lo aveva apostrofato un ascoltatore a Teleambiente – te posso dì che sei no' stronzo?". E lui, sorridente: "Caro lei, non si permetta di darmi del tu. Chi cazzo la conosce?". E il centralino impazziva. Credo che sia stata l'elezione alla Camera, nel 1993, a moderare le posizioni più estreme, senza fargli perdere la sua radicalitá. Per le politiche di quell'anno aveva ideato una campagna di manifesti, con il megafono in pugno, rubando come slogan il celebre titolo di un film con Dustin Hoffman, "Piccolo-grande uomo". Poi si era gettato a capofitto in due battaglie apparentemente contrapposte: quella a favore degli occupanti abusivi e quella contro gli abusi edilizi dei palazzinari. Andava orgoglioso di una foto in cui lo si vedeva mentre occupava la cabina di una gru. Nel 1993 nelle elezioni che avevano eletto Rutelli era risultato il consigliere missino più votato . Da presidente del consiglio comunale aveva conquistato le pagine dei giornali nazionali con una maratona ostruzionistica contro Rutelli. Per il regolamento Buontempo non doveva smettere di parlare. E così riuscì a superare il record di Giorgio Almirante , che alla Camera si era guadagnato l'appellativo di "vescica di ferro". Buontempo nella sala della Lupa aveva parlato per 27 ore. Come? "Facendo pipì in un cartone del latte svuotato – raccontava divertito – e proteggendo le corde vocali con un trucco contadino, una miscela di alici tritate e miele di mia invenzione, che ha fatto inorridire i miei colleghi, ma che era una manosanta per la voce…".
Si definiva "fascista missino e conservatore non bigotto". Il che vuol dire che spesso si era smarcato in aula non votando molti provvedimenti del centrodestra che considerava impopolari. Nel 1996 organizzava pulmini per portare i giornalisti a visitare le case degli enti concesse a prezzi di comodo ai politici: "Poi vi porto a vedere la mia ai Castelli, fuori Roma, costruita con le mie mani!". Aveva un'idea forte della politica come battaglia politica dura ma leale: "Destra e sinistra – sosteneva – non devono necessariamente guardarsi in cagnesco. Io credo che la cultura della sinistra sia parte essenziale della storia di questo paese. Ma ovviamente la combatto".
Personaggio spesso incasellabile, come Alessandra Mussolini, aveva combattuto la svolta liberale di Fini senza uscire dal partito: "E dire – raccontava sospirando – che nella sezione di via Sommacampagna gli avevo fatto fare carriera: avevo promosso lui responsabile degli universitari e Gasparri, ex liceale del Tasso che da giovanissimo comprava le sigarette durante le riunioni importanti, responsabile degli studenti". Almirante, che si era appassionato a Fini gli aveva detto un giorno: "Ottima scelta Gianfranco: distinto, forbito, sempre con l'impermeabile bianco e quella elegante 24 ore in mano. Ma che ci tiene dentro?". E Buontempo: "Nulla, segretario. Ma la porta benissimo. Farà carriera!". Il giorno della strage di Acca Larentia il 7 gennaio 1978, Fini era stato fotografato con lo stesso impermeabile mentre si accendeva una sigaretta insieme a un ragazzo. Due minuti dopo lui era stato colpito da un lacrimogeno al ginocchio e il ragazzo, che si chiamava Stefano Recchioni, era morto colpito da una pallottola esplosa in uno scontro a fuoco con le forze dell'ordine. Buontempo e il futuro leader di An si erano trovati scavalcati a destra, "Almirantiani": mentre nasceva l'eversione terroristica dei Nar. Negli anni ottanta i ragazzi della sezione di via Sommacampagna si erano trasferiti a Via Milano, nella sede de Il Secolo d'Italia, "Dove Buontempo faceva il capocronista e una volta aveva appeso – così racconta Mauro Mazza, futuro redattore del Tg1 – un redattore dalla finestra, tenendolo per i piedi". C'erano queste due facce, in quella destra: la goliardia ed il lutto. Uno dei ragazzi cresciuti da Buontempo, Mario Zicchieri era morto ucciso dalla futura colonna roamana delle Br in un quartiere di periferia nel 1975. Un altro Francesco Cecchin, nel 1979 sarebbe diventato uno dei "Camerati caduti" dopo essere stato buttato giù da un muretto. Buontempo se lo ricordava redattore in un'altra delle sue imprese giornalistiche, Radio Alternativa: "Sono venuto qui per fare il giornalista, mi hai costretto a fare il disc jockey in uno stanzino foderato di scatole per le uova!". Direttore e proprietario, il "piccolo grande uomo" era uscito da quell'avventura carico di debiti. Ma raccontava divertito un aneddoto esemplare: "Eravamo brutti sporchi e cattivi. Per pagare l'affitto accettammo un lavoretto infame offerto dal padre di uno dei nostri ragazzi…". Il lavoretto consisteva nel bruciare lastre fotografiche e radiografie per recuperare il prezioso nitrato d'argento e rivenderlo al papà del camerata. Ed era stato un disastro. "La prima volta affumichiamo la sezione e rischiamo di bruciare vivi. Poi troviamo il modo migliore e andiamo a fare il falò in un bidone sotto ponte del Lungotevere, come le mignotte". Senonché…"Senonché una sera arriva la buoncostume e ci arresta tutti: io Fini e Gasparri, perché quel fuoco lo scambia per un fuoco di papponi. Avessi avuto una macchina fotografica… te li immagini i due futuri ministri in questura?".
Lui al governo non c'era andato mai, degradato da Fini per il suo dissenso. Un po' ribelle lo era stato già. Nella giornata chiave del 1968, quella della cosiddetta spedizione punitiva all'università di Roma occupata, aveva confessato a Nicola Rao di parteggiare per gli occupanti ("Sia rossi che neri"). Considerava quella giornata "un errore nefasto che aveva fatto perdere alla destra il treno del 1968". E sosteneva che l'insensata carneficina degli anni di piombo aveva stabilizzato il sistema". Ma esisteva lo spazio politico per la destra sociale che vagheggiava lui? Buontempo rispondeva così: "Non dimenticatevi che Fini ha preso il 47% a Roma sotto il simbolo della Fiamma e mai più del 17% con quello di An". Per questo era ovvio che Uno come lui si ritrovasse stretto nel Pdl, e che rifiutasse la fusione con Forza Italia. Nel 2008 diventa presidente del partito di Storace, ma resta fuori dal Parlamento. Gli dispiace, anche se poi si butta a fare l'assessore regionale. Difende con coraggio quasi suicida la pensione per i consiglieri: "Ma scusa, se uno fa il politico tutta la vita, chi gliela deve pagare. L'Unicef?". Coltiva con orgoglio la sua famiglia, tre figli che studiano a Cambridge con lui che per anni, incredibilmente, fa il pendolare: "Ti rendi conto? Mio figlio Michele parla il cinese e l'inglese meglio dell'Italiano!". Gli avevo proposto di fare un servizio televisivo per La7 su questa incredibile famiglia e si era rifiutato: "Sono di vecchia scuola: qui c'é gente che vende il culo per un minuto in tv, io non metto in piazza il mio privato". Però non aveva resistito alla battuta: "C'è gente che mi immagina razzista e retrogrado, ma quando vado in Inghilterra, a casa mia, tra indiani, cinesi, e turchi spesso l'unico 'bianco' sono io". L'ultimo dolore glielo aveva dato lo scandalo dei rimborsi alla regione Lazio, quando Francone Fiorito detto "Er Batman di Anagni", accusato di essersi appropriato di milioni di euro, aveva detto: "Ho iniziato con Buontempo, da ragazzino, andando a picconare i marciapiedi per aiutare i disabili". E lui: "Non mi ricordo questo signore. Ma se potessi tornare indietro il piccone glielo darei sulla testa. La politica che ho amato é finita qui". Vero. É scomparso prima di vedere la terza repubblica, c'é da giurarci, rimpianto anche da alcuni di quelli che negli anni settanta gli avrebbero sparato.
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