di LUCA TELESE
È davvero brutto il pasticciaccio dell’Italia dei valori che si sta celebrando in queste ore. Un partito che tutti i sondaggi davano tra il 5% e l’8% si sgretola come un biscotto (apparentemente) per effetto di una inchiesta televisiva, trascinando in un Big bang di cui è difficile capire la portata, la lista De Magistris, Alba e le convulsioni che dividono i due separati in casa dentro la Federazione della sinistra.
Nell ’area terremotata del vecchio centrosinistra (un tempo era tutta alleata nell’Unione!) da oggi si profilano tre possibili concorrenti. Il primo soggetto è un polo «socialdemocratico » incardinato intorno a Pd, Sel e socialisti (ma da stasera potrebbero esserci anche il Pdci, l’area Patta, e Socialismo 2000 di Salvi, da un lato, e gli orfani di Di Pietro dell’Italia dei valori dall’altro). Dall’altro si rafforza il polo Grillo, in cui potrebbero convergere la lista del M5s, una lista civica con dentro Di Pietro, forse Alba il movimento di Ginzborg e di Revelli, e forse De Magistris, che in due interviste su Il Fatto ela Repubblicasembrava potenzialmente collocabile in entrambi i poli (o i due giornali lo hanno tirato per la giacca, oppure lui è davvero indeciso).
A questa pattuglia potrebbero aggiungersi persino i radicali di Marco Pannella, magari in una nuova incarnazione di lista post- radicale (dalla Mela con il Pri agli antiproibizionisti non è una novità), perché il vero nodo da aggirare è la regola secondo cui il Movimento 5 stelle non può stringere alleanze con dei «partiti» (per effetto del suo non-statuto). «Partiti» fino a ieri voleva dire tutti. Da oggi potrebbe significare che con delle «liste civiche » il legame si potrebbe stringere. In mezzo a questo scenario ci sono altri soggetti per così dire contesi.
Dove finirebbe Rifondazione Comunista in caso di divisione della Federazione della sinistra? Paolo Ferrero parla da mesi di una «Syriza italiana». Ma il suo legame più stretto è quello con Luigi De Magistris (e con un pezzo di Idv) cementato nelle comunali di Palermo e di Napoli. E in mezzo c’è anche un soggetto potente e attrattivo come la Fiom di Maurizio Landini, che ieri Ettore Colombo, giornalista addentro alle cose della sinistra, ascriveva come potenziale pilastro della lista civica che sta nascendo intorno a Di Pietro. Non è un mistero che Maurizio Zipponi, numero due dipietrista abbia legami assai stretti con una parte della galassia metalmeccanica (è un ex dirigente della Fiom). Ma è anche vero che in caso di divisione, anche altri esponenti del sindacato potrebbe finire, invece, nell’area di gravitazione della coalizione di centrosinistra. Giorgio Airaudo, il carimastico numero due dell ’organizzazione ha firmato l’appello per la candidatura di Vendola alle primarie, e alcuni uomini-simbolo delle tute blu Cgil, come ad esempio il licenziato di Melfi, Giovanni Barozzino, abbiano la tessera di Sel. La tessera ce l‘aveva anche Maurizio Landini, l’uomo che oggi tutti tirano per la giacca. E ieri Ladini ripeteva ciò che dice da mesi: «La Fiom non fa politica, e di tutte queste chiacchiere che girano a me non importa nulla».
La verità, forse è a metà strada. Landini non vuole candidarsi perché deve difendere – soprattutto dopo Pomigliano – l’autonomia del suo sindacato. Ma il leader della Fiom non è contento – non è un mistero – dell’alleanza di Sel con il Pd, e della posizione di Bersani sulle leggi Fornero. Tutti i soggetti di cui parliamo, attendono di sapere quale sarà la legge elettorale per prendere la loro decisione definitiva. La Federazione non può celebrare la sua separazione fino alle primarie, De Magistris non può scegliere finché non saprà che sbarramento c’è, anche la svolta di Grillo e l’ipotesi di allearsi con una lista civica dipende dalla permanenza del porcellum. Lo stesso premio di maggioranza, che oggi va alla coalizione che arriva prima, potrebbe essere concesso solo alle coalizioni che raggiungono il 40% da una modifica (truffaldina) che in queste ore i parti della maggioranza tecnica sembrano voler fare a tutti i costi. Ecco perché l’implosione dell’Idv accelera tutti questi processi e ne diventa a sua volta il propulsore.Di Pietro ventila in una intervista a Il Fatto la dissoluzione del movimento ( « L’italia dei valori è morta a Report»), annuncia l’intenzione di dar vita ad una nuova lista in un drammatico ufficio di presidenza, dal giorno dopo il gabbiano sembra rottamato, e il principale oppositore, Massimo Donadi, denuncia il tentativo di cancellare simbolo e partito.
Grillo indica Di Pietro come nome ideale per una carica impossibile (presidente della repubblica) e tutti considerano questo riconoscimento simbolico come un segnale di intesa. Per capire questa operazione, dunque, bisogna fare un passo indietro, e tornare al risultato elettorale (mal sopportato dai centristi) delle ultime elezioni regionali. Quel giorno la vituperata “foto di Vasto” vinceva pateticamente ovunque (tranne che nel sud di Gomorra e in qualche ridotta leghista della Valtellina). Il mirabolante terzo Polo, malgrado le coccole mediatiche meritava di essere raccolto con il cucchiaino. Quel giorno, in cui la vittoria del nuovo centrosinistra alle politiche era già ipotecata, soprattutto nei luoghi dove al centrosinistra di Vasto si aggiungeva la federazione.
Negli ultimi mesi un veto inspiegabile del Pd contro Di Pietro (che Vendola prima ha combattuto, poi subito) e il lavoro di demolizione di Grillo hanno fatto il resto. Ora con un possibile candidato premier come Ingroia, i grillini possono dare l’illusione di vincere. Anche perché la Sicilia e Parma dimostrano che una bella sconfitta, per il M5s, può essere meglio di una buona vittoria.
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