di LUCA TELESE
Eh-em, ehem… Anche la voce non è più salda. Ci sono il fiatone – pant, pant – e le parole che non arrivano come dovrebbero, sulla punta della lingua. È una conferenza stampa – Eh-em, ehem.. – satrapico-crepuscolare, una esibizione in “stile Mubarak” che ricorda gli addii degli sfrattati della primavera araba, le dichiarazioni improvvisate nelle salette di albergo quando le sedi ufficiali sono inibite, con lo sfondo della tappezzeria damascata rossosangue e con i fedelissimi che applaudono freneticamente, nel tentativo (vano) di dissipare l’atmosfera decadente. Non ci sono più i fondali azzurrini, non c’è più «il credo» di Silvio recitato dalle voci bianche, non ci sono più le hostess, non ci sono le folle, le riprese con il dolly, non c’è la regia mainstream del maestro Giuseppe Sciacca, il regista che fece grande la rappresentazione del tele-berlusconismo, non ci sono più (a ben vedere) nemmeno le notizie. Qui purtroppo c’è solo una camera fissa. Da villa Gernetto, in una cornice che sembra molto più casa di riposo che una fastosa tribuna catodica, Silvio Berlusconi chiude la telenovela azzurra della settimana con tre mezze minacce, con tre petardi (leggete qui a fianco la cronaca analitica di Tommaso Ciriaco) che scoppiano male, con una aspettativa pirotecnica suggellata da un retrogusto amaro di polveri bagnate. Il padre di Forza Italia si presenta con i capelli così ben profilati che ricordano quelli dei Playmobil, il volto aggrinzito, il trucco incipriato che esalta il disegno acuminato delle sopracciglia, il sorriso che lo rese leggendario che non si illumina (fateci caso) nemmeno una volta. Berlusconi lascia intendere che potrebbe fondare una sua lista, come si paventava (ma non dice mezza parola che trasformi questa chiacchiera in eventualità concreta). Dice che deciderà insieme ai suoi colleghi nei prossimi giorni «se è meglio togliere immediatamente la fiducia al governo». Aggiunge, in un crescendo: «Non credo che dopo questa soppressione della democrazia ci sia ancora il posto e il tempo» (per Monti). Preannuncia, come se fosse una bomba atomica, la rivelazione di un retroscena sulla speculazione tedesca: «Venne dato ordine di vendere i titoli italiani…». Dice che vuole abolire l’Imu (quella stessa tassa che lui e i suoi parlamentari hanno votato, difeso, sostenuto in televisione in questi mesi!). Inizia con immagini sublimi: gli ospedali per i bambini in giro per il mondo da far costruire a Guido Bertolaso (una garanzia) spiega che le primarie ci saranno. Oppure che non ci saranno se dovesse candidarsi lui («Ma ho deciso di non candidarmi»). Oppure che non ci saranno se cambia la legge elettorale (quindi si deve dedurre che la vuole cambiare e che non vuole le primarie). E in mezzo a tutto questo, quell’ansimare – pant pant – che mai gli aveva tagliato il fiato, quei sospiri, quel perdere il filo: «Mi può ricordare la prima parte della sua domanda?». In questi 50 minuti di televisione araba, in questa diretta boomerang vagamente claustrale, tutto parlava di Berlusconi più di Berlusconi. La prima fila apprensiva dei supporter, con in primo piano il corrucciamento scolpito, e amicalmente turbato di Paolo Bonaiuti. Oppure la faccia spaurita di Mariastella Gelmini, con il dito poggiato sul labbro, e una maschera su cui si dipinge una espressione interdetta: come se Berlusconi sesse dicendo troppo, o troppo poco, ma comunque qualcosa che non le torna, e che le turba i pensieri. Anche Daniela Santanché, poco più indietro, viene sorpresa dall’operatore mentre annuisce, più per fare coraggio a se stessa che a Silvio. La Santanché aveva preannunciato questo ritorno con le sue interviste di ieri, è l’ultima partigiana della resurrezione del Cavaliere, ma stasera, davvero, non c’è trippa per gatti. I primi boatos e i retroscena che vengono consegnati in rigoroso off the records raccontano senza filtri che dietro le quinte è andato in onda un mezzo psicodramma. Da una lato il Cavaliere, dall’altro i colonnelli: Angelino Alfano, Gianni Letta, lo stesso Bonaiuti, tutti perlessi di fronte all’idea che fosse possibile tornare in campo armando la crociata: «Non torno in campo – ha detto il Cavaliere – non sono mai andato via». Eppure le ultime ore ci avevano regalato una lettera di commiato e persino un video che spiegava il ritiro. Eppure sono mesi che il leader non c’è più, si frattura, si ammala, cancella gli impegni, salta persino le partite del Milan, si ritira nella dacia di Putin, si confina sulla nave da crociera de Il Giornale (senza giornalisti), compulsa i sondaggi della Ghisleri, prepara liste che vengono smantellate prima ancora di essere testate. Insomma, non c’è. Forse per sfuggire a questa trappola di impotenza e di rassegnazione Berlusconi aveva pronto l’ennesimo colpo di scena della sua carriera, e una congiura degli innocenti (si fa per dire) gli ha impedito il coup de theatre. È rimasto solo, isolato, dilaniato fra le spinte divergenti dei colonnelli, e i segnali di sfilacciamento. Non è un mistero che ieri Angelino Alfano fosse pronto a corrergli contro, se avesse annunciato di correre alle primarie. La recita è finita, ma il Cavaliere non se ne accorge. Oppure finge di non accorgersene, che è lo stesso. Al fianco c’è il volto pallido di Niccolò Ghedini, che incastonato in questa cornice sembra un caratterista di qualche serie orrorifica in bianco e nero. Sì, è davvero scattata l’ora surreale del berlusconismo. Chiusa questa pagina di storia del ventennio breve di Arcore con le ultime cronache della decadenza, bisogna davvero pensare al futuro.
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