di LUCA TELESE
Puoi finire in carcere perché hai i capelli lunghi e una faccia da perfetto colpevole? Confesso che quando quest’estate hanno arrestato per la prima volta Giuseppe Dore (un’ordinanza che lo accusava di essere un santone violento), ho guardato quella foto e mi sono detto: «Non ci sono dubbi, hanno ragione i pm». Magari Dore lo è davvero, colpevole. Ma io, preso dalla curiosità mi sono messo a leggere tutto quel che potevo sulla storia di Ittiri. Ogni indiscrezione sull’inchiesta, veicolata dalle indagini sui giornali, era colpevolista. I tg nazionali hanno diffuso foto e titolo, ad agosto, con il tono irrevocabile di una sentenza. Poi nulla. Ma ecco un particolare che mi colpisce. Una mattina leggo su La Nuova Sardegna: Dore ha appeso nella sua comunità terapeutica una foto in cui la sua testa è stata sovrapposta a Cristo. È matto come un cavallo, penso. Poi però mi capita di andare a Ittiri. Incontro per caso la sua professoressa del liceo che mi dice: «Era un ragazzo generoso e idealista». Un’altra signora, al suo fianco, mi racconta la storia della foto, ma in un altro modo: per prenderlo in giro un paziente aveva fotoshoppato il suo volto con il corpo di Gesù. Lui è stato al gioco e se l’è attaccata in camera. Contestualizzare in un modo o nell’altro voleva dire cambiare totalmente il racconto, e il suo senso. Così leggevo tutto. E più leggevo, meno capivo. E meno capivo, più mi accorgevo che il caso della cura “miracolosa” per l’Alzheimer incrocia alcune delle grandi domande che ci angosciano nel tempo dei miracolismi sanitari e della disperazione terapeutica. Il primo è il confine della libertà di cura. Si può picchiare un malato? Certo che no. Si può violentarlo? Ma cosa significa violentarlo? Costringerlo a fare ciò che non vuole? E i farmaci, sono anche loro, una forma di violenza? Maria Grazia Gerina sta scrivendo per questo giornale i capitoli di una inchiesta che è avvincente e sconvolgente, come un romanzo (quello che avete in questa pagina è solo il primo atto). Ma la storia di Ittiri è realtà: tenere in piedi un malato che si sta allettando vuol dire fargli del male? E obbligarlo a mangiare a pizzichi se vuole essere imboccato con il cucchiaio? Le visite da 60 euro erano un grassaggio dei familiari come dicono i giudici? Forse. Ma le visite dei grandi luminari a 150 euro, o a 200, cosa sono, allora? Il secondo tema che il Caso Dore evoca, con la potenza di un detonatore è quello antichissimo della credulità. Se Internet amplifica le voci di guarigioni miracolose, ecco che la rete disegna lo scenario di un moderno medioevo, dove un piccolo paese della Sardegna diventa una nuova Lourdes. In terzo nodo è il rapporto tra l’accademia e la “medicina sperimentale”. La comunità medica sassarese, anche se animata da propositi nobili, ha vissuto il centro di Ittiri come un’eresia. Come un concorrente. Come un pericolo. Magari avevano ragione loro, ma dietro ogni eresia c’è un problema di credibilità. Una delle arrestate del caso Ittiri, Marinella D’Onofrio è finita in carcere perchè – dicono i pm – aveva avvalorato con il suo «prestigio professionale», la credibilità di Dore. Lei ha dimostrato di non aver avuto nessun fine di lucro, i gip l’hanno scarcerata, ora è uno dei personaggi chiave di questa storia. La racconteremo presto. La realtà, rispetto ai teoremi, ha un problema. Non sempre tutto torna.
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