di LUCA TELESE
Come in un film di Frank Capra, l miracolo civile alla fine si è celebrato in una giornata lunga settantadue ore, in cui è successo di tutto e di più. Come in un film di Capra, “La vita è una cosa meravigliosa” (in cui James Stewart arriva a sentirsi perso), per due mesi, negli occhi di chi ci guardava da fuori, tutto sembrava impossibile: «Ma 'ndo vanno questi?». Ci guardavano con uno sguardo a metà tra lo scettico e lo sbigottito: «Ma riuscirete ad andare in edicola?». Oppure ci dicevano: «Sarà un giornale di partito? Sarà un giornale con più di quattro pagine?». Oppure «Ma a chi volete rubare copie, tra i giornali già in edicola?». O anche: «Ma chi vi paga?». Oppure, con occhio corrucciato: «Da quale campagna di comunicazione sarete sorretti? Quanto avete speso in pubblicità?». Ebbene, nulla di tutto questo: abbiamo unito la lingua della generazione 2.0 e il metodo antichissimo del più nobile agit prop, che consuma le suole delle scarpe da una capo all'altro dell'Italia. Abbiamo girato il paese a bordo della nostra Pubblicomobile, una vecchia Multipla, che un tempo era un taxi, un esemplare del 2007 (a metano), di quando cioè la Fiat fabbricava ancora auto che potevano finire al Moma (esposte in un museo futuristico come gioielli futuristi). Mentre chiudevamo il primo numero è successo davvero di tutto: per esempio è crollato (miracolosamente mentre ci eravamo davanti) il baracchino su cui si reggeva l'intero sistema. E' venuto giù e lo abbiamo afferrato al volo, in due, ed era così pesante che si faticava, non avevamo nulla per puntellare, in redazione, e c'era Tommaso Tessarolo (il nostro amministratore delegato) che gridava: “Non mollate nulla! Se si staccano i fili il giornale non esce”. Per quanto possa sembrare incredibile per un'ora siamo rimasti così, io e lui, a reggere il baldacchino, e a darci il cambio con altri che poi andavano a scrivere i loro pezzi. Alla fine di un tempo interminabile è arrivato il tecnico e lo abbiamo rimesso su. Però siamo andati in stampa in tempo, siamo arrivati, partendo dalle rotative di Roma fino in Calabria, io sono corso da Gad Lerner, che mi ha regalato 5 minuti per dire all'Infedele cosa stavamo combinando, e siamo andati in battaglia così. Molti dicono: «Perché un giornale cartaceo?». Con quel sottinteso postmoderno, come se stessimo ostentando una reliquia. Ed invece queste copie che camminano per l'Italia sono la democrazia. Queste copie di carta che corrono nelle camionette notturne e battezzano ogni edicola sono il vostro diritto di scegliere: se vi piaciamo e ci comprate saremo vivi, altrimenti no. La carta è democrazia: la carta rende giornale un grande bene pubblico, una proprietà condivisa. Alle undici di sera ha iniziato a squillare il telefonino: erano gli amici della Sodip, la società che ha distribuito il quotidiano, i nostri compagni di viaggio. A Carsçli, nel centro stampa avevamo Lucianone Carli (un giorno vi racconterò la storia del nostro rapporto che è un altro film) e quando lo ha visto uscire mi ha detto solo: «Lù, è bellissimo!». Poi da Milano ha chiamato Claudio Tognoni (detto “Kevin Speacy”per una incredibile somiglianza) e ha sorriso: «Abbiamo già vinto». Vero. Infine siamo arrivati al teatro Vittoria, stanchi adrenalinizzati, accolti da tanti amici: era pieno. In un video acompagnato dalla bellissima Don't give up di Peter Gabriel abbiamo rivisto il film dei tanti volti incontrati in questo viaggio italiano. Sono arrivate da Carsoli le prime 500 copie, scomparse in mezz'ora. E da ieri sera gli abbonamenti e gli acquisti di singole copie online hanno iniziato ad arrivare a pioggia (da tutto il mondo), come se un motore fosse stato acceso, non so dove. E' il finale del film di Capra: non sai come, ma sai che alla fine ce l'hai fatta, perché se non ti perdi non puoi perdere. Questa sera –mentre chiudo l'articolo – ci accompagna il tambureggiare delle prime proiezioni: di 120mila copie distribuite sapremo solo oggi la cifra esatta, ma siamo arrivati a una cifra che oscilla fra le 40 e le 50mila copie vendute. Un miracolo Mi sono venuti in mente i referendum sui beni Pubblici, la grande vittoria rimossa dai dirigenti del centrosinistra, la vittoria a mani nude. Anche noi, a mani nude, con le radio, i tweet, e l'attenzione repubblicana di alcuni media (ringrazio, davvero, Sky e Tgcom24) siamo arrivati al pubblico che che aspettava. Poi è arrivato quel diluvio di messaggi, dai social network. In redazione ci chiedevamo: «E' giusto aprire su un call center? Penseranno che ci siamo dimenticati di Marchionne e della Poverini?». E invece avevamo scelto “l'obtorto call” dei giovani lavoratori schiavizzati. Dare voce a chi viene cancellato dai media perché non ha volto. Manolo Fuchecchi (il nostro art director che ha illustrato un intero giornale quasi da solo!) ha preso un voltobandiera, quello di Isabella Ragonese nel film simbolo di una generazione (“Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì). Ci avete sommerso di messaggi con cui ci avete detto che lo storcere il naso di alcuni colleghi, era offuscato dall'eco dei tanti che hanno detto: «Siamo tutti appesi a quel cappio». L'Italia di oggi è quella raccontata da Paola Natalicchio: chiudi a Roma e i ragazzi finiscono in cassa integrazione (a spese di tutti), riapri in Calabria e ottieni le sovvenzioni pagando metà le persone. Non era una notizia: era un simbolo. Ed è per questo che deve restare su quella prima pagina. Adesso possiamo rispondere a quelle domande: «Ndo' vanno?». Ecco dove, siamo arrivati in edicola. Sulle nostre gambe, senza un lira di finanziamento pubblico. E questo non è un giornale di partito, ma un giornale che parla a tutti i popoli della sinistra italiana e sceglie cosa scrivere senza dover rendere omaggio a nessuno. Se domani sul sito andrete a vedere l'integrale della nostra intervista a Nichi Vendola scoprirete che le interviste si possono fare in modo civile , senza omettere nessuna domanda. Nichi non si è sottratto. E forse, perché adesso si sente molto libero, ha portato l'incrocio fra la sua vita pubblica e quella privata, all'estremo limite. Mi sono chiesto cosa accadrà, domani, del primo leader di rilevanza nazionale che esplicita la richiesta di vedere riconosciuto un nuovo diritto, e lo accompagna ad una battaglia politica per sostenerlo. Forse Vendola fa questo passo, sapendo che pagherà dei prezzi, che subirà un fuoco di contraerea terrificante. Forse da domani fioriranno battute sui suoi desideri di paternità? Anche lui ha scelto di andare in battaglia. Sta di fatto che questo è un guanto di sfida non tanto per i conservatori che hanno fermato le lancette di questo paese per venti lunghi anni (pensate a Eluana Englato, pensate a Luca Coscioni), ma piuttosto per quei conservatori di centrosinistra che ti ripetono sempre: «Io vorrei pure, ma i tempi non sono maturi». Ecco, la politica ha un solo modo per scoprire se i tempi sono maturi: gettarsi nel vuoto, e iniziare a navigare controvento. Noi, come in un film di Frank Capra, abbiamo trovato un mondo che da oggi ci permette di vivere senza pagare dazio a nessuno.
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