LUCA TELESE
da Marina di Pietrasanta
Renzo allarga il suo sorriso: “Ecco, per esempio, prendete il venditore di cd taroccati di Caianiello. Un genio. Monti dovrebbe studiarlo… Altrimenti non può capire questo paese”. Non fa in tempo a finire la frase, Renzo Arbore, che dal parco della Versillana si leva un applauso scrosciante. Non si capisce bene se è di simpatia per lui, per il taroccatore, o per l’idea che qualcuno – finalmente – possa rimettere a studiare il governo dei tecnici.
Venerdì sera, Marina di Pietrasanta. È da 21 anni che con la sua banda di musici solari Arbore gira e canta per il mondo, ma mai come ora l’Orchestra italiana e il suo profeta sono stati contemporanei ed attuali. Provo a capire perché. In primo luogo perché il vulcanico Arbore, lo strepitoso Gegé Telesforo e la loro sfavillante scuderia di talenti sono visti come un bene-rifugio e un anatema scaccia-crisi.
E poi perché la “napoletanità mainstream” inventata (o re-inventata) dall’Orchestra italiana diventa uno dei pochi antidoti possibili all’angoscia dei tempi bui, alla dittatura dello spread: 1.445 biglietti esauriti da due settimane e ressa al botteghino per chi è rimasto fuori, qui come ovunque in giro per l’Italia. Su Twitter già si preparano alla prossima tappa: “Lo aspettiamo ad Eboli!”.
Ovviamente ci scherza, Arbore, su questo successo, esibendo una cornicetta che si porta dietro per scaramanzia. C’è dentro un bigliettino affisso al teatro Bellini, in una serata di sold out. Adesso lui la declama, divertito dal palco: “Renzo Arbore è esaurito. Si prega di non insistere”. E giù un’altra ovazione, e risate, e urletti.
E allora sarà il caso di tornare al taroccatore di Caianiello che, secondo Arbore, Mario Monti dovrebbe studiare (io temo che non sia in grado di capirlo, perché non è traducibile in tedesco).
Ripartiamo da lui, perché ogni volta che la racconta, questa storia, Renzo, diventa più bella: “A Caianiello c’è un signore che vende i dischi falsi, e fin qui nulla di strano..”. Arbore sorride: “Vende i miei dischi piratati.. Eh, eh, eh…”. Partono i primi sorrisi: “Il bello è che li vuole vendere a me!”. Applauso. E qui l’uomo della notte piazza la battuta che il premier dovrebbe studiare: “Lui, il taroccatore, insiste. Io resisto. E allora mi sorride e mi fa: ‘Scusi, dottore Arbore: ma se non se ve l’accattate vuje, chist’ ciddì, chi se lo deve accattare?’”. Sì, un genio: e infatti il pubblico della Versiliana si spella le mani.
Così non puoi che chiederti:. quale è il segreto di uno spettacolo che riempie i teatri di tutto il mondo per quattro lustri? Semplice. Prima di tutto lui, Arbore, che a Marina di Pietrasanta era addirittura senza voce. Un altro avrebbe di sicuro annullato il concerto. Invece lui ci ha scherza su: “Sapete che faccio? Mi aiuto con le canzoni comiche di Murolo..” (non richiedono acuti).
E giù repertorio illustrato didatticamente: perle come la “Casciaforte” (quella metaforica dove riporre le cose belle di una vita), come Fragola fra, o la storiella esilarante dell’uomo che è stato lasciato da una amante pretenziosa e racconta tutto quello che si può comprare con i soldi risparmiati. A metá concerto – per magìa – Arbore va al piano, sconfigge la raucedine con la sola forza di volontà, e si mette a cantare “Piove”, di Domemico Modugno, con la gente in platea che letteralmente si commuove: sia per “Ciao-ciao bambina”.
Sia per la generosità delle corde vocali di Renzo: “Va suonata così, semplicemente, alla tastiera, come piaceva a Mimmo”. Breve digressione. Io faccio parte della generazione che nell’arborismo, per sua fortuna, ci é cresciuta. Alle elementari ai tempi dell’Altra domenica, sedotti dalle facce da matto di Andy Luotto o dal fatti-più-in-lá delle sorelle Bandiera.
Alle medie cantavamo “Ma la notte” nei corridoi di scuola, e chiedevamo di restare svegli ai genitori per ammirare i pennacchi di Renzo: le prime speculazioni intellettuali le abbiamo fatte educati dall’ironia intelligente di Luciano De Crescenzo e di Riccardo Pazzaglia (“Il livello è basso!”). Dentro questo mix irripetibile di suoni, goliardia e buon gusto – come metá della popolazione attiva a partire dai fan più antichi, che vengono da Alto Gradimento – abbiamo imparato a scherzare.
Perché solo Renzo può fare venti minuti di spettacolo prendendo in giro il monumento di se stesso: “Io lo so, lo so. Molti di voi sono qui perché a casa si chiedono: ‘Vediamo come si mantiene Arbore’…”. (Applauso elettrico e divertito). Lui prosegue: “Le donne di solito sono più generose. Lei dice al marito: ‘E Però…’ Lui dice alla moglie: ‘Ma che però e però! Guarda come è ridotto!”. Boato. Nuovo cambio di marcia e nuovo aneddoto napoletano, stavolta ambientato nel leggendario casello Caserta sud dove un benzinaio balbuziente si impianta riconoscendolo dietro il vetro: “Renzoarbore!!!?? Vaffa… Vaffa…. Vaffa…”.
Nuova sapiente pausa. “Vaffacite ‘na foto cu’ me?”. E subito dopo, mentre la posa attira i curiosi, un altro astante dice: “Arbore, ma lo sa che lei è meglio vivo?”. Renzo si tocca il cavallo, la pancia, scherza sui capelli radi, allestisce un altro numero sapiente di ironia crepuscolare. “Ad un certo punto dico: ‘Scusate, devo andare in bagno…”. E qui già si comincia a ridere, mentre Renzo mima l’espressione del benzinaio di Caserta sud: “Mo’ me ne vengo cu’ vuje…”. Lui prova a difendersi: “Grazie, posso fare anche solo..”. E quello: “Insisto!”. Scenetta epica nei cessi dell’autogrill.
Uno a fianco dell’altro davanti ai vespasiani con il casellante che indica “lo strumento” di Renzo e fa: “O’ clarinett, hi-hi-hi…”. Non é finita. Ci vuole la foto. Arbore implora: “Almeno possiamo farla fuori dai bagni?”. E il benzinaio: “Ennó. Devo poter dire a mia moglie: ‘Lo sai che ho fatto pipì con Renzo Arbore?”. Segue spiegazione filologica sul clarinetto. “Pensate che per anni molti credevano che fosse una canzone a doppio senso…. Eh eh eh”. Pausa. “Invece ne ha uno solo. Quello lì!”. Mani che si spellano.
Arbore spiega che da tempo fa la gag di perdere il filo del discorso per un accorgimento di senilità preventiva: “Così quando fra poco perderó il filo davvero, nessuno capirá la differenza”. Peró fra una battuta e l’altra, Renzo sale im catredra: “Murolo é il più grande codificatore della canzone napoletana: senza di lui non saremmo qui”. Poi racconta la Versilia ai versiliesi: ”Non é una ruffianata: negli anni ’50 qui frequentavo locali come il Carillon e imparavo: da Buscaglione a Carosone i più grandi erano qui. Era- spiega Arbore – la musica che mescolava la canzone italiana con i nuovi ritmi”.
Poi la gag involontaria: Quando avevo 54 anni nel 1954….”. Nuove risate. “Ecco, vedi. Quando uno inizia a sbarellare… Non prevalebunt. E’ latino”. Di nuovo in lui sale in cattedra il maestro: “Con Murolo avete ritmato con le mani in battere. Poi però c’è il levare del jazz…”. Ed ecco che torna la musica, con la voce e il talenti eclettico di Mariano Caiano.
Di nuovo la divulgazione: “Il modello erano le vecchie orchestre delle serenate: chitarre, mandolini cori”. Nuova lezione: “Eduardo Nicolardi, un autore grandissimo, era innamorato. La famiglia voleva un matrimonio di convenienza. Nicolardi accettò che questa ragazza si accasasse ma andò a cantare tutte le sere una serenata struggente”. Che recita piiù o meno: se ascolti la mia voce fai finta di dormire. E’ il momento di Barbara Bonaiuto, cantante di estensione poderosa. Segue un esilarante spiegazione di: “Dicitencello vuje”.
Questa è la comica illustrazione di Arbore: “Ecco la storia: Lui ha un’amica, e dice a lei di dire alla sua amica che lui l’ama, perché in realtà lui ama lei, l’altra, e vuole conquistarla parlandole dell’amica”. Risata. Arbore: “Si è capito? No? Ecco, per questo io non sono ai livelli di Pippo Baudo: non condurrò mai Sanremo”. Altra ovazione. L’uomo della notte torna a fingere di perdere il filo: “Ma perché sto parlando di Baudo? Non lo so più. Vecchiaia”. Al piano c’è il maestro Massimo Volpe.
E ai mandolini due genii che – scherza ancora Arbore – sono stati recuperato tramite Piero Angela. Gli ho detto: hai fatto i dinosauri e gli aztechi, trovami due mandolinisti!”. Uno dei due si chiama Tore Esposito e Arbore scherza anche su quello: “Cercate alla voce Esposito. É il terzo cognome italiano. I Rossi sono 7.500. I Brambilla ormai all’ottavo posto…”. L’altro mandolinista fa da spalla e viene accusato di “Ostrunzionismo”.
Da Castelfidardo arriva il fisarmonicista Claudio Cataldi. Il bello è che Renzo, il re della napoletanitá neoclassica, è pugliese: “Mi porto dietro questo marchio. Nella Napoli dove ho studiato, quando si vedeva un cafone con i calzoni a saltafosso, si diceva: Ecc’, è arrivato o’ treno a’ Foggia!”. Certo, nello show c’è anche la grande nostalgia italiana: immagini in bianco e nero di Totò, Domenico Modugno, Roberto Murolo e occhi lucidi tra il pubblico.
E poi c’è De Crescenzo. l’amico di sempre “Nove anni più grande”, evocato come rischio di senilità imminente: “una volta ho chiesto a Luciano. Quand’è che hai fatto l’ultima volta l’amore? E lui: ‘Renz, il problema non é quand’. Il problema è come”. Ed ecco il “come” di De Crescenzo, riferito da Arbore: “Quand’ è stato, e stato uno schianto. Allora Luciano dice alla ragazza: ‘Scusa, song a piezz’… Pigliat ‘o taxi pe’ turnà a casa”. E lei: “Scusa, Luciano: veramente sei tu che sei a casa mia. Il taxi te le prendi tu!”.
Chiusura musicale sublime con Natalino Otto e Telesforo che si scatena nello scat. Gran finale con un supermedley che tiene insieme tutti i grandi successi, con “O’ suordat’ nammurat’”. E la politica? Renzo gli dedicata una battuta folgorante, partendo dalla gag del sarto annicinquanta che gli chiedeva: “Scusi Arbore dove tenite o difetto?”. E lui: “Quale difetto?”. E quello: “Il fastidio! Dove lo poggia?”. Si parla, ancora, del clarinetto.
Arbore si scatena in una lista di sinonimi che nemmeno Benigni e poi chiude cosi. “Il più bello e antico è creapopoli. Se ci pensate è quasi sempre a sinistra. L’unica cosa che é rimasta a sinistra. Nei secoli”. Dopo tre ore di spettacolo, sipario. Questo è l’arborismo nel tempo della crisi. L’idea che solo il Sud ci salva dalla dannazione. La certezza che solo la meridionalità, intesa come espressione della felicità, può cambiare il racconto dell’Italia depressiva.
Battuta sulla Lega: “Noi a Varese, dove qualcuno voleva fare il parlamento, non ci siano andati. Siano andati a Bergamo, perché è la città dei Mille, così come Reggio Emilia è la città del tricolore”. In napoletano ri-codificato di Arbore è una lingua internazionale, molto più dell’italiano, una lingua di passioni messa a punto da un napoletano di Foggia, che oggi serve a tutta l’Italia. Sì, Monti dovrebbe andare a lezione a Caianiello. Poi da Arbore. E quindi, presumibilmente, dimettersi. Perché per lui “Non è cosa”.
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