di LUCA TELESE
Nel capolavoro di Frank Capra, La vita è meravigliosa, ogni volta che suona un campanello, un angelo di terza classe si conquista le ali. Nello scenario surreale della politica italiana, ogni volta che Pierluigi Bersani appare immortalato nella inquietante iconografia della sua nuova maggioranza, il Pd perde cento voti. Se non altro perché quella alleanza risponde alla rabbia dei cittadini con inverosimili proposte elettorali (l’ultra-porcellum crea scandalo fra molti parlamentari, a partire da Rosy Bindi, Giorgia Meloni o Cesare Damiano) e stucchevoli difese della pioggia di soldi sui partiti: “Non possiamo ridurli di nemmeno un euro”. È davvero un mistero quello dell’alleanza “ABC”, che dopo essere nata in clandestinità, irrompe sulla scena tra lo stupore dei reciproci elettori e lo sconcerto di quelli di sinistra, che quando vedono il terzetto si domandano cosa ci faccia lì il loro segretario. Che cosa direbbero, poi, se al posto di “A”, Angelino Alfano ci fosse ancora Silvio Berlusconi? Crisi al caviale Eppure, questa è la cabina di regia che ha scelto di fronteggiare una doppia crisi economica e politica senza indicare nessuna prospettiva. Ci sono antecedenti, anche se non proprio illustri: dopo il preistorico “DAF” degli anni settanta (Dorotei-Andreotti- Forlani) e il dimenticabile “CAF” degli anni ottanta (Craxi-Andreotti-Forlani) la politica di Palazzo Chigi ritorna all’addizione delle iniziali, a quel gioco linguistico che ha il nome di acrostico. Non più formule politiche: “Centrodestra”, “Nuovo centro sinistra”, “Grande Alleanza Democratica” (la dimenticabile “GAd”), fantomatici “Polo del buongoverno” o “delle libertà”, non più superlativi evergreen come l’intramontabile “Governissimo”. È curioso che in un momento in cui fioccano inchieste, scandali, piccole miserabili rivelazioni sui pasticci della Casta, sui maneggi dei tesorieri, la pasta al caviale da 180 euro al piatto di Luigi Lusi, e su quella parte di finanziamento pubblico che secondo i magistrati è atterrata sull’operazione alle adenoidi di Sirio Eridanio, sul lastricato del terrazzo di Gemonio, nei lingotti d’oro e nei diamanti che appaiono e scompaiono mentre nella Lega si agitano le scope e le ghigliottine, è davvero curioso, mentre sale la rabbia per l’insostenibile distanza fra i sacrifici richiesti alla gente e la munificità dei miliardi depositati senza vincoli nelle casse dei partiti, che la difesa della politica sia affidata al grado zero della politica: a un patto politico cioè – che è tenuto insieme solo dal fragile comune denominatore di una consonanza alfabetica. L’ultima incredibile uscita del trio ABC è quella assai infelice sul finanziamento pubblico: “Se si riducesse la quota del rimborso – hanno scritto – la politica finirebbe nelle mani delle lobby”. Come se a parlare fossero i portavoce di un comitato di suore orsoline. Cresce il discredito dei partiti, crolla il prestigio del Parlamento, ci sono deputati come Calearo che vantano Porsche “off shore”, sale il vento dell’antipolitica. Stampelle e mazzate Ma la politica cosa fa per combattere il malcontento dei cittadini vessati? Come può mantenere il suo prestigio se annuncia la riduzione di 500 euro dell’indennità nello stesso giorno in cui incassa 500 euro di rimborso previdenziale? Come può, se nomina una commissione per comparare gli stipendi europei che dopo tre mesi dichiara di aver fallito? Come può se abbassa i vitalizi, ma solo dalla prossima legislatura? Come se due giorni fa – ultima perla di Abc – il Senato ha dovuto cancellare l’odioso balzello che solo il giorno prima il governo dei tecnici aveva imposto sulle magrissime entrate degli assegni di ricerca? La maggioranza ABC è la stampella del governo Monti. Ed è la proiezione evanescente dell’unica autodifesa che il Palazzo sia riuscito ad allestire in questi giorni: la deresponsabilizzazione. In realtà il patto a tre aveva iniziato a covare nei giorni della crisi di Berlusconi, quando Antonio Di Pietro (che sulla carta all’epoca era ancora in maggioranza) denunciava la sua esclusione dalle consultazioni degli altri leader messe in piedi dal Quirinale. C’era prima della crisi, ed è riapparsa dopo, navigando sopra il Parlamento al di fuori di ogni galateo istituzionale. Il primo incontro a tre, come quando gli amanti simulano, si celebrò nella saletta della Camera di via degli uffici del Vicario, alla presentazione del libro di Maurizio Lupi. Quel giorno “la foto di Vasto” fu sostituita (purtroppo senza comparabile corredo polemico) dalla “Foto di ABC”: solo che i cronisti non se ne erano accorti. Poi il feeling politico, ha trovato una furtiva incarnazione nel “patto del tunnel”, inaugurato da Alfano, Bersani e Casini nel giorno in cui (25 novembre 2011), per vedersi senza dare nell’occhhio i tre si infilarono in un sottopassaggio che collega il Senato e Palazzo Giustiniani. Per proteggere “i tre tenores” vennero addirittura chiuse le porte del palazzo. Un’altra riunione si celebrò clandestinamente, e senza obiettivi indiscreti in una casa privata vicino a Corso Vittorio Emanuele: l’alleanza ABC era ormai in campo. Mancava solo un epiteto. E l’invenzione nominale – geniale per capacità di sintesi – si deve a Francesco Bei, “palazzochigista” principe di La Repubblica, che il 26 novembre coniava l’acrostico in un articolo il cui – incredibile ma vero – i tre leader smentivano qualsiasi “patto del tunnel”. Orme e vizietti È la prima alleanza che ha cementato la propria unione non per affermazione ma per negazione. Il 27 marzo 2012 nuovo vertice, e nuovo parto politico: l’accordo sulla legge elettorale. Così come il porcellum fu il manifesto ideologico del berlusconismo, l’ultra-porcellum è un vestito su misura per garantire la permanenza di chi l’ha partorito, ovvero ABC. Anche il premio di maggioranza ai primi tre non ha precedenti nel mondo, così come la sottrazione ai cittadini del potere di scegliere, non solo gli eletti, ma anche maggioranza e premier. Però, essendo il patto furtivo, la cancellazione del potere di coalizione è indispensabile perché l’accordo possa essere negato in campagna elettorale. Lo sbarramento al 5 % sarebbe uno sfregio anche per Futuro e Libertà, che curiosamente è in maggioranza, ma non è ammesso alle photo-opportunity che Casini posta su twitter. Oggi, nel momento in cui controllare i soldi ai partiti dovrebbe essere imposto da un minimo spirito di decenza, Alfano, Casini e Bersani dicono che non si può. Si chiudono a testuggine mentre piovono scandali, le elezioni incombono, i sondaggi mettono le ali agli oppositori antisistema, il non-voto supera ogni record. Auguri.
twitter@lucatelese
Rispondi