di LUCA TELESE
La prima cosa da dire, purtroppo, è che il corteo di ieri aveva poco a che vedere con la Val di Susa, poco con la Tav e pochissimo o nulla a che spartire con le belle pagine scritte dai movimenti radicali in questi anni. È triste da constatare, se si esclude la bella e festosa coreografia della capoeira, se si tralascia la bellezza di certe figure ritagliabili come le pacifiste in bicicletta e i ragazzi (pochi) delle scuole. L'immagine desolante di questo corteo, però, il tono dominante, era un corpaccione di extraparlamentari vecchi e nuovi, di ex "pantere" degli anni Novanta ingrigite, centri sociali e antichi Volsci (nel senso di via dei). Nulla di male, sia chiaro: ma l'autorappresentazione stessa del corteo, la pattuglia spaurita e quasi asfittica di poco superiore a qualche migliaio di persone, persino la sloganistica neanderthaliana e rozza messa in campo (era difficile sentirne un coro con una rima decente) dava una rappresentazione desolante del livello politico medio: slogan come "Giornalista terrorista / giornalista terroristaaaaa", rime alate del tipo "trallalà-trallalà / e violenza sarà" facevano cascare le braccia e ponevano seri interrogativi su dove diavolo sia finita la strepitosa vena creativa del popolo viola. Ho percorso questo corteo con un chiodo di disagio. Ma il gioco dei piccoli Von Clausewitz di periferia impegnati fra tangenziali, autostrade e ferrovie, aveva qualcosa di grottesco per due motivi. Il primo: giocare al gatto e il topo con la polizia è un esercizio sterile, ma è anche un doping emozionale pericoloso. Se il "chissà che cosa faranno" e l'invettiva contro i media, e gli insulti contro il giudice Caselli diventano l'unico elemento di interesse della giornata, a essere sconfitti non sono i detrattori del movimento, ma lo stesso movimento. É come se, mentre lo scenario spettrale del governo tecnico e il progredire di una crisi feroce alzano il livello della sfida di chi si oppone al pensiero unico, i sedicenti No-Tav di Roma abbassassero l'asticella autocastrandosi, riducendo tutto il loro sforzo a studiare sulla cartina l'itinerario da piccoli vietcong della guerriglia urbana, quelli sempre pronti a gridare la loro rabbia contro "gli sbirri". Ebbene, la colla tirata contro la troupe de La7, le minacce alla Rai, e il nervosismo contro i media sono un segnale di povertà di contenuto. E se ieri non è successo nulla di grave è perché i poliziotti, per ben tre volte hanno rinunciato a dare battaglia lasciando i ribelli ai loro esercizi spirituali. Più che "pecorelle" dei santi, gli agenti. Più che degli antagonisti degli ultras da stadio, i manifestanti.
twitter@lucatelese
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