di LUCA TELESE
Cosa succede ora, nel Parlamento dei nominati? Mercoledì pomeriggio, solo pochi attimi prima del voto su Cosentino. Una piccola scenetta che si svolge in Transatlantico rende bene l’idea del clima che si respira dentro la sinistra. Si incrociano davanti all’ingresso dell’aula due dirigenti di primo piano del Pd. Il primo, Arturo Parisi, è incazzato nero dopo il verdetto della Consulta. L’altro, Ugo Sposetti è disincantato, quasi serafico. Con l’ironia affettuosamente perfida che lo ha reso leggendario, Il fondatore dell’Asinello, che non ha ancora smaltito la rabbia per il milione e duecentomila firme andate in fumo. Sposetti fa, quasi protettivo: “Arturo come va? “. E lui: “Dopo quello che è successo oggi non mi resta che scriverti l’epitaffio, Ugo… “. E l’ex tesoriere del Pd, stupito: “Il mio? “. E Parisi quasi seccato: “S ì, sì, hai capito bene. Quello che metterai sulla lapide. Qui è tutto finito, i nominati hanno vinto, tu sei l’ultimo testimone di una storia. Fa che ti scrivano ‘Ugo Sposetti: il partito è partito’”. Scoppiano a ridere tutti, compreso Pier Luigi Bersani, che passa di là proprio in quel momento. EPPURE l’ironia nera di Parisi contiene una grande verità. Questo voto non è un voto a favore della politica, ma è un voto che uccide la politica. Non è un voto che salva il Parlamento e la sua sovranità, ma un voto che lo delegittima. E così occorre fare un esercizio di verità, e grattare oltre le apparenze e le dichiarazioni di facciata. Ieri, a Montecitorio, la bocciatura del referendum ha fatto contenti tutti i leader di partito, di tutti i partiti, che portano a casa una certezza. Dopo la quaresima dei tecnici, quando si tornerà a votare, il boccino delle candidature sarà di nuovo nelle loro mani. E questa certezza di controllo, che diminuisce il potere di condizionamento dei cittadini, li rafforza, aumentando anche la disciplina unanimistica che governa il Parlamento. FATECI CASO: fra tutti i commenti raccolti a caldo, spiccava un silenzio fragoroso. Quello del governo. E soprattutto quello di Mario Monti, che su tutto esterna, ma che si guarda bene da impegnarsi sulla legge elettorale. Non è un caso: il difficile rapporto di non belligeranza si regge su questo tacito scambio: lui governa, e loro sceglieranno, ancora una volta, i loro capibastone. Notate il paradosso: nel momento in cui si predica il governo della liberalizzazione, l’unico mercato che resta protetto, e con tutte le barriere corporative intatte, è quello della politica. Altra scena, altro paradosso: se nello stesso giorno parli con Pier Ferdinando Casini, l’unico leader che ancora oggi rivendica di aver avuto un ruolo quando il Porcellum fu approvato (i bene informati ricorderanno che su quella mediazione saltò la poltrona di segretario dell’Udc di Marco Follini), è anche l’unico che oggi vuole cambiare la legge davvero e non per finta: “Sai – dice – in questo momento abbiamo il dovere di restituire alla gente le preferenze e la possibilità di scelta. Altrimenti se poi la gente ci spara non ha tutti i torti”. Dietro l’ironia di Casini si nasconde, come spesso capita, un’altra verità di questo Parlamento. DOPO che la bocciatura del referendum ha blindato il Porcellum, l’unico vero emendamento possibile sono proprio le preferenze. Che terrorizzano Berlusconi (già adesso alle prese con il problema della “fedeltà”) molto più di quanto non si creda. Ma anche del Pd, a cui ancora brucia lo smacco delle primarie, dove la gente sceglie regolarmente candidati opposti a quelli che vogliono loro. E così nel Parlamento dei nominati vince la grande palude. “Il partito di maggioranza relativa – scherza sempre sul filo del paradosso quel gran conoscitore del Transatlantico che è Gigi Meduri, calabrese del Pd – in questo momento è il partito del vitalizio. E IL PARTITO del vitalizio per ora ha un solo obiettivo: arrivare fino a ottobre”. Perché proprio ottobre? Perché solo allora tutti i deputati che sono entrati di prima nomina nel 2008 avranno il diritto di ricevere l’agognato trattamento previdenziale. Cosa c’entra questo con il ragionamento che abbiamo fatto, con la fine della politica, con la lapide metaforica che Parisi ha scolpito per Sposetti, ultimo esecutore testamentario dell’eredità postcomunista? Meduri sorride sotto i suoi baffi grigi da faina: “Ricordati che i nominati di oggi sono i trombati di domani”. Comunque vada, il Parlamento del Porcellum, è un Parlamento di sopravvissuti, che sanno di non poter sopravvivere, se non per fedeltà.
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