di LUCA TELESE
E alla fine torna il “bersanese”. “Il Pd – dice il suo segretario – è un partito di governo che non perde il contatto con la realtà sociale. Chi ha più soldi non può mica mangiare dieci volte al giorno…”. Il bersanese come tentativo di dire qualcosa di sensato mentre nel partito risuona il tana libera tutti. Chi va a destra, chi a sinistra, chi esalta il rigore, e chi dice che bisogna cambiare finanziaria: il centrosinistra, un tempo critico, sta diventando criptico. Dice Furio Colombo, deputato eretico del Pd: “Il governo Monti all’inizio sembrava un stanza calda, dopo l’inverno gelato di Berlusconi. E ’ diventato una stanza tiepida dopo la lista dei ministri. Adesso, dopo la finanziaria, è una stanza gelida”. Il problema, come si diceva un tempo è politico. Quale deve essere la posizione del Pd sulla manovra? Quale è il giusto equilibro fra la legittima critica e l’opposizione pregiudiziale? Ieri Bersani ha capito che il partito è troppo sbilanciato sulla difesa dei sacrifici e ha provato a correggere la rotta incontrando i sindacati: “Chiederemo che vengano corretti alcuni punti sulle pensioni per garantire maggiore equità – ha spiegato – Ci auguriamo che il governo faccia qualche passo avanti e per quello che non sarà fatto insisteremo, vedremo quanto sarà collaborativo, cercheremo di convincerlo e chiederemo che sia attento al Parlamento e alle forze sociali”. E poi, quasi sconfortato: “Ieri (l’altroieri, ndr.) c’è stata una mobilitazione, qualcosa il governo la deve dire”. Era stata proprio la manifestazione unitaria Cgil – Cisl e Uil di lunedì a far deflagrare il dibattito, nel partito, tra due estremi non più conciliabili. Da un lato i cosiddetti “montiani del Pd” (così li ha efficacemente definiti il Foglio), l’area che tiene insieme sul sì alla manovra gli ex veltroniani, i lettiani e gli ex popolari capitanati da Beppe Fioroni. Dall’altro l’ala “laburista” del partito, raccolta sempre di più intorno ai due giovani leoni quarantenni: Matteo Orfini e il responsabile Economia Stefano Fassina. E poi a un ex ministro come Cesare Damiano. A loro si aggiungono, anche se fuori da una logica di corrente, il parere pesante dell’ex segretario della Cgil Sergio Cofferati, e quello della sinistra interna guidata da Ignazio Marino. In mezzo, con il compito non facile di trovare una quadra, Bersani, che ha visto slittare verso la vecchia minoranza, una parte della sua mozione congressuale. LA CONTESA è deflagrata quando Fassina – da tempo inviso all’ala centrista e a quella riformista del partito – ha annunciato che sarebbe stato al fianco dei sindacati in piazza. Apriti cielo. Aveva aperto il fuoco Morando, ex leader della componente liberal: “E ’ insensato opporsi alle misure di Monti. Quella seguita dal governo tecnico è la linea che dovrebbe essere di tutto il Pd”. Ed è ancora più duro lo stesso Fioroni, che usa parole di fuoco per bollare il gesto di Fassina e di quelli che sono d’accordo con lui: “Andare a quella manifestazione è gravissimo errore. Non possiamo essere contemporaneamente pesce e carne, perché poi finiamo per diventare una pietanza insipida”. Il ragionamento dell’ex ministro, a tratti spietatamente sarcastico, è questo: “Non possiamo sostenere la manovra e poi manifestare contro. Se ci sono dei cambiamenti da fare si fanno in Parlamento. Altrimenti si tace”. Fioroni ce l’ha, ovviamente, con i suoi colleghi: “Ci dobbiamo mettere la faccia. Non possiamo fare le ombre cinesi”. Poi l’ex ministro annuncia una resa dei conti: “E ’ ora di sciogliere quei nodi e assumere un profilo di governo”. Fioroni – è questa la cosa più interessante – conclude prefigurando scenari futuri: “Quello che decidiamo ora è importante perché anche dopo le elezioni servirà un governo di grande responsabilità”. Se ascolti Fassina e Orfini ti stupisce quanto sia opposta la loro visione. Orfini è pacatissimo: “Suggerirei ai cosiddetti ‘ montiani ’ di essere più prudenti. La nostra base ritiene questa manovra iniqua e da correggere. Ed è esattamente questa la linea del partito”. Non si sente un apostata il giovane dirigente della segreteria: “In piazza ci si va, of course. Vengo da un giro nelle sezioni del Pd, in Puglia, in cui la gente è preoccupata per quello che accade. Bisogna vedere le facce dei pensionati che si sono fatti la casa da soli e pagheranno due volte, prima di parlare. Non c’è nulla di irresponsabile nel voler migliorare la manovra. Sarebbe sbagliato se un partito come il nostro dimenticasse la sua linea per accettare acriticamente tutte le misure del governo tecnico. Quella sì, sarebbe una resa della politica”. Sorride Or-fini: “Bersani ha detto che il Pd simpatizza per chi manifesta, quindi non mi sento affatto fuori linea”. Anche Fassina è andato. Sabato scorso era a Bruxelles, in un vertice del partito socialista europeo: “Io rimango fedele alla linea che abbiamo votato nei nostri documenti. Perché mai dovremmo cambiarla? Il governo Monti non ha le nostre posizioni, perché è un governo che si sostiene anche con i voti della destra e con loro deve mediare”. Chiedi a Fassina: il segretario con chi sta? Risposta sibillina: “E ’ con il Pd. Al fianco di chi paga il peso di questa manovra e chiede equità. Noi siamo con i lavoratori e i sindacati che questa equità la vogliono affermare con le giuste modifiche possibili”. Ma prendete Marina Sereni, vicecapogruppo alla Camera: “Tutto è migliorabile, e si possono anche trovare mediazioni. Ma perché tornare indietro? Se non si prova a rompere ora incrostazioni e rendite di posizione quando daremo all’Italia il segnale che dobbiamo cambiare per ricominciare a crescere?”. Dicono che il colloquio tra Monti e Franceschini fosse pieno di luci ed ombre, Paolo Gentiloni mostra scetticismo su Twitter. “Senza un coordinamento politico manca una regia e così la confusione regna sovrana”, dice Francesco Boccia. Il problema è che se dalla dialettica D’Alema-Veltroni si passa a quella Fassina-Letta, il rischio è che il risultato – lo stallo del Pd – non cambi.
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