di LUCA TELESE
E alla fine, ancora una volta, arrivò il successo postumo. Il “Sarto di Ulm”, l’ultimo libro di Lucio Magri, che nel 2009 aveva raccolto un coro di recensioni favorevoli, ma solo poche migliaia di copie vendute in libreria, ha bruciato cinquemila esemplari in due soli giorni, andando letteralmente a ruba, ed è andato esaurito. Certo, ancora una volta un libro e una vita si sono intrecciati fino a contorcersi, entrando in cortocircuito. Ancora una volta un libro racconta della vita e diventa motivo della sua prosecuzione mentre è in fase di scrittura, e una delle cause della morte, quando viene compiuto. Quanto avrà contato sui lettori? Difficile stabilirlo. Certo che in questo successo, contano il clamore suscitato dal primo “suicidio assistito” venuto a conoscenza dell’opinione pubblica italiana. E conta di sicuro il dibattito innescato sul piano dei diritti civili, sui limiti e sulle potenzialità del fine vita. Ma forse – a bene vedere – il risultato era già iscritto a pagina 387 del “Sarto di Ulm”, all’inizio del penultimo capitolo, dove interrompendo per un istante un saggio molto serio sulla sconfitta della sinistra, Magri apriva la strada all’irruzione del privato, con questa folgorante confessione: “Arrivo ora all’ultima tappa del mio lavoro, la fine del Pci. Ci arrivo in condizioni pessime. Anzitutto e soprattutto perché – dopo un breve intervallo – riprendo la penna in mano nel momento in cui vivo un dramma umano profondo. È scomparsa – scriveva il dirigente comunista nel 2009 – la mia amatissima compagna Mara: non solo un dolore, ma una amputazione di me stesso, che non si rimarginerà, rende opaca l’intelligenza e fiacca la volontà”. Come è incredibile il paradosso della letteratura, la trasmissione delle emozioni alla pagina. Il peso di due anni trascorsi da quel pubblico annuncio, con il senno del poi, rende queste righe ancora più pesanti, irrevocabili, drammatiche. Gettano una luce retroattiva sul suicidio, ma anche sull’ultimo lavoro di Magri: “Proprio sul letto di morte – aggiungeva infatti – Mara mi ha imposto la promessa di continuare a campare senza di lei, almeno fino a quando non avrò finito il lavoro che avevo cominciato durante gli anni delle sue sofferenze. E so che se sospendessi ora non sarei più in grado di mantenere la promessa”. Il libro, come una missione. Ma anche come un lascito testamentario, un dovere da compiere. E forse, a ben vedere, il libro come un congegno a tempo, che può riattivarsi in qualsiasi momento. Il “Cappello di ciliege” di Oriana Fallaci sulla sua famiglia, per esempio, con la sua appendice di beghe ereditarie, memoriali e private. Oppure “il Gattopardo” di To-masi di Lampedusa, che diventa il romanzo chiave dell’identità nazionale, solo perché Elena Croce fa avere a Giorgio Bassani il manoscritto dopo la morte del suo autore. Oppure “L’ultimo giro di giostra” di Tiziano Terzani, scritto per tramandare un’idea della vita e sottrarla alla condanna della morte. Nel caso di Magri, invece, un libro già pubblicato torna improvvisamente attuale per il pubblico. Ed è tale il senso di urgenza che – esaurito provvisoriamente il tascabile (Il Saggiatore fa salti mortali per avere la ristampa martedì) i librai stanno esaurendo anche le rese della prima edizione (che pure costava 20 euro, 8 in più!) prontamente rimesse in circolo. Il che, probabilmente, farà gioire l’editore che non aveva avviato quel migliaio di copie al macero, come si fa abitualmente quando esce un’edizione più economica. Riccardo Gentile, il giovane e dinamico direttore della libreria Mondadori di piazza Cola di Rienzo – uno scienziato dei numeri – mi mostra sui tabulati l’unico esemplare venduto nel-l’ultimo anno, in contrasto con la pioggia di richieste di queste ore. Eppure, a ben vedere, esiste un’altra verità, che Italo Calvino ha splendidamente riassunto in questo aforisma: “Un classico è un libro che non smette mai di dire quello che ha da dire”. Forse il testamento politico di Magri è attuale perché è una riflessione sofferta e appassionata sui perché di una sconfitta epocale. Forse perché è uno dei primi libri di un testimone diretto dei fatti: “Mi trovo ad affrontare – scrive – il tema più complesso e a sua volta doloroso, della fine del Pci proprio nel momento in cui non il Pci, ma l’intera sinistra sembra scomparsa, o in totale confusione: e contemporaneamente riaffiora una seria crisi dell’avversario che l’aveva sconfitta, e dunque sarebbe più che mai necessaria”. Chi mai potrebbe giurare che queste righe sono state scritte due anni fa e non oggi? Ecco che, come dice Calvino, il libro che riesce a diventare classico parla anche ai tempi che seguono. Così come l’evocazione del grande apologo brechtiano, quello sul Sarto di Ulm: “Quell’artigiano – scriveva Magri – fissato nell’idea di apprestare un apparecchio che permettesse all’uomo di volare, un giorno, convinto di esserci riuscito, si presentò dal vescovo e gli disse: ‘ Eccolo, posso volare’. Il vescovo lo condusse alla finestra dell’alto palazzo e lo sfidò a dimostrarlo. Il sarto si lanciò e, ovviamente, si spiaccicò sul selciato. Tuttavia – commenta Brecht – alcuni secoli dopo gli uomini riuscirono effettivamente a volare”. Magri ha scritto pensando al giorno – chissà quando – la sinistra avrà di nuovo le ali. Anche per questo un libro che ha venduto tremila copie in tre anni, può venderne tremila in tre giorni.
Rispondi