di LUCA TELESE
"Lucio in The Sky”. Lucio Magri come la bambina dei Beatles, sospesa fra la fantasia lisergica e il sogno, e per un giorno il Manifesto illustrato da questo titolo é tornato esaurito nelle edicole. Lucio suicida volontario, il compagno che anche chiedendo di non ricevere esequie fa esplodere il dolore e la discussione fra i compagni: “Non mi sono arrabbiato abbastanza – dice in una umanissima e straziante intervista a La Repubblica Valentino Parlato – questo sudicio mi turba profondamente. Ho come l’impressione di non aver fatto abbastanza. L’ho subito, insomma, e non me lo perdono”. Il suicidio di un intellettuale politico non può essere mai un fatto privato. È sempre un cortocircuito per chi nella politica pensava che si abbattessero le bandiere del privato. É stato così in Francia per il filosofo André Gorz e per lo scrittore Arthur Koestler. In Italia è stato altrettanto sconvolgente il dibattito sulla scomparsa di Primo Levi: scrivere il più bel libro della letteratura italiana sulla salvezza dalla morte, e poi correre incontro alla morte gettandosi da una trova delle scale. E SE IL SENSO di impotenza di Parlato è il sentimento di un compagno di mille battaglie, di uno che con Magri iniziò l’avventura de Il Manifesto, ancora più drammatica é la condizione di chi, come Famiano Crucianelli – l’allievo prediletto – lo ha accompagnato nei due lunghi anni della depressione. Un sentiero difficile: da un lato provare a dissuadere un compagno di vita, e dall’altro fermarsi solo alla fine, per rispettare le sue scelte. Ma dovendo accompagnarlo ed assisterlo. Crucianelli non ha scritto articoli, perché i drammi umani – spiega – “non si possono condensare in settanta righe”. Però racconta il sentimento scisso e devastante che lo attraversa in queste ore: “Io e Lucio abbiamo iniziato a fare politica insieme nel 1969. Sono più di quarant’anni di vita insieme. La sua malattia non era un’ombra che si fa sparire con una pasticchetta. Era un disagio profondissimo, e senza rimedio. L’idea che fosse compiuta la missione di una vita, e che non avesse alcun senso continuare ad esistere. Quando succede questo – spiega Crucianelli – nulla di quello che puoi dire o fare ha più senso”. Poi, mentre parla, l’ex leader dei Comunisti unitari fa una lunga pausa: “L’unica risposta che riesco a darmi, per non subire l’assalto del dolore, é questa: il suo suicidio, per tutti noi che lo abbiamo conosciuto e amato, è l’inizio di una disperazione. Per lui invece è stato la fine di una disperazione, un liberazione da quella angoscia incontenibile”. Per rispettare le ultime volontà del fondatore del Pdup, gli amici di Magri si riuniranno in forma privata per scambiarsi la lettera di saluto che il fondatore del Pdup ha scritto per loro. Una sorta di cerimonia laica e sobria. “Ma poi – spiega Crucianelli – faremo un grande convegno politico per ricordare il suo pensiero, e anche un libro per raccogliere le cose profetiche che ha scritto in questi anni sul futuro della sinistra. Non per un’ansia memoriale, ma per un senso di utilità”. Luciana Castellina ha scritto su Il Manifesto, affrontando il problema di quella fine: “Il suo peccato maggiore è stato di andarsene così come se ne è andato. Riteneva di non dover poter più dare niente per una rinascita della sinistra di cui diceva: ‘ Ci sarà ma ci vorranno decenni, e io comunque non sono più in grado di dare nessun contributo’. Sbagliava naturalmente”. PIÙ FATALISTA Norma Rangeri: “La scelta di morire, lungamente meditata come approdo di un percorso umano e politici, addolora ma non stupisce, è l’ultimo atto di chi non si è mai accontentato di predicare soltanto”. Diversa l’idea di Aldo Tortorella, che con lui nel Pci condivide anche l’ultima battaglia sul no alla Svolta: “Non é vero che lascia un messaggio di disperazione”. Dice Tortorella che la sua vita è come la parabola del sarto di Ulm di Brecht: “Si sfracella al suolo ma alla fine l’uomo imparerà a volare”. Emanuele Macaluso scriverà solo domenica, sul suo giornale: “Se n’è andato lasciandoci un testamento che è il suo libro. Ho passato giorni a discutere con lui, solo di quello”. Insomma, la morte di un militante interroga una intera comunità. Dice Rossana Rossanda, che lo ha accompagnato nelle ultime ore: “È stato tristissimo, non terribile, ma tristissimo. Ti puoi immaginare come si sta in un momento del genere”. Ecco perché forse ha ragione Massimo D’Alema quando dice: “Non vorrei che l’emozione per le circostanze della sua morte finisse per cancellare la memoria della sua vita, del suo impegno intellettuale e politico, della testimonianza che ci la lasciato”.
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