di LUCA TELESE
“Provo grande pietà umana per Berlusconi. La pietà é un esercizio virtuoso, un sentimento che nobilita. Ma detto questo prendo atto che la caduta di Berlusconi precipita in parallelo con quella di Gheddafi. Anzi, Berlusconi oggi é come Gheddafi. Solo che c’é una differenza: lui non lo ha ancora capito”. Chiedo ad Erri De Luca perché. Lui sorride, nel suo modo lento, ieratico: “Gli autocrati funzionano così: Gheddafi ha capito quando é finito nel buco. Quando uscirá dal buco anche Berlusconi, capirà pure lui”. Erri De Luca é uno straordinario esempio della complessità italiana. É uno degli scrittori che non rinuncia alla radicalitá del suo profilo, alla rivendicazione orgogliosa dell’identità, alla testimonianza della propria storia di ex militante extraparlamentare negli anni settanta. Ma é anche l’idolo di un pubblico di lettori trasversale e generalista, dalle massaie, ai giovanissimi, quattrocentomila copie vendute per il suo penultimo libro “E disse”. De Luca é secondo in classifica, un Blockbuster, ma al fianco del suo editore Feltrinelli, continua a pubblicare per piccole case editrici (come la libreria Dante y Descartes di Napoli) rigorosamente gratis. Oggi, nel tempo del governissimo sospira: “Come tutti gli italiani sono contento del cambio di insegna e dei lavori in corso. Però c’é un paradosso: ora che la finanza ha portato al fallimento gli Stati, gli uomini della finanza vengono chiamati a salvarli”. Sei contento di essere insieme a Volo uno dei due autori italiani più venduti? Mi fa piacere, ma non lo sapevo: non sono di quelli che si attaccano alle classifiche. Non ci credo. La Feltrinelli mi dice che “I pesci non chiudono gli occhi” sta andando meglio del precedente e questo mi basta. Non sei come Vespa che controlla copia per copia? Non sono interessato ai primati. Più che le copie vendute mi interessano quelle lette, il mio sogno, più che vendere cento copie in più, é una copia che incontri cento lettori. Come spieghi il successo di un libro autobiografico? Non me lo spiego. Ho raggiunto di nuovo l’età dei miei dieci anni, dopo un giubileo, grazie alla scrittura. Pesco sempre nel tempo passato. Nel tuo libro scrivi che il Noi era un pronome che ha difeso gli ultimi e sgomentato i potenti. Che fine ha fatto quel Noi? Non si é estinto. Ma si é frammentato in tante piccole comunità. Una bella fetta della mia generazione ha conosciuto l’enorme vastità di questa parola. Una bella fetta dell’ultima generazione. Si sta preparando a riscoprirla. Ma non é un’impresa facile. Ti piacciono gli indignati? Giorni fa ero a New York per la presentazione dell’edizione inglese de “Il Giorno prima della felicitá”. Ho visto la loro Liberty place, e quelle tende mi sono sembrate una riappropriazione di spazio collettivo. Sembri quasi ottimista. Vedo una nuova idea di speranza che si sta agglutinando… Cosa manca? La temperatura, al suolo, che accenda le passioni. Cosa ti preoccupa invece? A fonte di questa speranza c’é stata una rinuncia delle classi dirigenti a difendere i propri valori. Perché? Hanno rinunciato a immaginarsi come opposizione, riescono a pensarsi solo come concorrenti. E la differenza quale é? É enorme. Il concorrente vende la stessa mercanzia ad un prezzo diverso. Un oppositore immagina un prodotto nuovo e diverso. Triste. Il bello é che alla fine l’incasso lo fa sempre la bottega della destra. Come si può fare opposizione, anche nel tempo della crisi? In questi anni abbiamo visto la politica costruita sull’egoismo, sulla paura, sul risentimento. Ma come ha dimostrato il presidente americano nero, anche i sentimenti nobili sono strumenti utilizzabili dalla politica. Che cosa sta accadendo in Italia? Noi abbiamo sublimato l’idolatria del denaro in politica. Prima eleggendo premier Paperon de ’ Paperoni, poi al Quirinale un governatore della Banca d’Italia, e poi come leader curatore un professore di Economia. Che impressione ti fa Monti? Nel momento in cui si avvia a chiedere sacrifici drammatici al paese, ha fatto bene ad accettare il seggio a vita. E malissimo a non rifiutare lo stipendiato senza fine. Chi sa se glielo avrebbero consentito. Lo ha dato per scontato. Sarebbe stato bello un contrario. Non ami i banchieri? Credono al profitto. Che per me non coincide con il bene pubblico. Quindi non li ami. Quando la politica non ha più il progetto i tecnocrati impongono il loro progetto. Salveranno dalla bancarotta? Impongono agli Stati la loro contabilità. I nuovi poveri dovranno difendersi da soli. I ristoranti non sono pieni. Al supermercato vedo i nuovi poveri e li riconosco perché camminano lenti, studiando i cartellini dei prezzi. Se vedi che li guardi, mettono nella sporta un oggetto costoso. E poi lo ripongono. Come vedi il futuro? I conti pubblici sono fuori controllo, quelli delle banche sono in crisi, quelli privati sono sani. E adesso é all’Italia del piccolo risparmio che si presenta il conto dei grandi sprechi.
Rispondi